Rossellini, Roberto
Regista e sceneggiatore/cinematografico, nato a Roma l'8 maggio 1906 e morto ivi il 6 giugno 1977. Il suo contributo al linguaggio cinematografico è risultato fondamentale per l'elaborazione del cinema moderno (v. modernità), segnando in modo esemplare la stagione neorealista, ma evitando sempre gli equivoci di un realismo banalizzante. Tra i suoi capolavori si pone innanzi tutto Roma città aperta (1945), considerato l'iniziatore del Neorealismo, che venne subito acclamato in tutto il mondo e premiato al Festival di Cannes nel 1946, e che rappresentò la messa in crisi del realismo tradizionale e la nascita di un nuovo cinema; mentre il successivo Paisà (1946), che ottenne nel 1950 una nomination all'Oscar per il soggetto e la sceneggiatura (scritti dallo stesso R. con la collaborazione di Victor Haines, Marcello Pagliero, Sergio Amidei, Federico Fellini, Vasco Pratolini), costituì l'anticipazione di una visione diretta, quasi 'televisiva', della storia, dove finzione e realtà interagiscono continuamente. E se il suo atteggiamento morale si è tradotto costantemente in stile di pensiero, nella sua pratica cinematografica si ritrova un valore teorico, implicito nel disegno progettuale dei suoi film, in cui è rilevabile una facoltà di anticipazione delle successive innovazioni linguistiche. La sua pratica e la sua idea di cinema, la tensione etica e l'atteggiamento libero e limpido del suo sguardo sulle cose e sull'uomo, la sua instancabile curiosità e la volontà di sperimentare hanno poi costituito un riferimento ideale per la generazione della Nouvelle vague. Con l'opera di R. prese forma l'idea di un cinema inteso come insostituibile mezzo didattico "anche nel senso brechtiano", come osservato dallo stesso regista (in "Filmcritica", marzo 1963, 131, p. 132) che fu sempre mosso dall'intento di rintracciare la consequenzialità in maniera dialettica, mostrando gli eventi: "io mostro le cose e non le dimostro. Faccio un lavoro di ricostruzione, punto e basta" (in "Filmcritica", marzo 1963, 131, p. 134). La didattica rosselliniana rivela così il suo carattere storico, in grado di far emergere dalla realtà contraddizioni e conflittualità. Di famiglia borghese e cresciuto in un ambiente intellettuale (il padre era un imprenditore edile amico di artisti e scrittori), sin da ragazzo R. si appassionò a due miti: il cinema e l'automobile. Al cinema Corso, il locale costruito a Roma dal padre, poté vedere una notevole quantità di film, mentre negli stessi anni prendeva parte a numerose gare automobilistiche, correndo anche le Mille Miglia. Dopo il liceo classico interruppe gli studi regolari ma continuò a dedicarsi a questioni sia storico-filosofiche sia tecnico-scientifiche, coltivando interessi che non lo abbandonarono mai. A Ladispoli, durante le vacanze estive, realizzò le sue prime sperimentazioni cinematografiche, documentari sulla natura come Fantasia sottomarina (1940) e Il ruscello di Ripasottile (1941), o micro-storie di invenzione che illustravano temi musicali, come Prélude à l'après-midi d'un faune (1938) da C. Debussy, o mimavano cantilene infantili come in La vispa Teresa (1943). Risale al 1938 la sua prima esperienza professionale, ossia la collaborazione alla sceneggiatura di Luciano Serra pilota diretto da Goffredo Alessandrini e supervisionato da Vittorio Mussolini, esperto aviatore e appassionato di cinema. Nel 1941, per conto del Centro cinematografico del Ministero della Marina, Francesco De Robertis gli affidò la regia di un film di guerra, tra finzione e realtà, di cui aveva scritto il soggetto e di cui curò la supervisione, La nave bianca. L'anno successivo, su soggetto di V. Mussolini (sceneggiatore con lo pseudonimo di Tito Silvio Mursino), R. diresse Un pilota ritorna, odissea di un gruppo di soldati italiani durante la guerra in Grecia. Realizzò poi L'uomo dalla croce (1943), da un soggetto di Asvero Gravelli, incentrato sui cappellani militari durante la campagna in Russia. In questa sorta di trilogia, dietro i codici del film bellico di propaganda