LEONI, Roberto (Ruberto Lioni)
Nacque a Firenze il 6 dic. 1418 da Francesco di Biagio e da Niccolosa di Silvestro Nardi, nel quartiere di S. Croce, "gonfalone" Ruote, "popolo" di S. Simone.
La sua famiglia, di rango non elevato, segnalata nelle arti del cambio e della seta, conobbe un'ascesa interamente dovuta al patrocinio dei Medici, di cui il L. e suo fratello Luigi furono partigiani e clienti. In un celebre Ricordo sulla situazione interna a Firenze steso nel 1484, Piero Guicciardini collocò i Leoni tra quelle famiglie non ignobili, ma neppure considerevoli, che in tempi recenti avevano conseguito tutti gli onori pubblici grazie al patrocinio dei Medici e si avviavano a radicarsi al vertice dello Stato (cfr. Rubinstein, pp. 417-425). L'avanzamento sociale fu simboleggiato, fra l'altro, dall'ottenimento nel 1473 del giuspatronato della pieve di San Vincenzio a Torri in Val di Pesa, dove il L. possedeva ampie proprietà, condotte a mezzadria, e una casa da signore. Seguì la fondazione di una sepoltura familiare nella chiesa di S. Croce, verso l'ingresso alla sacrestia, datata 1476.
L'esordio politico del L., avvenuto sotto Cosimo il Vecchio, lo impose tra i fiduciari di maggior spicco della fazione medicea appartenenti alla nuova generazione di abilitati agli uffici, destinato per questo a ricoprire una successione quasi ininterrotta di cariche.
Ufficiale dell'Onestà nel 1448, fece parte dei Dieci della libertà nel 1449, fu capitano di Orsanmichele nel 1450 e in seguito, dopo una parentesi ad Arezzo, fu impiegato nell'apparato fiscale dello Stato come camerlengo alle Prestanze nel 1451 e nel 1455. Successivamente, fu conservatore delle Leggi nel 1457, membro degli Otto di guardia nel 1458, savio agli Ordini nel 1459, dei Cinque del contado nel 1460, ufficiale di Condotta nel 1461, membro dell'ufficio dei Regolatori nel 1462.
Nel 1453 aveva sposato Vaggia di Uguccione Capponi, da cui ebbe tre figlie, Gostanza, Brigida e Cosa, e cinque figli: Francesco (nato nel 1458), Luigi, Galeotto, Carlo e Lodovico.
Il punto di svolta sopraggiunse per il L. quando fu cooptato nella Balia del 1458 e successivamente arrivò a ricoprire le massime cariche repubblicane, divenendo priore nel 1460 e gonfaloniere di Giustizia nel 1466. Quest'ultima nomina si incrociò con il delicato momento in cui, morto Cosimo il Vecchio, la successione del figlio di questo, Piero, a capo del regime stava incontrando vivaci resistenze da parte di alcuni membri dell'oligarchia, raggruppati nella fazione detta del Poggio.
Durante il mandato del L. come gonfaloniere, nel bimestre settembre-ottobre 1466, ebbe luogo un colpo di Stato di cui egli portò la suprema responsabilità politica e che gli valse una menzione nelle Istorie fiorentine di Machiavelli, dove è ritratto come risoluto esecutore delle disposizioni con cui Piero de' Medici volle sbarazzarsi degli antagonisti che avevano rialzato la testa. Succeduto come gonfaloniere a Bernardo Lotti, "uomo non confidente a Piero", il L. non ebbe indugi nel radunare il popolo in piazza e indire la costituzione di un nuovo comitato straordinario, o Balia, "tutta della parte di Piero", che sarebbe stato incaricato di rivedere le liste elettorali e avrebbe intanto nominato in via straordinaria le magistrature.
