MEIETTI, Roberto . – N
acque a Padova intorno al 1550 da Paolo.
Paolo nacque a Padova, forse alla fine degli anni Trenta del XVI secolo, da Giovanni Battista, di professione «comadadore» (o «comandadore», cioè banditore di proclami) e da una Marietta di cui si ignora il cognome. Oltre al M. ebbe almeno una figlia, Marietta, che contrasse matrimonio nel 1587. Nel 1596 Paolo sposò in seconde nozze Cipriana Anguillara, vedova di Gasparo Zago.
La prima notizia certa dell’attività di Paolo come libraio a Padova risale al 1558. Fece il suo esordio nel mondo della stampa nel 1569, quando figura come editore degli Opuscula tria di Gabriele Falloppio, impressi a Venezia da G. Percaccino; nello stesso anno, insieme con il fratello Antonio (personaggio meno noto, le cui tracce sono molto esili) sottoscrisse almeno un’edizione a Padova, dove continuava a tenere negozio. Probabilmente Paolo svolse attività di editore e mai di vero tipografo, sebbene in qualche occasione egli sembra alludere a una propria stamperia: nell’avvertenza al lettore di Girolamo Mercuriale, De maculis pestiferis (1580), scrive «in officina mea» e nell’avviso al Discorso della vecchia medicina di G. Bratti (1592) si pregia di aver servito i propri lettori dando loro «hora un libro, et hora un altro sotto le stampe».
Entrambi i fratelli stabilirono la loro residenza, già forse a partire dalla fine degli anni Sessanta, in una casa tra le attuali via S. Francesco e via del Santo, «alla Veraria», in contrada S. Lorenzo, vicino all’Università. Qui tennero la libreria, che nel decennio trascorso aveva assunto un ruolo sempre maggiore. In una data non precisata Paolo aprì negozio anche a Venezia, alle Mercerie. Fino alla metà degli anni Settanta il sodalizio con Antonio continuò sia nel commercio sia nella produzione di libri e i due firmarono insieme parecchie stampe. In seguito Antonio continuò a esercitare solo la professione di libraio, almeno fino alla metà degli anni Ottanta: «libraro» è definito nell’atto di battesimo del figlio di Paolo, il 24 sett. 1586. Padrini in quell’occasione furono uno «Hieronimo Fero Bressan scolaro» dello Studio di Padova e Malgaretta, moglie del libraio Alciato Alciati, libraio nella stessa contrada di S. Lorenzo, segno dei legami che Paolo intratteneva sia con l’ambiente accademico sia con quello professionale. Ciò corrispondeva anche a una raggiunta prosperità, come testimonia la cospicua dote di 8000 ducati assegnata alla figlia. I professori dello Studio rappresentarono una parte consistente del suo mercato librario, composto per buona parte da testi di medicina: stampò testi di Teodoro Angelucci, Giovanni Bratti, Falloppio, Jean Fernel, Mercuriale, Marco degli Oddi. Pubblicò anche testi giuridici e filosofici, mentre più scarsa fu la produzione di testi letterari, soprattutto in volgare (la commedia La Leonida di Boneto Ghirardi del 1585).
Nel 1592 fu eletto «stimador da libri» al Monte di pietà, con l’aperto sostegno del podestà. Continuò l’attività editoriale fino al 1604, in collaborazione con tipografi di varie città: Lorenzo Pasquati (1578-1606) a Padova, Perin Libraro e Giorgio Greco a Vicenza (1588, 1593-95), Giovanni Rossi a Bologna (1590), Giulio Cesare Cagnacini a Ferrara (1587), i veneziani Sessa (1600), Giorgio Angelieri (1585-86) e Pietro Dusinelli, eredi di Giovanni Battista Somasco (1592), Grazioso Percaccino (1570-82) e Giovanni Alberti (1596). Dai Sessa e in particolare dalla vedova di Melchiorre, Veronica Barone, ricevette in più riprese, tra il 1578 e il 1579, incarichi per la gestione di questioni private.
Paolo morì non prima del 1615, anno in cui sottoscrisse un documento in cui si definisce anziano. Negli anni successivi il suo nome compare, isolatamente, nella stampa delle Operationes chirurgicae di Girolamo Fabrici d’Acquapendente, del 1619. In tutto sono note almeno 200 edizioni da lui sottoscritte. Usò sempre la stessa marca tipografica, costituita da due galli, uno dei quali becca grani di miglio, in dialetto «meio», da cui il nome Meietti, con il motto «Non comedetis fruges mendacii» (Zappella). I due galli erano anche l’insegna della bottega.
