MELLI, Roberto
MELLI, Roberto. – Nacque a Ferrara il 21 marzo 1885 in una famiglia di origine ebraica, da Cesare, contitolare della ditta di cancelleria all’ingrosso Melli & Finzi, e da Linda Ancona. A diciassette anni, studente di ragioneria destinato a lavorare nella società di famiglia, vide al Castello Estense una mostra del pittore N. Laurenti, di cui iniziò a frequentare lo studio, e presso lo scultore A. Minerbi compì i primi calchi in gesso (1897-99).
Nel 1902 seguì la madre a Genova, dove la sorella Rina pubblicava Eva, un combattivo giornale per le donne d’ispirazione socialista. Nella sede del quotidiano Il Lavoro, di cui il cognato P. Maranini era redattore, strinse amicizia con il poeta ligure C. Roccatagliata Ceccardi e attraverso questi conobbe lo scrittore C. Sbarbaro e lo scultore G. Prini. Entrò in contatto con il poeta, drammaturgo e incisore A. Porcella nella bottega dell’intagliatore in legno C. Turina, dove il M. abitava sin dal 1903 e dove apprese l’arte della xilografia. Con questa tecnica realizzò nel 1906 per la rivista Ebe (pubblicata a Chiavari), diretta da L.R. Sanguineti, testatine, finalini e capilettere, che coniugavano un segno fluente d’ispirazione simbolista con inquadramenti architettonici rinascimentali e robustezze d’ascendenza preraffaellita.
Si ricordano: Per una nave di battaglia (II [1906], 11, pp. 1 s.: Appella - Calvesi, p. 193), posta a commento dell’ode omonima di Roccatagliata Ceccardi (di cui il M. disegnò anche la copertina per la pubblicazione in volume, Ebe Editrice, Genova 1907) e La preghiera del giorno (III [1907], 1-2). Nel 1907 disegnò copertina e testata per la nuova annata della rivista, dove pubblicò i suoi primi scritti: I cavalieri dell’arte e Ad Alpinolo Porcella (Appella - Calvesi, pp. 194 s.), animati da una visione dell’arte come espressione dell’epoca moderna.
Al 1906-08 risalgono anche le prime prove scultoree, d’impronta antimonumentale e antidecorativa: Figure tra gli alberi (1906, legno: collezione privata), che riflette il rapporto panico tra uomo e paesaggio proprio del romanticismo; una Maternità (1907, cera: Roma, collezione Bertolami; bronzo: collezione privata) essenziale e ieratica; la testa arcaica di Ritratto di bambina (1908, cera: ubicazione ignota, già collezione T. Interlandi).
Nel clima modernista di un’arte totale il M. si avvicinò alle più diverse tecniche artistiche e ai più diversi materiali: plasmò la ceramica (Due elementi di un’urna, 1906-07: collezione privata), disegnò cornici (1910-12: collezione privata) e sperimentò lo sbalzo su metallo, vincendo nel 1910 una borsa di studio che gli permise di trasferirsi in quello stesso anno a Roma per frequentare la Regia Scuola dell’arte della medaglia, dove insegnava G. Romagnoli.
Frutto di tale esperienza è Adolescente (La giovinetta) (1911-12, rame sbalzato: collezione Fintermica-Jacorossi, in Appella - Calvesi, fig.6), incentrato sullo studio della luce. Risalgono poi all’arrivo nella capitale i primi saggi pittorici, caratterizzati da un vivace cromatismo, quali La fantesca (1911: Roma, Galleria nazionale d’arte moderna, indi GNAM), realizzati sullo stimolo delle opere degli impressionisti e postimpressionisti francesi viste all’Esposizione internazionale per il cinquantenario dell’Unità d’Italia del 1911.
A Roma, dove sposò nel 1912 Anna Meotti, sua fidanzata sin dagli anni ferraresi, il M. aggiornò la propria cultura plastica attraverso la conoscenza diretta delle sculture di A. Rodin e di M. Rosso, avviando una ricerca volta a solidificare la luce in un serrato dialogo tra pieni e vuoti.
