MIRABELLI, Roberto
– Nacque ad Amantea (odierna provincia di Cosenza), il 7 genn. 1854 da Nicola, proprietario terriero, e da Maria Di Lauro, appartenente a una famiglia della nobiltà locale. Figlio unico della coppia, a tredici anni entrò nel collegio dei nobili Altavilla a Napoli; s’iscrisse poi alla facoltà di giurisprudenza. Fu allievo di F. De Sanctis e di G. Bovio e compagno di studi di A. Salandra, F. Torraca, G. Fortunato, G. Arcoleo e A. Marghieri. Ancora studente conobbe M.R. Imbriani che lo fece collaborare a L’Italia degli Italiani (organo dell’associazione Italia irredenta, fondato nel 1876) e lo introdusse, quindi, nel gruppo degli irredentisti. Insieme con Imbriani, Bovio, A. Gaetani di Laurenzana e F. Capone nel 1882 diede vita al Pro Patria, che prese il posto de L’Italia degli Italiani. Caporedattore del nuovo giornale fu A. Ghisleri, che interpretò nei suoi tanti editoriali e articoli l’indirizzo politico espresso soprattutto da Bovio. Repubblicani furono dunque gli amici più stretti del M., come repubblicano fu il suo indirizzo politico, ma per gran parte degli anni Ottanta fu l’irredentismo il motivo che lo legò a un gruppo che, attraverso molte fasi di assestamento e di crisi, fu sovente condizionato da tendenze molto diverse presenti al proprio interno e da non pochi particolarissimi casi personali. Vi erano infatti in quegli anni a Napoli repubblicani, ma non vi era il partito.
Il gruppo irredentista ebbe, comunque, una certa influenza soprattutto tra i giovani. «Facevo io parte – avrebbe ricordato C. Gaetani Nicastro – di una schiera di giovani irredentisti, che avevano per quartier generale l’antico Caffè de Angelis; e tra essi vi erano M. Magliano, G. Placella, P. Guarino, G. Sorgente, A. Labriola. Di tanto in tanto comparivano in mezzo a noi G. Poli e il grande patriota Roberto Mirabelli», che, «con G. Bovio, M. R. Imbriani e l’onorevole Di Laurenzana, mantenne viva in noi giovani la fiamma per l’Italia irredenta» (Napoli, Biblioteca nazionale, Carte Mirabelli, b. 2). Proprio Guarino divenne presto il rappresentante a Napoli della direzione del partito mazziniano e l’amministratore della locale sezione, ma a partire dal 1891, come gran parte di quegli studenti, passò al partito socialista.
La costituzione del partito repubblicano, nel 1895, inserì il M. in una rete organizzativa molto diversa rispetto a quella fino ad allora operante. L’adesione dei militanti di tutto il paese a un programma comune, una struttura partitica e associazionistica articolata e presente in gran parte del paese, sia nei centri maggiori sia in quelli più periferici, una rete di collegamento assicurata dagli spostamenti continui dei maggiori leader del partito, una propaganda svolta attraverso stampati e giornali locali coinvolsero anche il M. in un’attività nuova e, a volte, febbrile. Iniziarono i viaggi per conferenze e discorsi: il Circolo repubblicano di Polistena lo invitò a una commemorazione di G. Mazzini (1896), la sezione torinese del partito repubblicano gli chiese un intervento a un comizio organizzato contro le leggi Pelloux (1899), il redattore capo del giornale La Bandiera di Sulmona, nel quadro di una riorganizzazione locale del partito, gli chiese di intervenire a una manifestazione promossa da repubblicani e socialisti contro il dazio doganale sul grano (1895), la sezione romana lo invitò, infine, a una serie di conferenze tenute dai maggiori esponenti nazionali del partito «su tutte le questioni che attraversavano la vita politica» (ibid., 1896, b. 3).