già traspare un intento documentario e antiretorico. Intanto R. si era avvicinato al gruppo della rivista "Cinema", diretta da V. Mussolini, dove si andavano elaborando i fermenti di rinnovamento che avrebbero condotto al Neorealismo del dopoguerra. Nel luglio del 1943 con la sigla r.r. il regista firmò la nota introduttiva a un servizio fotografico pubblicato sulla rivista (nr. 169) che presentava le immagini di un film in lavorazione di Alfred Hitchcock, Shadow of a doubt (1943; L'ombra del dubbio), ambientato dal vero nella cittadina californiana di Santa Rosa, nella quale anticipò quella che sarebbe divenuta la poetica dei suoi film: "questo contatto con veri muri, uomini veri (quegli operai del film presi a impersonare gli abitanti di un quartiere povero) ci sembra un buon segno per il cinema americano, nel riaccostarsi ‒ per ragioni esterne, magari forzose ‒ a un realismo che da tempo ha dimenticato" (p. 18). Proprio alla fine del 1943 iniziò le riprese di un film d'amore e di morte, annunciato come Scalo merci o Rinuncia, interpretato da Massimo Girotti e Elli Parvo e ambientato nello scalo ferroviario di San Lorenzo a Roma, dove si prefigura il senso di concreta verità delle sue opere. Con il nuovo titolo di Desiderio il film fu portato a termine solo nel dopoguerra (uscì nel 1946), dopo varie vicissitudini con la censura, da Marcello Pagliero, attore in Roma città aperta. Quest'ultimo film, con Paisà e Germania anno zero (1948) costituisce la cosiddetta trilogia della guerra, in cui lo sguardo rosselliniano si addensa intorno a una poetica del tragico e del quotidiano dando vita a un cinema che mette termine alla riproduzione della realtà come dato immobile e anticipa le trasformazioni del diegetico filmico , mediante l'elaborazione di un linguaggio in cui il fluire dei piani-sequenza e la lucidità dello scavo nelle pieghe concrete della verità e degli accadimenti filmati, lasciano emergere un processo dialettico di pensiero. In Roma città aperta, su soggetto di Amidei e Alberto Consiglio, ciò avviene quasi in 'presa diretta' con gli eventi che si traducono senza mediazioni nella forma della finzione, consentendo una nuova 'epifania' del vero nella scansione tragica dell'incalzare della lotta di Resistenza contro il nazifascismo. Rilievo particolare assumono un'indimenticabile personaggio femminile, interpretato da Anna Magnani, e un prete, impersonato da un emozionante Aldo Fabrizi, ispirato alla figura di Don Luigi Morosini, trucidato dai nazisti nel 1944 (all'inizio della sua avventurosa e travagliata lavorazione, il film era stato pensato proprio come un documentario su quest'ultimo). In Paisà la costruzione a episodi dà conto ancora della coralità del dramma della lotta di liberazione, percorrendo il Paese dalla Sicilia al Po e mostrando il farsi della Storia che in modo diretto, senza soluzione di continuità, investe la messinscena. In Germania anno zero, premiato al Festival di Locarno nel 1948, è lo sguardo di un ragazzo, sconvolto dall'atrocità della guerra, che si 'realizza' nell'atto del suicidio, sullo sfondo delle macerie di Berlino, mentre affiora costante un muto sentimento di pietà nel rigoroso procedere per stazioni, scandito nelle deambulazioni lucide e scarne della macchina da presa. L'amore (1948), interpretato dalla Magnani e composto di due episodi (Una voce umana, dal monologo di Jean Cocteau, e Il miracolo, su soggetto di Fellini), come pure La macchina ammazzacattivi (iniziato nel 1948, terminato nel 1951, è uscito solo nel 1952) da un soggetto di Eduardo De Filippo, inaugurano l'approdo a un cinema metafisico, dove l'ordine simbolico ha una sua insistenza primaria e si fa oggetto/soggetto di un tempo logico, dove si realizzano pensiero e pensato. In Il miracolo il calvario tutto immaginato di una povera folle che crede di essere gravida di un bambino miracoloso, e in La macchina ammazzacattivi l'invenzione fantastica di una macchina fotografica che uccide coloro che ritrae punendo così l'ingiustizia umana, esemplificano in forma di apologo