Lo stesso L., membro di diritto della Balia, fu da questa insediato nella nevralgica posizione di membro del Collegio dei dieci accoppiatori, funzionari straordinari incaricati di aggiornare la lista degli eleggibili al governo. Per opera di costoro, gli antimedicei vennero estromessi dalla partecipazione allo Stato e fra i loro massimi esponenti si diffuse un panico che li spinse alla fuga o al ritiro. Il 14 settembre il pacifico esito dell'epurazione fu celebrato con una processione di ringraziamento, ordinata dalla Signoria, a cui si accompagnarono arresti e condanne a morte e all'esilio. Con questa machiavelliana "variazione", i Medici e i loro seguaci si riaprirono la strada al predominio incontrastato nella detenzione delle supreme cariche di governo.
Morto Piero de' Medici nel 1469, il L. toccò il culmine del proprio prestigio divenendo ascoltato consigliere anziano del giovane Lorenzo, che gli affidò delicate responsabilità in quelle incombenze da cui maggiormente dipese la conservazione della sua autorità di capo del reggimento. Verso il 1472, Benedetto Dei nella sua Cronica (p. 87) lo avrebbe collocato ai primi posti nella gerarchia "de' principali e maggiori dello stato e del ghovernno" e poco dopo avrebbe menzionato nel distico "Lorenzo de' Medici e Ruberto Lioni ànno gli stendardi e' ghonfaloni" (ibid., p. 147).
Uomo di non altissimo rilievo nella vita pubblica ordinaria, ma tenuto in serbo dai Medici per le circostanze di eccezionale gravità negli affari interni, il L. si distinse per il suo zelo di fautore della "parte pallesca" e ne ricavò la debita quota di profitto.
Nel lasso di tempo compreso tra il catasto del 1457 e quello del 1480, le sue ricchezze crebbero di più del doppio, passando da una rendita stimata di 1086 fiorini a una di 2443, più 1000 fiorini per ciascuna delle sue figlie da marito, depositati sul Monte delle doti. Le difficoltà economiche sofferte dalla famiglia in seguito alla morte prematura del padre Francesco nel 1420 e alla grave infermità del fratello maggiore Luigi, che avevano provocato l'alienazione di alcuni beni terrieri, vennero superate dal L., il quale fra 1471 e 1472 fu in grado di recuperare il podere avito di San Vincenzio a Torri, aggiungendovi altri sei appezzamenti vicini e infine il giuspatronato della pieve. Altri investimenti fondiari furono effettuati verso Prato, nel Valdarno e nel contado di Pisa. Entro il 1470, certo con il patrocinio dei Medici, il L. avviò rapporti finanziari e commerciali con la corte papale, stabilendo una compagnia romana nella cui gestione, come d'uso, coinvolse i figli, che poi gli subentrarono. Al figlio Carlo vennero intestati la bottega e il fondaco di famiglia, capitale fisso di una società di tintura.
Sotto Lorenzo, il L. fu di nuovo priore nel 1471 e 1480 e gonfaloniere di Giustizia nel 1475 e 1484. Soprattutto, fu tra i primi 40 prescelti a far parte della Balia del 1471 e, insieme con Lorenzo, fu uno dei dieci accoppiatori nominati in quell'anno. Scrupoloso emissario mediceo all'interno dei Collegi scrutinanti incaricati di filtrare l'accesso dei cittadini al governo, la sua permanenza nel ruolo di accoppiatore fu ribadita nel 1475 e poi ancora nel 1484, divenendo una costante del regime laurenziano che fece da preludio a sviluppi ancor più arditi.
Non si fermò intanto l'incetta di uffici e magistrature: eletto fra gli Otto di guardia nel 1468, fu ufficiale di Monte nel 1469, vicario del Contado nel 1471, membro degli Otto di balia nel 1473, "operaio" di S. Maria del Fiore nel 1478, ufficiale di Torre nel 1479, cassiere di Camera nel 1483. In considerazione della sua fidatezza clientelare, venne coinvolto in un'impresa di estremo rilievo politico-culturale come la fondazione dello Studio fiorentino nella sua nuova sede pisana, occorrenza per la quale egli, nel dicembre 1472, venne eletto ufficiale dello Studio in sostituzione di un cittadino di notevole peso intellettuale, ma non organico al regime, come Alamanno Rinuccini.