Questa ricerca ebbe i suoi frutti nella Maschera di Ferruccio Garavaglia (1910, gesso: Appella - Calvesi, fig. 3) e nel volto perfettamente scorciato del Ritratto dell’attrice Giulia De Riso o Testa di Giulietta De Riso (1910, gesso: ibid., fig.4), entrambi conservati in collezione privata e inviati nel 1912 alla I Esposizione italiana di xilografia organizzata a Levanto dalla rivista L’Eroica, insieme con due figurini e con il bozzetto di scena per L’usignuolo e l’arpia di A. Porcella. Per questa stessa opera teatrale il M. realizzò un «avviso murale», che presentò nella medesima occasione con altri quattro disegni per cartelloni teatrali. Le sculture sopra citate comparvero nel 1913 alla I mostra della Secessione romana al palazzo delle Esposizioni. Chiusero questa prima fase di ricerca tre versioni di Mascherina in bronzo del 1913 (tutte in collezione privata), nelle quali il gusto del frammento si coniugava con una plastica grumosa, che rendeva le forme partecipi dell’atmosfera. Seguì Mia moglie (1913), in cui le orbite incavate degli occhi costituiscono il primo saggio di una scultura composta per contrasti chiaroscurali e volumi in negativo. Di quest’opera il M. presentò l’abbozzo, l’originale in cera (Ferrara, Gallerie d’arte moderna e contemporanea) e il bronzo (Roma, GNAM) nel 1914 alla II mostra della Secessione romana. A questa esposizione, dove il M. fu anche membro di giuria come rappresentante del Gruppo moderno italiano (già Gruppo moderno romano), fondato con C.E. Oppo, V. Costantini, G. Fioresi e G. Pizzarini nel gennaio di quello stesso anno, presentò altre sculture, innovative nella concezione: Signora col cappello (Ritratto di Zoe Lampronti Campagnano) (1913, bronzo: Roma, GNAM) e Ritratto del pittore V. Costantini (1913, peperino: ibid.). Quest’ultima opera, nell’estrema stilizzazione, nelle scansioni e aperture ritmiche dei volumi e negli aguzzi tagli sghembi, è il lavoro di maggiore caratterizzazione futurista. Tali sculture rappresentavano un originale superamento sia della retorica della statuaria ottocentesca sia della smaterializzazione impressionistica di Rosso, in accordo con la lezione di Rodin e di P. Cézanne che era alla base anche del dinamismo plastico delle sculture di U. Boccioni, esposte proprio l’anno prima presso la galleria futurista di G. Sprovieri a Roma, frequentata dal Melli. Lo stesso Boccioni nel 1913 aveva visitato con M. Sironi lo studio del M., che, però, differentemente da questi, optò per un principio di costruzione della forma secondo masse staticamente impostate, in sintonia con il cubismo. Il passaggio a una sperimentazione pittorica moderna avvenne, invece, con La ridente (1913) della GNAM di Roma, dal colore fauve e dalle pennellate memori del divisionismo di G. Previati.
Dopo essere stato con Oppo, F. Carena e A. Spadini tra i più attivi nella polemica contro E. Ferrari e la gestione clientelare delle mostre italiane all’estero (1915), s’impegnò nel 1916 nel bozzetto del monumento a Pio X per la basilica di S. Pietro (non accettato: Appella - Calvesi, p. 202) e visitò l’Abruzzo dove, per conto dello Stato, restaurò sbalzi, ceramiche e oreficerie delle chiese danneggiate dal terremoto.
Chiamato alle armi in quello stesso 1916, conobbe a Ferrara G. De Chirico. Rientrato a Roma nel 1917, non si rivolse più alla scultura, ma approfondì la ricerca coloristica attraverso apporti matissiani e suggestioni primitiviste, come in Creola e Controluce (entrambe del 1917 conservate presso la GNAM di Roma), rifiutando però la negazione del passato propria delle avanguardie. Nel 1918 portò a compimento due progetti ambiziosi: in risposta alle analoghe iniziative di A.G. e di C.L. Bragaglia, oltre che di E. Prampolini, fondò una casa d’arte in via dei Coronari e, insieme con M. Broglio, la rivista Valori plastici che, nei suoi due anni di attività, fu portavoce di un rinnovamento culturale basato sul recupero della tradizione italiana.
