RICCI, Roberto
RICCI, Roberto (Berto). – Nacque a Firenze il 21 maggio 1905 da Arturo, funzionario delle ferrovie, e da Bianca Stazzoni.
Dopo aver frequentato l’istituto tecnico Galileo Galilei di Firenze, a diciassette anni si iscrisse al Politecnico di Torino, che lasciò nel 1924 per la facoltà di matematica dell’Università di Pisa. Due anni dopo passò nell’Ateneo fiorentino, dove nel 1926 si laureò in matematica e fisica. Prima di diventare un noto intellettuale fascista, letterato e animatore di cultura, Ricci era dunque un matematico (Buchignani, 1994, p. 13).
Antiborghese, anticlericale e anarchico, nei primi anni Venti mostrò un antifascismo intransigente destinato a esaurirsi in breve tempo. Grande ammiratore di Benito Mussolini già nel 1925, nel 1927 iniziò a collaborare alla rivista Il Selvaggio, fondata e diretta da Mino Maccari, esponente di un fascismo strapaesano, fautore della tradizione italiana, alla ricerca di un’alternativa alla cultura borghese. Appassionato lettore di Federigo Tozzi, Dino Campana e Ottone Rosai, in quegli anni frequentò il mondo letterario che ruotava intorno alla rivista toscana e che aveva fatto della critica contro la modernità una vera e propria battaglia culturale: subendo il fascino di Maccari, di Ardengo Soffici e di Curzio Malaparte, Ricci partecipò alle battaglie strapaesane in nome del ruralismo, della polemica antiborghese e della difesa della toscanità (p. 38).
Dall’esperienza del Selvaggio Ricci maturò la propria scelta esistenziale e trovò nella letteratura il senso della missione che avrebbe svolto nel fascismo: dal 1929 iniziò a collaborare con numerose riviste e, soprattutto, nel gennaio del 1931 insieme con Romano Bilenchi fondò L’Universale, rivista ch’ebbe fra i suoi collaboratori Camillo Pellizzi, Roberto Pavese, Diano Brocchi e Indro Montanelli e che terminò le pubblicazioni nell’estate del 1935 quando venne soppressa dal regime (Tarquini, 2009, p. 180).
Come scrisse nel 1931, Ricci riteneva che l’arte e la politica non fossero realtà separate e che non fosse possibile immaginare «un’arte senza partito e quasi senza patria», o «una poesia poggiata sulle nuvole dell’assoluto […] ignara di quella ferma legge che è la lotta delle civiltà» (Scrittore italiano, 1931, p. 9). Al contrario, gli studiosi dovevano assolvere un compito politico, morale, educativo: dovevano essere consapevoli del proprio ruolo di scrittori fascisti, senza subordinare la letteratura alle esigenze della politica, ma esprimendo una cultura radicalmente totalitaria in cui l’arte e la politica avrebbero svolto una funzione universale perché rappresentavano il sorgere e l’instaurarsi di una nuova civiltà.
A questa concezione della cultura corrispose la battaglia di Ricci per un fascismo imperialista, moderno e antigentiliano. Il suo imperialismo derivava dalla convinzione che il regime dovesse assolvere una missione storica creando una nuova civiltà fondata sul primato dell’italianità. Egli riteneva che l’Italia fascista avrebbe diffuso un messaggio universale, imponendo in tutto il mondo il proprio modello sociale e politico, e combattendo contro gli Stati nazionalisti e borghesi. Critico severo del nazionalismo, che considerava una dottrina politica figlia del liberalismo del XIX secolo, pensava che il fascismo imperialista fosse un’espressione politica moderna. Non si trattava di sconfessare le polemiche contro la modernità ottocentesca che aveva formulato sul Selvaggio, ma di svilupparle nell’ideologia dello Stato totalitario e cioè di battersi per l’affermazione di una nuova modernità italiana profondamente diversa da quella democratica.
L’antigentilianesimo venne esplicitamente dichiarato già nel primo numero della rivista, in cui Ricci scrisse: «fondiamo questo foglio con volontà di agire sulla storia italiana. Contro la filosofia regnante, che fermamente avverseremo, non ammettiamo che tutto sia storia», e aggiunse: «la libreria degli ultimi trent’anni ispira a noi rispetto e gratitudine per certi uomini che abbiam cari, ma anche una fiera fede di superarla» (L’Universale, I (1931), 1, p. 1). Ancora più incisivo fu il giudizio che i collaboratori dell’Universale espressero sulla riforma della scuola voluta da Giovanni Gentile nel 1923, arrivando a sostenere che criticare il filosofo fosse un dovere di ogni fascista preoccupato per le sorti della fascistizzazione della cultura e della società.