Il M. iniziò a collaborare con il padre fin da giovane: già nel 1572 uscì un volume (M.A. Muret, Oratio habita in funere Pii V Pont. Max.), che reca la sottoscrizione «ad instantiam Ruberti Meietti». Dal 1588 si trasferì definitivamente a Venezia, nella parrocchia di S. Moisè nel sestiere di S. Marco, dove aprì bottega da solo quale «libraro all’insegna delle due galle in Merceria». In seguito, non è noto quando con esattezza, acquistò due magazzini e una stanza nel sestiere di S. Polo. Come già il padre, nel 1587 fu «stimador da libri» al Monte di Pietà di Padova. Ebbe rapporti con alcuni tipografi che già avevano servito il padre, quali G. Percaccino, gli Ziletti e Melchiorre Novello da Trino in Monferrato. Particolarmente stretti furono i legami con gli Ziletti, come dimostra il fatto che nel 1595 il M. fece da testimone per Francesco Ziletti e la moglie contro il cognato Giovanni Battista Bevilacqua, anch’egli tipografo. Intensi furono i contatti commerciali del M. con varie città italiane; dal 1592 partecipò ripetutamente alla fiera di Francoforte, città dove, secondo Cicogna, si stabilì un suo figlio (ma non se ne hanno tracce positive) e dove probabilmente agiva anche per conto d’altri. Intrattenne inoltre relazioni con il conte Filippo Ludovico di Hanau, di fede calvinista, sotto la cui protezione pubblicò Oltralpe una serie notevole di libri, dei quali il M. dà notizia in un apposito catalogo (Catalogus eorum librorum omnium, qui in Ultramontanis regionibus impressi apud Robertum Meiettum prostant [sic], Venetia 1602). Vi si trovano libri di F. Rabelais e di scrittori neoplatonici ed ermetici, che il M. riusciva a smerciare anche in Italia, per un totale di ben 759 titoli.
Il M. si caratterizzò fin dagli esordi per il commercio di libri proibiti, mettendosi in conflitto con l’Inquisizione. Nel 1588 il S. Uffizio veneziano lo pose sotto inchiesta per aver spedito una grossa quantità di libri da Venezia al suo magazzino di Padova senza l’autorizzazione dell’inquisitore. Il fatto, di per sé assai poco rilevante, testimonia i sospetti che già gravavano sul M. relativamente all’attività di smercio di libri proibiti. In effetti, ciò avveniva facendo ricorso a semplici stratagemmi, come la sostituzione del frontespizio con altri meno compromettenti. Questa pratica fu messa in atto anche quando, nel 1592, il M. acquistò dal tipografo ferrarese Domenico Mammarelli, che era fallito, i fogli già impressi della Nova philosophia di Francesco Patrizi, che il M. riemise con un nuovo frontespizio, retrodatando l’impressione.
Come testimonia Paolo Paruta (cfr. Leva, pp. 488-490), con lo stesso espediente nel 1594 il M. riuscì a far giungere libri proibiti anche a Roma: scoperto il traffico, la congregazione dell’Indice incaricò il S. Uffizio di Venezia di procedere contro di lui. Il Consiglio dei dieci a sua volta incaricò i Riformatori dello Studio di Padova, senza però alcun effetto. Nel 1599, insieme con altri tre importanti tipografi veneziani, Giovanni Battista Ciotti, Francesco De Franceschi e i Sessa, il M. organizzò l’importazione dalla Germania di un carico di libri proibiti, che fu intercettato dall’Inquisizione, con il risultato del sequestro e di un temporaneo fermo dei tipografi, che vennero rilasciati dopo il versamento di 100 ducati.
L’esperienza acquisita dal M. nel commercio di libri proibiti tornò utile alla Serenissima nella controversia che la vide opporsi alla S. Sede sotto Paolo V, culminata nell’interdetto del 1606. In quei frangenti il M. pubblicò numerosi opuscoli in favore della Serenissima, tra i quali anche quelli di Paolo Sarpi, tanto che fu scomunicato pubblicamente con l’Edictum excommunicationis contra Robertum typographum Venetum (Roma 1606). Inoltre intensificò l’attività commerciale con i paesi del Nord, da cui importò libri e dove molto probabilmente fece imprimere. Per colpire questi traffici furono ingaggiate delle spie che, almeno in un’occasione, individuarono un carico di libri a lui diretti (cfr. Infelise, pp. 67 s.). Nell’autunno del 1606, a Trento, gli fu sequestrata probabilmente l’intera tiratura (un migliaio di copie ciascuna) di alcune opere antipapali fresche di stampa: i Due discorsi sopra la libertà ecclesiastica di Giovanni Simone Sardi (G.B. Leoni), una pasquinata, un trattato di Cesare Baronio con la replica di Giovanni Marsilio. Nell’occasione il M. portava con sé anche altri libri proibiti, stampati in Germania e procurati su richiesta di singoli illustri personaggi, tra i quali lo stesso Paolo Sarpi (Grendler, 1978, p. 108). A questo rovescio seguirono altri colpi pesanti: tre carri di libri furono sequestrati a Napoli nel dicembre 1606, nel giugno successivo, a Roma, in Campo de’ Fiori, ne vennero bruciate due casse.