Nel primo numero della rivista (15 nov. 1918) pubblicò Prima rinnegazione della scultura, che segnò ufficialmente il suo definitivo passaggio alla pittura, perché capace di rappresentare l’inquieto spirito del tempo al contrario della scultura ferma al mito michelangiolesco.
Nacquero in questo clima dipinti quali: Composizione di oggetti della GNAM di Roma (1918: Appella - Calvesi, fig. 12), caratterizzato da un’atmosfera di sospensione già metafisica; Testa (1919: ibid., p. 203), costruito a larghi piani, espressione di una ricerca d’ordine geometrico che giunse a compimento in Interno conservato in collezione privata (1919-20: ibid., p.200), dove il M. coniugò una precisa definizione spaziale con una costruzione luminosa e rigorosa raggiunta per sensibilizzazione tonale dei piani.
Nel 1921 prese parte alla mostra itinerante di Valori plastici in Germania, dal titolo «Das Junge Italien», che toccò Berlino, Hannover, Amburgo e Dresda.
A Roma il M. ritrovò anche un amico degli anni genovesi, G. Riccobaldi Del Bava, scenografo e cartellonista cinematografico, con il quale tenne una lunga corrispondenza. Nel 1919 divenne direttore artistico della casa di produzione San Marco Film di Ferrara (1920-22), collaborando alla commedia cinematografica diretta da N.F. Neroni La cugina d’Alcantara, in lavorazione dal 1919, ma distribuita solo nel 1923-24.
Ispirandosi alla favola I fiori della piccola Ida di H.C. Andersen ideò sceneggiatura e scenografia della Piccola fioraia, opera diretta da N. Martinengo e proiettata nel 1923; fu direttore di produzione della pellicola A mosca cieca, con la regia di G. Cassini-Rizzotto (uscita nel 1922), e coregista insieme con N.F. Neroni del film La casa dei libri (1922). Nel 1923-24 uscirono, infine, Il fiore del destino, del quale il M. fu l’unico autore, e Il pane altrui, diretto da T. Ruggeri e scritto dal M. adattando l’omonima commedia di I.S. Turgenev. Altra riduzione cinematografica fu dalla commedia di A. Peri Il vecchio caporal Simon (Cibotto).
Chiusa la parentesi cinematografica, il M. fu invitato a esporre alla Fiorentina Primaverile del 1922, dove inviò il gruppo delle quattro sculture del 1913 e il dipinto Ritratto di mia moglie. Seguì un lungo periodo di inattività, cui posero fine le ristrettezze economiche, che spinsero il M. a disegnare copertine di libri (1923-24: Appella - Calvesi, figg. 72-76) e a fondare nel 1926 l’Editrice del Cartello Melli.
Si riferiscono a questa attività i bozzetti pubblicitari realizzati nel 1927-29 (ibid., figg. 77-84), caratterizzati da un’arguzia sintetica, in linea con le più raffinate espressioni del lessico del tempo, che gli valse nel 1928 il primo premio al concorso per il cartellone indetto dalla I Esposizione nazionale della cooperazione a Roma.
Non riuscendo a ottenere le sperate commesse, tornò a concentrarsi sulla ricerca pittorica e nel 1932 espose alla III Mostra del Sindacato regionale fascista di belle arti del Lazio sette lavori, tra i quali: Natura morta (campanello), Paesaggio grigio, Natura morta (vaso bianco) che, giocati sull’accostamento di colori tonali, restituivano la realtà al di là delle variazioni di luce e ombra. Contemporaneamente prese a collaborare con la rivista Quadrivio (1932-36), per la quale concepì una serie di visite agli artisti del suo tempo. Nel 1933 comparve nelle vesti di critico d’arte e di pittore tra i firmatari delle tre stesure, redatte insieme con G. Capogrossi, E. Cavalli, C. Cagli, E. Sclavi e F. Ciliberti, del Manifesto del primordialismo plastico, in cui erano poste le basi programmatiche della pittura tonale.