Con l’elezione a deputato, nel 1890 (XVII legislatura), per il collegio di Cosenza, il M. s’inserì nel ristretto numero dei politici repubblicani che da quel momento sarebbero stati eletti in quasi tutte le legislature (il M. dalla XX legislatura). La partecipazione all’attività parlamentare e alla vita politica della capitale lo proiettò sempre più ai massimi livelli del partito e finì per fargli acquisire un prestigio notevole fra i repubblicani del paese. Le responsabilità assunte nel gruppo parlamentare e nel partito lo impegnarono soprattutto sul piano dottrinario e su quello del pensiero politico. Il M. cercò in tutti i modi di indicare la via che potesse trasformare il movimento mazziniano in un vero e proprio partito moderno, secondo regole e funzioni distinte rispetto a quelle di altri partiti.
Il M., innanzi tutto, intese affermare l’identità del partito repubblicano rispetto a quella del partito socialista. Il partito repubblicano, diceva, non poteva confondersi con partiti che ravvisavano nel fattore economico la prima ragione della storia. Secondo i repubblicani, disconoscere, sul piano scientifico e pratico, l’influenza della politica sui destini della civiltà, poteva solo rispondere a un atteggiamento infantile. Il tema, comunque, sul quale insisté fu quello relativo alla proprietà, che, secondo la dottrina di Mazzini, avrebbe dovuto essere sempre individuale e mai collettiva. «L’abolizione della proprietà individuale – aveva precisato in un discorso del giugno 1889 – e la sostituzione della proprietà collettiva sopprimerebbero ogni stimolo a dare, col miglioramento e col pensiero dato ai prodotti futuri, il più alto valore possibile di produzione alla proprietà – sopprimerebbero la libertà del lavoro negl’individui – e, attribuendo all’autorità di pochi rappresentanti lo Stato o il Comune, accessibili all’egoismo, alla seduzione, a tendenze arbitrarie, l’amministrazione di ogni proprietà, ricondurrebbero sott’altro nome tutt’i cittadini al sistema del salario, al quale vorremmo che a poco a poco sottentrasse l’associazione, e riaprirebbe le vie a tutti quei mali, che oggi provocano le nostre lagnanze contro i pochi detentori di capitali» (Su la proprietà. Discorso pronunziato in Napoli il 23 giugno 1889, Roma 1889, pp. 11 s.). I repubblicani potevano essere favorevoli alla consociazione, alla cooperazione e a una gestione più razionale e moderna della proprietà, ma non avrebbero mai potuto approvare l’ipotesi di una società collettivistica.
L’azione politica, secondo il M., pur tenendo presenti le differenti posizioni ideologiche e culturali, non avrebbe, tuttavia, dovuto trascurare i possibili incontri con tutti i partiti riformisti presenti nel panorama politico nazionale. I repubblicani, partecipi della vita parlamentare e legislativa, pur non trascurando la loro matrice antimonarchica, per ragioni politiche avrebbero dovuto favorire l’alleanza e la solidarietà soprattutto con radicali e socialisti al fine di costituire un grande schieramento riformatore. Dal perseguimento del principio mazziniano della solidarietà e dalla collaborazione di classe, infatti, il M. intravedeva addirittura la possibilità di una assimilazione del socialismo nel partito repubblicano.
Nonostante l’impegno, i risultati per il partito repubblicano nelle regioni dell’Italia meridionale non furono mai confortanti. Tra la fine dell’Ottocento e il primo decennio del Novecento la presenza di esponenti di quel partito fu soprattutto di tipo notabilare. Anche se gli iscritti passarono dai 221 del 1901 ai 1054 del 1905 e agli 866 del 1914, nelle quattro regioni del Mezzogiorno continentale (Abruzzo, Campania, Calabria e Puglia) le associazioni repubblicane si mantennero quasi costantemente tra le 20 e le 30. I pochi deputati confermati per gran parte di questi anni testimoniavano l’incapacità di andare oltre un elettorato legato direttamente al candidato: con l’eccezione, infatti, di G. Bovio per il collegio di Minervino Murge e di P. Pansini per il collegio di Molfetta, furono alterne le fortune elettorali di Imbriani, Gaetani di Laurenzana e dello stesso Mirabelli. Insomma, come avrebbe scritto W. Mocchi, si poteva dire che «benché Napoli ospitasse dei repubblicani eminenti, che si chiamavano G. Bovio, P. Pansini, M. R. Imbriani, N. Colajanni, Roberto Mirabelli […] non poteva dirsi davvero che in Napoli esistesse un forte partito repubblicano» (W. Mocchi, I moti italiani del 1898. Lo stato d’assedio a Napoli e le sue conseguenze, Napoli 1901, p. 85).