Nonostante le alte protezioni di cui il M. godeva a Venezia, e di cui le autorità dell’Inquisizione romana erano consapevoli (come testimonia una lettera del cardinale Scipione Borghese Caffarelli del 1607), la sua attività commerciale risentì pesantemente di questa persecuzione. Nello stesso 1607 Francesco Contarini, ambasciatore veneziano a Roma, rassicurò Paolo V che la progettata edizione della Relectio de auctoritate pontificis di Francisco de Vitoria era stata sospesa. L’accanimento contro il M. si spiega anche all’interno di una più vasta azione tesa a colpire la linea antiromana all’interno della Repubblica.
Sull’attività del M. all’estero è interessante il caso dell’Anticoton, del 1610: un pamphlet contro il gesuita Pierre Coton, consigliere di Enrico IV, che reca come luogo di stampa Lione, ma che è sicuramente da attribuire al M., resta incerto tuttavia se con falso luogo di stampa o per effettivo incarico a uno stampatore francese. Nell’occasione il tribunale dell’Inquisizione intimò al M. di interrompere ogni commercio di libri proibiti ma, poiché egli continuava a smerciarli sottobanco, si rivolse al priore dei librai.
L’atteggiamento del M. divenne con il tempo più conciliante: nel 1615 fece atto di sottomissione al papa e gli fu revocata la scomunica. L’Inquisizione continuò tuttavia a rimanere sospettosa nei suoi confronti, tanto da raccomandare ancora negli anni successivi agli inquisitori delle città italiane di non recedere dalle limitazioni imposte ai suoi libri. Tali sospetti non erano del tutto infondati se ancora nel 1621 egli vendeva libri proibiti nella sua bottega veneziana. Nel 1626 fu eletto sindaco dell’Università dei librai e stampatori, come risulta da un documento del 23 dicembre di quell’anno. In quel periodo, insieme con Giovanni Gueriglio, Marco Varisco, Giovanni Antonio Giuliani, Marco Ginami diede vita, all’interno dell’arte dei librai, a un gruppo dissidente, che probabilmente raccoglieva gli stampatori meno rispettosi dei dettami dell’Inquisizione romana e che portò a uno sdoppiamento della corporazione.
Il M. morì a Venezia nel 1634. Lasciò l’azienda ai figli Giovanni Battista, Andrea e Roberto iuniore, ma solo Roberto sottoscrisse alcune edizioni, limitatamente agli anni 1673-87.
Si conoscono almeno 60 edizioni sottoscritte esplicitamente dal M. nel secolo XVI e 140 nel XVII, con un picco tra gli anni 1604 e 1606; non si registrano edizioni negli anni 1608-09 e 1611-14: sono gli anni della scomunica ed è presumibile che egli operasse sotto falso nome o non sottoscrivesse le edizioni. Scarse sono anche le stampe che portano il suo nome dal 1624 in poi: l’ultima (V. Viviani, Opusculum de peste) reca la data del 1634, anno della morte. La maggior parte dei libri uscì con luogo di stampa Venezia, città nella quale stampò con i tipi di Tommaso Baglioni (1598), Domenico Nicolini (1589-91), Francesco De Franceschi (1589), Giovanni Antonio Bertano (1599), Camillo Franceschini (1594), Giovanni Alberti (1596), Giovanni Salis (1617), Evangelista Deuchino (1603-16), Nicolò Moretti (1601), Giorgio Valentini (1618), Barezzo Barezzi (1623), Grazioso Percaccino (1600). Ma sottoscrisse anche a Treviso (1606), a Serravalle (1604-05) con Marco Claseri, a Vicenza con Domenico Amadio (1618-22), a Padova, nonché a Pesaro con Girolamo Concordia (1617).
La linea editoriale continuò almeno in parte quella del padre: molte sono le edizioni di testi di medicina (tra gli autori si segnalano Giovanni Andrea Della Croce, Giovanni Costeo, Eustachio Rudio), ma ampio spazio trova anche la letteratura, con Tommaso Garzoni, Giovan Battista Marino, Sperone Speroni, oltre alle opere di Sarpi. Non mancano testi religiosi (trattati, prediche, controversistica). Rispetto al padre, non solo la produzione del M. è quantitativamente più rilevante, ma anche più diversificata. Usò la stessa marca paterna dei due galli, uno dei quali becca grani di miglio.
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