Primi saggi di tale poetica furono le opere esposte nel 1935 alla II Quadriennale nazionale d’arte di Roma, improntate a una maggiore corposità materica. Si ricordano: Natura morta (1934) di sapore morandiano; Giovinetta (o Ritratto), a Ferrara, Gallerie d’arte moderna e contemporanea, memore della saturazione segnico-cromatica di E. Vuillard; una scena domestica di carattere autobiografico, Composizione; e Testa di donna (mia moglie), terracotta del 1934 (Firenze, collezione Vignoletti), in cui la plastica del M. giungeva, attraverso la semplificazione dei piani e dei volumi, a una sodezza di forme conchiuse.
Nello stesso anno vinse con il Busto del capitano G. Carolei (bronzo: Roma, Museo del Vittoriano; gesso: Ferrara, Gallerie d’arte moderna e contemporanea) il premio della Regina. Nel 1936 tenne la sua prima personale.
Presentato da L. De Libero espose alla galleria La Cometa di Roma un gruppo di sei dipinti, tra i quali: Interno (1935: Roma, GNAM); Autoritratto (1936: Ibid., collezione Natale), che avviava un processo di disgregazione della forma culminato nel drammatico Ultimo autoritratto del 1957 (Firenze, Palazzo Pitti); Sinfonia in rosso (1936: Ivrea, Società Olivetti); La scenografa (1936: collezione privata: Appella - Calvesi, fig. 27), raffigurante Mimma Riccobaldi in uno spazio a poliedri bianco-neri prospetticamente impostati di ascendenza casoratiana e quattrocentesca.
Seguì la partecipazione (1937) alla collettiva ordinata a New York dalla medesima galleria, che fino al 1938 fu il centro propulsore dell’arte romana. Contemporaneamente prese parte alla VI, VII e VIII Mostra del Sindacato regionale fascista di belle arti del Lazio (1936: Natura morta, Composizione, Paesaggio; 1937: Paesaggio, Interno; 1938: Natura fantastica, Roma, GNAM; Ritratto, Violetta, Natura morta) e nel 1937 realizzò, su commissione del ministero degli Esteri, un Ritratto del duce destinato alla sede di un’ambasciata italiana (Appella - Calvesi, p. 220).
Nel 1938, in seguito alle leggi razziali, perse ogni diritto civile e la possibilità di partecipare a esposizioni pubbliche.
Al termine del conflitto un riconoscimento al suo ruolo di maestro fu la cattedra di pittura all’Accademia di belle arti di Roma (1945), che il M. detenne per dieci anni, nonché l’invito a esporre nel 1946 a mostre d’arte italiana alla Redfern Gallery di Londra (Ritratto, Interno) e al Museo nazionale di Varsavia (Composizione, 1940; Ritratto, 1944). Negli anni seguenti si impegnò nella formazione di associazioni artistiche, come la Libera Associazione di arti figurative presieduta da G. Severini (1945-46) e l’Istituto per la solidarietà artistica, volto a sostenere gli artisti in difficoltà economica (1946).
La sua pittura visse un momento felice, dialogando con le tendenze neocubiste sulla base di una maggiore sintesi dei piani cromatici, tanto che R. Guttuso, presentando nel 1947 la personale del M. alla galleria del Secolo, riconobbe in quella luce fredda incastonata in zone tonali nette e taglienti una lezione per la coeva Scuola romana. Dopo il suo rifiuto a partecipare alla Biennale di Venezia del 1948, la ricerca ormai quarantennale del M. fu presentata da C.L. Ragghianti nel 1950 alla galleria La Strozzina di Firenze e alla galleria Gian Ferrari di Milano: una settantina le opere esposte, tra dipinti, sculture, disegni (Roma, Gabinetto nazionale delle stampe), realizzate tra il 1909 e il 1948 (si ricordano: Paesaggio lunare, 1931: Roma, collezione Ingrao; Profilo, 1934: Ibid., collezione Eredi Sprovieri; Sponde del Tevere, 1947: Ibid., Presidenza del Consiglio dei ministri). Sempre nel 1950 la XXV Biennale di Venezia gli dedicò una sala con quattordici opere-cardine, tra le quali: L’abito a scacchi (1927: Roma, GNAM) e La vestaglia cinese (1929: Milano, collezione P. Pini) di vocazione pierfrancescana per il culto astratto della forma, nonché il primo Autoritratto (1933: Ferrara, Gallerie d’arte moderna e contemporanea).
