PANDOLFINI, Roberto
PANDOLFINI, Roberto (Ruberto). – Nacque a Firenze il 3 luglio 1617 da Pandolfo di Roberto e da Virginia del senatore Cosimo Tornabuoni.
I Pandolfini erano una delle più antiche famiglie del patriziato fiorentino, le cui origini vengono fatte risalire a un notaio, ser Pandolfino di Rinuccino da Signa, membro del consiglio degli Anziani del Comune nel 1252. Da allora la partecipazione della famiglia al governo, della Repubblica prima e del Ducato mediceo poi, fu praticamente ininterrotta e sempre al massimo livello, tanto da poter annoverare fra i suoi membri 29 priori, 11 gonfalonieri di giustizia e 8 senatori. Dette inoltre due vescovi alla Chiesa. In particolare il padre di Pandolfini fu due volte membro dei Dodici buonuomini, capitano di Borgo San Sepolcro (1621-22), membro degli Otto di Guardia e Balìa, dei Nove conservatori, dei Maestri di zecca e di altre magistrature.
Dopo i primi studi a Firenze, Pandolfini si recò a Pisa a intraprendere gli studi giuridici e si laureò in utroque iure il 29 maggio 1640; promotore alla sua laurea fu Virgilio Vecchi. Si iscrisse al Collegio degli avvocati di Firenze per esercitare la libera professione e contemporaneamente cominciò a far parte delle magistrature cittadine, specialmente di quelle a carattere collegiale, retaggio del periodo di governo repubblicano; queste ultime, ancora assegnate con il sistema dell’estrazione a sorte, erano riservate ai membri del patriziato e soggette a rotazione frequente nella loro composizione. La prima, in ordine di tempo, fu quella di membro dei Maestri di zecca, i sovrintendenti al conio delle monete, per sei mesi dal 1° marzo 1640, carica ereditata dal padre che, designato a componente della magistratura, era morto prima dell’inizio del mandato.
Dal 1° dicembre 1649 fu per quattro mesi membro degli Ufficiali dell’onestà, magistratura che sorvegliava sull’esercizio del meretricio; dal 1° novembre 1651 fu, sempre per quattro mesi, membro degli Otto di Guardia, la principale delle magistrature penali, carica ricoperta di nuovo dal 1° luglio 1672; per due volte, dal 1° novembre 1652 e dal marzo 1671 fece parte dei Conservatori di leggi, la magistratura che sorvegliava sull’esercizio delle cariche pubbliche; per tre volte (1653, 1673, 1695) fece parte dei Dodici buonuomini, l’unico dei due collegi di origine comunale a essere sopravvissuto al regime repubblicano. Ancora per tre volte (1657, 1664, 1665) fece parte del Magistrato dei pupilli, che tutelava giuridicamente i minori e gli incapaci, durando in carica ogni volta per un anno; varie volte fece parte del Magistrato supremo, detto anche Magistrato del luogotenente e consiglieri, che rappresentava il supremo Tribunale del principe, e dei Capitani d’Or San Michele, che sovrintendevano a uno dei più importanti enti assistenziali della città. Oltre ad altre cariche minori, fu membro del consiglio dei Duecento per il quartiere di S. Giovanni dal 2 gennaio 1671, e innumerevoli volte fece parte degli Accoppiatori (coloro che immettevano i nomi degli eleggibili nelle borse per l’estrazione a sorte) e fu sindaco assessore del Consiglio di giustizia. Ebbe anche un incarico esterno: fu podestà dell’Impruneta per sei mesi dal 10 marzo 1677.
In virtù delle sue capacità si distinse presso il granduca di Toscana Cosimo III, che nel 1670 lo nominò membro vitalizio del Senato dei Quarantotto, il collegio ristretto formato dagli esponenti delle famiglie più in vista, nel seno del quale venivano reclutati, mediante nomina diretta o indiretta da parte del granduca, i candidati agli incarichi di maggior rilievo per il governo dello Stato. A riprova del fatto di essere ormai divenuto uno dei più alti e competenti funzionari granducali, Pandolfini fu scelto, nel settembre 1675, come membro della Deputazione per la riforma dei magistrati, commissione istituita da Cosimo III in vista di un vasto piano di riorganizzazione politico-istituzionale, che avrebbe dovuto riguardare le principali magistrature del governo centrale e toccare in qualche misura anche le amministrazioni locali del Granducato.