Dopo essere stato eletto deputato nel 1890 per il collegio di Paola, con il passaggio all’uninominale per il M. divenne impossibile farsi rieleggere. A partire dal 1892, infatti, di quella zona divenne indiscusso leader Giacomo Del Giudice. Eletto senza interruzione a partire dal 1876 per il partito che aveva al vertice a Cosenza il nicoterino L. Miceli, Del Giudice, che fu anche segretario generale al ministero dei Lavori pubblici tra il 1881 e il 1883 (governo Depretis), in quelle elezioni divenne unico e accanito contendente del Mirabelli. Giovandosi di una nutrita e articolata famiglia presente sul territorio, di una forza economica radicata nel possesso di ampie proprietà terriere, del controllo di gran parte delle amministrazioni locali che dispensavano appalti e impieghi, dell’appoggio incondizionato del prefetto e del sottoprefetto e di molti sindaci, a eccezione di quelli di Lago e di Amantea, Del Giudice prevalse facilmente sul Mirabelli. L’esponente repubblicano tentò anche di dimostrare alcune irregolarità commesse nel corso delle elezioni, ma tutto fu vano.
In realtà, pur tenendo conto di alcune scorrettezze compiute, non c’è dubbio che il candidato governativo poté giovarsi di un suo maggiore radicamento nel territorio. Tutto il contrario del M., che diresse le operazioni elettorali da Napoli e che solo attraverso un ristretto numero di amici calabresi, spesso residenti anch’essi nell’ex capitale, di corrispondenti e agenti elettorali nei Comuni del collegio fece sentire la sua presenza. In fondo il M., pur essendo nato ad Amantea, ma vivendo da molti anni a Napoli, dove si era costruito una vita molto diversa da quella del suo paese di origine, dimostrò di avere poco o nulla a che fare con una realtà del tutto dimenticata e lasciata in giovane età.
Le elezioni del 6 nov. 1892 diedero a Del Giudice 1608 voti e al M. 972. Dopo il ricorso alla Giunta per le elezioni e prima dell’invio da parte della Camera degli atti elettorali all’autorità giudiziaria, Del Giudice si dimise. Le elezioni furono ripetute il 28 maggio 1893: nonostante l’esplicito appoggio dato da G. Nicotera, che in una lettera al sindaco di Paola invitava a votare per il «bravo giovane Mirabelli» al fine di «rialzare moralmente il carattere de’ calabresi» e di far rappresentare «il nostro collegio da un uomo di carattere», il candidato repubblicano fu nuovamente sconfitto. Il M. perse anche le successive elezioni del 1895. In quella occasione fu proprio Miceli, ministro dell’Agricoltura con F. Crispi tra il 1889 e il 1891 e leader del partito governativo cosentino, a batterlo nettamente. Solo alle elezioni del 1897 il M. riuscì invece a farsi eleggere contro Del Giudice.
Dopo questa esperienza, però, il M. non si presentò più per un collegio meridionale. Ravenna, roccaforte del partito, divenne il suo nuovo collegio che lo elesse per tre legislature consecutive. Pur continuando a vivere a Napoli e a partecipare alla vita politica di quella città, il M. si distaccò definitivamente dal corpo elettorale sia della propria terra d’origine sia dell’ex capitale, per legarsi a un’area che più di altre aveva visto affermarsi l’organizzazione partitica. Le battaglie a favore di un allargamento del suffragio furono in qualche modo una risposta anche alle condizioni degradanti dei confronti elettorali delle province meridionali: il M. ritenne sempre, proprio alla luce dell’esperienza personale, che solo da un più ampio coinvolgimento di quegli strati sociali fino ad allora esclusi dal voto si sarebbe potuto modificare la natura clientelare della lotta politica e affermare uno scontro di idee rappresentate da partiti organizzati.