Negli anni Cinquanta continuò a occuparsi di critica d’arte, collaborando con La Fiera letteraria (1951-53) e Paese (1957), e a impegnarsi in campo sociale e politico, divenendo nel 1952 presidente della Federazione nazionale degli artisti e candidandosi alle elezioni del 1953 per il movimento Alleanza democratica nazionale, creato in difesa della cultura e delle arti.
Un’altra personale, questa volta di ritratti, si tenne alla Vetrina Chiurazzi a Roma (1953), cui seguì l’anno dopo la sala di dipinti alla XXVII Biennale veneziana, presentata da M. Calvesi, cui si deve la prima monografia sull’artista (1954). Alla VII Quadriennale romana del 1955 espose sia nella «Mostra antologica dei maestri 1910-30», dove ottenne la medaglia d’oro per la scultura, sia nella mostra curata da F. Bellonzi. Tra le opere esposte era Il paltò grigio ferro (Bari, Pinacoteca provinciale) poi riproposta nella personale a lui dedicata all’interno della mostra «Pittori d’oggi Francia-Italia» in palazzo Madama a Torino (1955). Nello stesso anno vinse il primo premio alla V Mostra nazionale di pittura del Maggio di Bari con il dipinto Ritratto della moglie. Su Letteratura pubblicò nel 1956 il componimento Ritorno a Celle Ligure (n. 24, pp. 87 ss.), dedicato alla località tante volte ritratta. Nel 1957, anno in cui si tennero due importanti antologiche al Centro Olivetti di Ivrea e all’Ente premi Roma, uscirono il volume Lunga favolosa notte (Roma, Edizioni De Luca), che raccoglieva le poesie composte dal 1935 con una prefazione di F. Ulivi, e l’articolo autobiografico Breve storia del pittore M. (in Rinascita, nn. 7-8, pp. 378 s.). Ancora nel 1957 ricevette dal presidente della Repubblica la medaglia d’oro come benemerito della scuola, della cultura e dell’arte.
Il M. morì a Roma il 4 genn. 1958.
Fonti e Bibl.: C.L. Ragghianti, L’opera di R. M.: dal 1909 al 1948 (catal., galleria La Strozzina), Firenze 1950; G.A. Cibotto, R. M. o della cordialità, in La Fiera letteraria, VII (1952), 9, pp. 1 s.; M. Calvesi, R. M., Roma 1954; Dipinti e sculture di R. M. (catal., Centro culturale Olivetti), Ivrea 1956; Ente Premi Roma, R. M. (catal.), Roma 1957; R. M. (catal., Ferrara), a cura di N. Ponente, Roma 1958; R. M. (catal., Ferrara), Cento 1975; V. Martinelli, Il cinema muto italiano. I film degli anni Venti: 1921-1922, in Bianco e nero, XLII (1981), 1-3, pp. 21 s., 27 s., 52, 179 s., 265 s.; R. M. 1885-1958, (catal., Macerata), a cura di G. Appella - M. Calvesi, Roma 1992; I. D’Agostino, R. M. e l’origine eterna del caso, in Terzoocchio, XVIII (1992), 64, pp. 17-19; L. Scardino, M. e Riccobaldi. Intrecci biografici e influssi stilistici, in ON. OttoNovecento, III (1998), 1, pp. 13-24; C. Martini, Il caso R. M.: dalla critica d’artista alla critica d’arte, in Storia dell’arte, 2000, n. 98, pp. 118-126; Id., R. M. (1885-1958). L’artista moderno dei valori tonali. Il critico scomodo della coerenza artistica, Roma 2004; R. M.: opere dal 1905 al 1956 (catal., Assisi), a cura di L. Mattarella, Roma 2007.