La Deputazione era composta dai più stretti collaboratori del granduca, che avevano al loro attivo una lunga pratica amministrativa: oltre a Pandolfini ne facevano parte il marchese Gabriello Riccardi, maggiordomo maggiore, il conte Ferdinando Bardi, l’auditore fiscale Emilio Luci, Carlo de’ Ricci, auditore alle Riformazioni, l’auditore alla Consulta Francesco Venturini, l’auditore alla Regia giurisdizione Ferrante Capponi, il depositario generale Francesco Feroni, i senatori Carlo Torrigiani, Alamanno Arrighi, Ugo Della Stufa, Orazio Marucelli. Il compito precipuo di questa commissione era quello di controllare l’operato delle varie magistrature e dei vari organi dello Stato, soprattutto di quelli che avevano competenza nella giustizia civile, per «investigare se alcun difetto et abuso sia stato introdotto in pregiudizio della giustizia et in danno particolarmente de’ poveri; se varie leggi stabilite nei tempi andati si adattino al bisogno et alle congiunture presenti, opure vi sia occasione di abolirle e mutarle; se i ministri destinati al servizio pubblico soddisfacciano con puntualità al debito de’ loro uffici» (Benigni, 1993, p. 178). Il progetto di riforma intrapreso da Cosimo III segna l’affermazione di un piccolo gruppo di funzionari, accomunati, oltre che da comprovate capacità, dalla volontà di riforma e svecchiamento dell’apparato istituzionale del Granducato.
I membri della Deputazione avrebbero dovuto operare divisi in piccoli gruppi, distribuendosi presso le varie magistrature: in particolare Pandolfini avrebbe dovuto visitare, insieme con il senatore Ugo Della Stufa, il Magistrato supremo, il supremo Tribunale del Granducato, per verificarne il funzionamento e la rispondenza alle leggi e ai regolamenti. Il progetto di riforma era molto ambizioso, ma non trovò piena realizzazione: a un’analisi puntuale delle disfunzioni (sovrapposizione di competenze, farraginosità della normativa, tempi troppo lunghi per la decisione delle cause) non corrisposero riforme strutturali adeguate e il documento di sintesi scaturito dall’operato della Deputazione, la Riforma generale e rinnovatione di leggi per tutti i magistrati et iusdicenti, datata 12 agosto 1678, si limitò a scaglionare in modo più razionale le riunioni degli organi collegiali, a unificare le tariffe degli atti giudiziari, a ridurre il numero dei camarlinghi e a poche altre modifiche di non grande rilievo. Quanto al Magistrato supremo, oggetto delle particolari cure di Pandolfini, per venire incontro all’esigenza di meglio tutelare in giudizio le persone più bisognose, esigenza ben evidenziata nell’atto istitutivo della Deputazione, fu creata nel suo ambito di giurisdizione la figura del provveditore dei poveri, con il compito di patrocinare gratuitamente le cause degli indigenti.
Negli anni successivi Pandolfini fu costantemente impiegato in incarichi di altissimo rilievo amministrativo, di nomina granducale e a carattere duraturo, pur continuando saltuariamente a essere estratto a sorte come membro delle magistrature collegiali: dal 1676 al 1679 fu provveditore del Magistrato dei pupilli; l’11 settembre 1679 sostituì Ugo Della Stufa come provveditore dei Capitani di parte guelfa. In questa veste autorizzò importanti lavori al corso dell’Arno, progettati da Vincenzo Viviani. Dal 1° settembre 1681 al 31 agosto 1693 fece ininterrottamente parte dei Nove conservatori del Dominio, la magistratura che aveva il compito di sovrintendere alle amministrazioni periferiche del Granducato, i cui membri, fino ad allora designati con cadenza semestrale, furono prorogati più volte proprio per metterli in grado di attuare le riforme strutturali suggerite dalla Deputazione sopra la riforma de’ magistrati.
La composizione della magistratura ricalcava in parte quella della preesistente Deputazione, dal momento che, oltre a Pandolfini, anche altri componenti dei Nove conservatori avevano in precedenza fatto parte della Deputazione stessa. Le riforme da attuare riguardavano soprattutto l’inasprimento dei controlli sulle amministrazioni locali, la riduzione delle spese e la diminuzione, all’interno del Magistrato dei nove, delle prerogative del soprasindaco, carica che rimase abolita per tutta la durata del mandato dei Nove eletti nel 1681. Allo scadere del mandato parte delle riforme attuate furono ritirate e la carica di soprasindaco reintrodotta con tutte le prerogative precedenti.
Contemporaneamente alla permanenza nel Magistrato dei nove, Pandolfini esercitò anche, dal 1682 al 1696, la carica di auditore alle Riformagioni, con il compito di controllare e guidare per conto del granduca l’operato dei consigli legislativi, presentando loro le risoluzioni del sovrano, in modo che le approvassero.