L’esperienza fatta nel collegio di Paola convinse sempre più il M. dell’ormai improrogabile necessità di riformare il sistema elettorale e politico italiano. Il suffragio universale divenne così uno dei punti centrali della sua battaglia politica e dell’intero programma del partito repubblicano. Era, infatti, proprio la ristrettezza del suffragio a permettere, secondo il M., l’uso personale e improprio della politica in gran parte delle province meridionali. «Il piccolo collegio odierno – scriveva – è per il Mezzogiorno un vero feudalesimo elettorale. Alcune famiglie diventano arbitri nella scelta dei deputati perché raggruppano intorno a sé alcune centinaia di elettori» (Botte e risposte sul suffragio universale. Con nota di E. Leone, Roma 1906, p. 21). Probabilmente fu proprio l’esperienza cosentina a suggerirgli, poi, il secondo articolo di una legge, proposta insieme con altri deputati repubblicani e socialisti, in cui, oltre all’allargamento del suffragio, s’intendeva combattere l’uso improprio della scheda elettorale. Quest’ultima, secondo gli intenti del progetto, non avrebbe dovuto, infatti, contenere se non il nome e cognome del candidato.
Fra i suoi numerosi scritti dedicati alle questioni elettorali si vedano: Il suffragio a popolo e la rappresentanza giusta, Napoli 1881; Il suffragio universale, Roma 1900; La rappresentanza proporzionale, Napoli 1901; Partito repubblicano italiano, Relazione del comitato centrale per il suffragio universale, Roberto Mirabelli relatore, Milano 1902; Il suffragio universale alla Camera (dal resoconto stenografico del 6 dic. 1905), Roma 1905; Il problema dell’elettorato: relazione, Firenze 1910.
Il M. si sposò all’età di 68 anni, il 9 febbr. 1922, con Letizia Bocchetti, napoletana. Morì pochi anni dopo, il 26 ag. 1930, a Napoli.
Altri scritti: Lettera di Roberto Mirabelli a M.R. Imbriani, Napoli 1880; Per la storia rivoluzionaria del Sessanta, Bologna 1886; Le franchigie pubbliche in Italia, Avellino 1890; Discorsi e conferenze, Napoli 1892; Problemi moderni, Torino-Roma 1895; La libertà di stampa in Italia, Roma 1897; Il carattere costituzionale dello Stato italiano, Bologna 1903; Il Partito repubblicano in Italia e l’azione parlamentare, Roma 1903; Il militarismo in Italia, Napoli 1903; Roma nel 1849: conferenza tenuta in Bologna il 9 febbr. 1904, Bologna 1904; Il gabinetto Sonnino, ibid. 1906; Un secolo di storia italiana, Napoli 1911; Il segreto di Stato, Roma 1916; Mazzini: la vita, San Casciano Val di Pesa 1922; Garibaldi e Cavour nella storia d’Italia per la redenzione del Mezzogiorno, Napoli 1929; Dalla Libia a Vittorio Veneto et ultra, Milano-Genova, 1932; Mazzini, Milano 1944.
Fonti e Bibl.: Per la storia personale e politica del M. sono importanti le Carte Mirabelli e il Fondo librario Mirabelli presenti presso la Biblioteca nazionale di Napoli. Si vedano inoltre: L. Lotti, I repubblicani in Romagna dal 1894 al 1915, Faenza 1957, ad ind.; Democrazia e socialismo in Italia. Carteggi di N. Colajanni: 1878-1898, a cura di S.M. Ganci, Milano 1959, pp. 96, 99, 118, 122; Mazzini e i repubblicani italiani. Studi in onore di T. Grandi nel suo 92° compleanno, Torino 1976, pp. 362, 542; M. Tesoro, I repubblicani in età giolittiana, Firenze 1978, ad ind.; G. Spadolini, I repubblicani dopo l’Unità (1871-1980), Firenze 1980, pp. 97 s., 270, 272-274; L. Musella, Individui, amici, clienti. Relazioni personali e circuiti politici in Italia meridionale tra Otto e Novecento, Bologna 1994, pp. 123-159; E. Falco, Salvatore Barzilai, un repubblicano moderno tra massoneria e irredentismo, Roma 1996, pp. 40, 79, 96, 101 s., 107 s., 172, 272; J.-Y. Frétigné, Dall’ottimismo al pessimismo. Itinerario politico ed intellettuale di Colajanni dalla svolta liberale al fascismo, Roma 2007, pp. 18, 49, 60, 64, 68, 209.
L. Musella