concreto un anelito filosofico. Questa svolta, che fu avvertita da una parte della critica come un allontanamento spiritualista dal Neorealismo, risultò lontana dalle secche del misticismo e anzi animata da una lucidità che fa trasparire il mistero nella materialità del paesaggio umano e naturale in Francesco, giullare di Dio (1950), elegia della semplicità e della follia dei Fioretti francescani, e in Stromboli ‒ Terra di Dio (1950), radiografia di un'anima e invocazione a comprendere l'enigma dell'esistere, attraverso l'avventura di una donna straniera immersa nella violenza conturbante del paesaggio vulcanico. Il film segnò anche l'incontro artistico e sentimentale del regista con Ingrid Bergman, la quale gli avrebbe dato tre figli, tra i quali Isabella (n. a Roma il 18 giugno 1952), poi diventata attrice cinematografica.R. veniva elaborando un modo di fare cinema spoglio da ridondanze, stabilendo un'inversione di tendenza che segnò uno stravolgimento rispetto alla produzione contemporanea, e di cui sono esempi Europa '51 (1952) e Viaggio in Italia (1954), film che creano un universo di atti significanti, di gesti e di corpi, dove l'arte di R. raggiunge, come ha scritto André Bazin, "la forma più acuta, più diretta e più tranchante" (Qu'est-ce-que le cinéma?, 1° vol., 1958, p. 49), culmini di una poetica che rivoluziona la sintassi cinematografica e testimonia una continua ricerca, anticipando il cinema a venire nell'uso radicale dei lunghi piani-sequenza, dei tempi vuoti, della struttura rapsodica e aperta di racconto. In Europa '51 la profonda crisi di una donna (ancora la Bergman), il suo incontro con il dolore e la solitudine sostanziano con acuta precisione la condizione umana di tutta un'epoca con i suoi interrogativi filosofici. In Viaggio in Italia, non capito in patria e amato per la sua forza innovatrice dai francesi della Nouvelle vague, il disagio di una coppia di coniugi stranieri durante un viaggio a Napoli diventa veicolo di uno stile ellittico, di uno sguardo sul mistero delle cose e dei luoghi che si riverbera nella scoperta di una condizione interiore, anticipando il senso del mistero e del vuoto su cui successivamente lavorerà un regista come Michelangelo Antonioni. Dov'è la libertà…? (1954), interpretato da un inedito Totò, rientra in quella visione metaforica del reale in forma di apologo paradossale, nel racconto del barbiere che, uscito di prigione dopo vent'anni, preferisce ritornarvi piuttosto che vivere una falsa libertà.
Al tempo stesso un film come Giovanna d'Arco al rogo (1954), da A. Honegger e P. Claudel, nella sua rarefatta condensazione stilistica esige l'innocenza dello spettatore, ribaltando prospettive di visione, facendo interagire palcoscenico e macchina da presa. L'anno successivo R. realizzò La paura, da un romanzo di S. Zweig, un inquietante viaggio femminile nell'orrore quotidiano e nel sospetto, che venne respinto dalla critica italiana. Fu questo per il regista il periodo più difficile: sarebbero infatti dovuti passare quattro anni prima del suo ritorno dietro la macchina da presa con India (1959), film, come amava definirlo B. Joppolo, "di uomini, di bestie, di acque e di pietre" ("Filmcritica", aprile-maggio 1960, 96-97, p. 261), in cui lo sguardo di R., volto a cogliere il fluire delle cose, trovò nella scelta documentaristica la modalità con la quale far emergere la ricchezza di un mondo materiale e spirituale (peraltro luogo d'incontro con la sua nuova compagna Sonali Das Gupta). Dal film sarebbe derivata una versione in più puntate, L'India vista da Rossellini, realizzata per la televisione e prima esperienza del regista con questo mezzo. Gli anni successivi furono quelli della ripresa: Il generale Della Rovere (1959), che vinse il Leone d'oro ex aequo alla Mostra del cinema di Venezia, ed Era notte a Roma (1960) restituirono alle immagini la pregnanza della Resistenza e, grazie a un procedimento tecnico messo a punto dallo stesso R. (il pancinor, in cui lo zoom fotografico si unisce al carrello), l'importanza del tempo ritrovato.