L’auditore delle Riformagioni fungeva anche da segretario della Pratica segreta, ricoprendo un ruolo di mediazione tra questo consiglio informale e il principe. Redigeva inoltre i testi dei provvedimenti legislativi, nonché i documenti di diretta emanazione del granduca, come i motupropri e i privilegi. L’importanza di questo ministro si manifestava apertamente nelle occasioni pubbliche solenni, quando sedeva al fianco del sovrano e pronunciava le arringhe ufficiali. Le attribuzioni assegnate dai granduchi nel corso del tempo a questa figura non furono mai fissate in maniera definitiva e variavano a seconda della persona che rivestiva l’incarico. In particolare a Pandolfini, oltre alle incombenze proprie della carica, fu affidata anche la concessione dell’imprimatur, per conto del granduca, sui libri destinati alla stampa: esercitava così una sorta di censura laica prima di renderli disponibili alla libera circolazione, che si affiancava a quella parallela esercitata dalle autorità religiose. Nel 1688 divenne anche segretario della Pratica segreta di Pistoia e Pontremoli, l’organo che esercitava la tutela amministrativa su queste località.
Nell’esercizio dei molti e gravosi incarichi, oltre che per la competenza tecnico-giuridica, si mise in luce anche per l’eloquenza oratoria: nel 1682, in occasione del nuovo squittinio, ovvero il rinnovo delle liste degli eleggibili alle cariche pubbliche, pronunciò un’orazione il cui testo si conserva manoscritto nella Biblioteca Moreniana di Firenze (I manoscritti …, 1957); il 13 agosto 1688 fu nominato membro di una commissione di quattro senatori (con Alessandro Segni, Carlo Ginori e Filippo da Verrazzano), incaricata di organizzare i festeggiamenti per il matrimonio del principe ereditario Ferdinando de’ Medici con la principessa Violante Beatrice di Baviera. Il 29 dicembre la principessa giunse a Firenze e prese alloggio a palazzo Pitti e nei giorni successivi Pandolfini, come presidente dei Senatori e luogotenente del granduca nel Magistrato supremo, prese parte a una serie di manifestazioni pubbliche in onore della principessa, e pronunciò, la sera del 15 gennaio 1689, un apprezzato discorso di benvenuto.
Pandolfini morì a Firenze il 9 marzo 1697 e fu sepolto nella Badia fiorentina.
Nel 1655 aveva ereditato dallo zio Filippo di Roberto il palazzo di famiglia in via S. Gallo a Firenze, eretto nel secolo precedente su disegno di Raffaello e oggi sede universitaria; nello stesso anno aveva sposato Elisabetta di Camillo degli Albizzi, morta di parto nel 1669. Dal matrimonio erano nati otto figli, di cui giunsero all’età adulta soltanto Pandolfo (1656-1731, senatore dal 1708); Filippo (1668-1708), Camillo (1669-1737, senatore dal 1715) e Porzia, andata sposa a Orazio di Rosso Strozzi.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Firenze, Carte Sebregondi, 4002; Auditore alle Riformagioni, 56-62; Tratte, 910 cc. 185v, 204r; 911 cc. 13v, 20, 73v, 74, 80, 102, 107, 248v; Memorie de’ viaggi e feste per le reali nozze de’ serenissimi sposi Violante Beatrice di Baviera e Ferdinando principe di Toscana, Firenze 1688, pp. 11, 67, 143-145; L. Carrer, Autori che trattano del moto delle acque, IV, Firenze 1768, p. 249; D.M. Manni, Il Senato fiorentino, Firenze 1771, pp. 91 s.; I manoscritti della Biblioteca Moreniana, III, a cura di B. Maracchi Biagiarelli, ibid. 1957, p. 89; F. Diaz, Il Granducato di Toscana. I Medici, Torino 1976, pp. 470 s. (con data errata: 1689 anziché 1679); I. Bigazzi, Da Giannozzo alla ‘vaga‘ Eleonora. Ricerche d’archivio, in Raffaello e l’architettura nella prima metà del Cinquecento, Firenze 1984, pp. 105 s.; C. Mozzarelli - G. Venturi, L’Europa delle corti alla fine dell’antico regime, Roma 1991, p. 89; P. Benigni, Francesco Feroni: da mercante di schiavi a burocrate nella Toscana di Cosimo III, in La Toscana nell’età di CosimoIII, Atti del convegno, Pisa-San Domenico di Fiesole (FI), 4-5 giugno 1990, a cura di F. Angiolini et al., Firenze 1993, pp. 178, 181; C. Vivoli, I lavori pubblici sotto Cosimo III, ibid., pp. 234 s.; M. Verga, Appunti per una storia politica del Granducato di Cosimo III, ibid., pp. 340 s., 343; G. Calvi, Il contratto morale, Firenze 1994, pp. 72, 74; F. Diaz, L’eta dei Lumi, III, Firenze 2003, p. 443; C. Callard, Le prince et la République: histoire, pouvoir et société dans la Florence des Médicis au XVII siècle, Paris 2007, p. 421.