Nel gennaio del 1933 L’Universale pubblicò il Manifesto realista, che suscitò un ampio dibattito fra le principali riviste fasciste di quegli anni: vero e proprio programma ideologico, condannava la cultura idealista, il capitalismo, il nazionalismo e il cristianesimo come espressioni di una civiltà sconfitta dal fascismo e spiegava che il fascismo era una «rivoluzione imperiale, centro d’una imminente civiltà non più caratteristica d’un continente o d’una famiglia di popoli, ma universale». Il fascismo non era, dunque, il «salvatore della civiltà d’Occidente», ma «un principio mediterraneo, anteriore al cristianesimo, e dal cristianesimo accolto come sopravvivenza imperitura di paganità fino ad esser ripreso dal Rinascimento italiano». Persuasi che il problema religioso non si risolvesse «con filosofie e meno che mai con idoli idealistici», per rispondere alle esigenze della nuova civiltà, Ricci e i suoi collaboratori invocarono l’avvento della cultura realista che avrebbe sostituito l’idealismo gentiliano, anch’esso superato dal fascismo (Manifesto realista, in L’Universale, III (1933), 1, p. 1). In realtà nel Manifesto non vi era una vera e propria definizione del realismo, come notò nel gennaio del 1933 Camillo Pellizzi, convinto che per battere l’idealismo non bastasse dichiararsi realisti o rifiutare la filosofia richiamandosi a una concezione pratica, empirica e realista della battaglia politica (Antologia de «L’Universale», 1961, p. 45).
Nel 1935 L’Universale terminò le pubblicazioni; nell’aprile di quell’anno Ricci lasciò la direzione per partire volontario per la guerra di Etiopia. Secondo Bilenchi, che assunse la guida della rivista per pochi mesi, la ragione principale della soppressione del periodico risiedeva nell’imminente guerra d’Africa, per cui il regime chiudeva gli spazi al fascismo giovane e rivoluzionario per concentrare le proprie energie nella propaganda bellica (Roma, Archivio della Fondazione Ugo Spirito, Carte Brocchi: lettera di Romano Bilenchi a Diano Brocchi, Firenze, 7 luglio 1935). In realtà, nel luglio del 1934, Mussolini aveva invitato Ricci e i suoi collaboratori a scrivere sul Popolo d’Italia, a testimonianza della stima che nutriva nei confronti di molti fra questi giovani intellettuali fascisti. Negli anni successivi, infatti, il rapporto con il capo del governo e quello con Giuseppe Bottai segnarono la vita politica di Ricci, che nel marzo del 1939 fu tra i principali sostenitori della «Carta della Scuola» presentata dal politico romano al Gran Consiglio del fascismo e interpretata da parte di autorevoli esponenti del regime come una risposta alla riforma Gentile.
Nel febbraio del 1940 Ricci partecipò al convegno organizzato dalla Scuola di mistica fascista Sandro Italico Mussolini di Milano, e dallo scoppio della seconda guerra mondiale si impegnò per rilanciare il mito della rivoluzione, come accadde a molti altri fascisti che videro proprio nel conflitto la possibilità di ridare spazio a un fascismo rivoluzionario.
Morì nel deserto di Bir Gandula, in Libia, il 21 febbraio 1941, colpito da un aereo inglese.
Nel 1932 si era unito in matrimonio con Mafalda Mariotti, con la quale aveva avuto Giuliana (nata nel 1933) e Paolo (nato nel 1939).
Opere. Fra le opere di Ricci si segnalano: Errori del nazionalismo italico, Firenze 1931; Scrittore italiano, Roma 1931; La rivoluzione fascista. Antologia di scritti politici, Milano 1996.
Fonti e Bibl.: Roma, Archivio centrale dello Stato, Segreteria particolare del duce; Firenze, Archivio Berto Ricci; Roma, Archivio Fondazione Ugo Spirito.
Antologia de «L’universale», a cura di D. Brocchi, Pisa 1961; L. Mangoni, L’interventismo della cultura. Intellettuali e riviste del fascismo, Roma-Bari 1974, pp. 218-229; A. Asor Rosa, Lo Stato democratico e i partiti politici, in Letteratura italiana, I, Il letterato e le istituzioni, Torino 1982, pp. 551-555; P. Buchignani, Un fascismo impossibile. L’eresia di Berto R. nella cultura del Ventennio, Bologna 1994; A. Asor Rosa, Il fascismo. Il regime (1926-1943), in Storia d’Italia. Dall’Unità a oggi, X, Dalla Grande Guerra al ’68, Torino-Milano 2005, pp. 1505, 1567-1572; A. Tarquini, Il Gentile dei fascisti. Gentiliani e antigentiliani nel regime fascista, Bologna 2009.