Negli anni Sessanta si rivelò centrale per il regista cercare di comprendere il nesso tra la Storia e l'evoluzione del pensiero e della tecnica, così come elaborare una visione lucida, e ancora didattica, dei mutamenti della società. Furono testimonianza di ciò film come Viva l'Italia! (1961), la versione rosselliniana dell'epopea risorgimentale colta nella cronaca secca dei fatti, e Vanina Vanini (1961), da Stendhal, dove si evidenziano tutta l'ipocrisia e la violenza della società aristocratica e asfittica della Roma papalina; ma anche Anima nera (1962), tratto dalla commedia di G. Patroni-Griffi, e il geniale Illibatezza, episodio del collettivo RO.GO.PA.G. (1963), nonché alcuni allestimenti teatrali tra cui I carabinieri di B. Joppolo, realizzato nel 1962 per il Festival dei Due Mondi di Spoleto, da cui lo stesso R. trasse la sceneggiatura, scritta in collaborazione con Jean Gruault, del film omonimo (1963) di Jean-Luc Godard. La tensione educativa portò R. a intraprendere tra la fine degli anni Sessanta e gli anni Settanta, con entusiasmo innovativo, la sua attività televisiva, indicando una strada ricca di future possibilità. Del resto tutta l'attività del regista ebbe il dono dell'anticipazione e dell'innovazione. Anche nei suoi scritti, raccolti in vari volumi (in partic. in R.R. Roberto Rossellini, a cura di E. Bruno, 1979, ora in Il mio cinema, 2001), l'elemento preminente è proprio l'evoluzione del linguaggio filmico in rapporto con quella del pubblico e in parallelo con lo sviluppo del linguaggio televisivo, due aspetti complementari dello stesso discorso. Per R. bisogna risalire agli studi teorici del Rinascimento sull'intuizione prospettica, alla camera ottica di A. Kircher, alla 'finestra' di L.B. Alberti o alla 'parete di vetro' di Leonardo, per comprendere l'unicità dei procedimenti della visione. Egli elabora una riflessione per cui lo schermo ‒ piccolo o grande ‒ non è che il punto terminale di un elaborato percorso in cui si riassumono i processi dell'ottica e successivamente dell'elettronica e dove la comunicazione audiovisiva trova il suo senso conoscitivo. Per R. nel mezzo televisivo è lo stesso meccanismo di immagini, di suoni e di parole a muovere questa dualità sguardo/sonoro oltre i confini del conosciuto. Come egli stesso avrebbe insegnato agli allievi dell'Università di Houston in una serie di lezioni tenute in qualità di visiting professor, per mettere in crisi lo stesso sapere con un altro sapere, per trasformare "il divertimento in conoscenza", bisogna porsi il problema della popolarità, non come comodo alibi ma in quanto traguardo da conquistare. Di queste idee fu anzitutto testimonianza la serie dei documentari televisivi L'Età del Ferro (1964), realizzata in varie puntate dal figlio Renzo (nato dalla prima moglie, la costumista Marcella De Marchis) su soggetto, sceneggiatura e supervisione di R., contributo a questo suo modo di considerare la Storia come un continuo cammino dell'uomo, partendo da un nucleo unitario ‒ la Toscana, l'Etruria ‒ dall'Età del Ferro sino alla cronaca dei nostri giorni. La 'presentificazione' del passato, quasi nell'evidenza di una presa diretta, continuò con La prise de pouvoir par Louis XIV (1966), dove l'invenzione del vero, che scandisce la minuziosa ricostruzione del vivere quotidiano del Re Sole fino alla morte, costituì il modello degli altri film televisivi che egli stesso, nello scritto Riflessioni e considerazioni per una educazione integrale (in R.R. Roberto Rossellini, 1979, p. 84), riordina in questa logica successiva che comprende anche i suoi film di carattere storico: La lotta dell'uomo per la sua sopravvivenza (1967), L'Età del Ferro, Il Messia (1975), Gli atti degli Apostoli (1968), Socrate (1970), Pascal (1971), Cartesius (1974), La prise de pouvoir par Louis XIV, Viva l'Italia!, Anno uno (1974). In particolare quest'ultimo è incentrato sui giorni della ricostruzione, con A. De Gasperi lacerato e assediato dalla stessa Democrazia cristiana, mentre in Il Messia viene configurato l'atto materializzato, delineando la dimensione 'necessaria' di un rapporto di causa-effetto tra Dio e l'uomo e realizzando la riduzione storica di una leggenda. Gli oggetti di legno che escono dalle mani di un Cristo falegname sono le parole, e il commento parabole oggettuali di un cifrario dell'inconoscibile. Questa fiducia di R. nell'evoluzione, nel pensiero, nella cultura rimase il punto fermo della sua ricerca, il suo sogno utopico, per es. nell'inseguire K. Marx anche attraverso la stella cometa dell'avventura cristiana, come si legge nella sua sceneggiatura (elaborata con Silvia d'Amico Bendicò) del film mai girato sul filosofo tedesco, Lavorare per l'umanità (pubbl. postuma in "Filmcritica", nov.-dic. 1978, 289-90, pp. 362-420). Ma anche il viaggio di rivisitazione del Seicento napoletano, attraverso la Commedia dell'arte, fatto da Pulcinella in Pulcinella o le passioni, le corna e la morte, sceneggiatura anch'essa non realizzata, scritta da R. con Gruault (pubbl. in "Filmcritica", maggio-giugno 1987, 374-75, pp. 257-376), appartiene a questa sua Utopia della storia, al suo cinema basato sullo splendore del vero.
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