Nel tempo, il L. ebbe modo di sviluppare competenze di addetto alla politica estera, pur non raggiungendo mai, come Lorenzo avrebbe voluto, la dignità di ambasciatore della Repubblica. Nel 1472, in occasione della ribellione di Volterra, fu cooptato fra i Dieci di balia, la magistratura temporanea addetta alla conduzione della guerra. Cinque anni dopo, figura nel gruppo dei cinque intimi consultori con cui Lorenzo conferì intorno a una svolta nelle alleanze internazionali della Repubblica, indizio del carattere abituale di tale mansione.
Allo scoppio della guerra seguita alla congiura dei Pazzi nel 1478, tornò a far parte dei nuovi Dieci di balia, ottenendo insieme con i colleghi la proroga del mandato fino a tutto il 1479.
Conclusosi quel conflitto con la fortunosa salvezza dello Stato fiorentino e dell'autorità del Medici, i Dieci furono come d'uso decurtati e riassorbiti nel preesistente ufficio degli Otto di pratica, che nel clima propizio del dopoguerra divenne il nucleo propulsore della iniziativa che consentì a Lorenzo di compiere il grande passo istituzionale verso la creazione di un principato repubblicano, poggiante su di un comitato ristretto di oligarchi coadiutori.
Nello stesso torno di tempo il L. venne eletto priore e poté fungere da necessaria controparte istituzionale nei rivolgimenti che il partito mediceo stava pianificando da tempo, ben deciso ad affrontare il dissesto finanziario e amministrativo prodotto dalla guerra in una chiave politica che permettesse una restrizione della partecipazione al governo, accompagnata da un rafforzamento del potere esecutivo. Poiché all'interno della Signoria in carica nel bimestre marzo-aprile 1480 il L. era senza dubbio il membro di maggiore peso politico, fu probabilmente lui a rivestire, secondo la persuasiva ipotesi di Mallett (commento a Lorenzo de' Medici, Lettere, V, Firenze 1979, pp. 312 s.) la posizione di traino nell'epocale mutamento costituzionale che ebbe luogo nella primavera del 1480.
L'obiettivo di riplasmare il sistema governativo della Repubblica secondo un indirizzo criptosignorile non poteva che essere salutato entusiasticamente da un personaggio come il L., particolarmente esposto ai contraccolpi di un indebolimento del potere mediceo e perciò allarmato dalle tensioni che si erano profilate durante la recente assenza di Lorenzo, impegnato nel viaggio a Napoli. Sull'onda dell'euforia prodotta dal suo rientro in patria, dopo il trionfo personale ottenuto con la pace del 13 marzo, l'8 apr. 1480 la Signoria fiorentina si fece carico di sottoporre ai Consigli l'indizione di una Balia straordinaria di trenta membri: fra di essi, il L. era compreso di diritto in quanto priore, ma il suo nome venne confermato per maggior sicurezza. Questo primo gruppo di trenta designò altri quaranta membri destinati a confluire nel neonato Consiglio dei settanta, che di lì in avanti avrebbe esercitato le funzioni di un Senato vitalizio e insieme di una rosa di idonei, dal cui interno si sarebbero di volta in volta tratti i candidati alle cariche pubbliche di maggiore discrezionalità.
Con l'ingresso nel Consiglio dei settanta nel 1480, il cursus honorum del L. raggiunse l'apice: annoverato fra i massimi confidenti di Lorenzo, egli sedeva nel più alto consesso del regime, a fianco di membri delle più illustri casate fiorentine. La sua notoria appartenenza al cuore della "brigata" laurenziana lo vide tra i principali beneficiari di quelle riforme costituzionali che egli, sempre secondo Mallett, promosse con tale accesa determinazione non soltanto per compiacere Lorenzo, ma anche per attestarsi in vetta al processo di parziale ricambio sociale ingenerato dal sistema di governo mediceo.
Data la convergenza dei suoi orientamenti con quelli del Magnifico, il L. continuò a essere presente fra gli Otto di pratica, se non come membro almeno in qualità di consigliere aggiunto o "arroto", come avvenne nel 1482. A giudicare da quanto riportato dei suoi interventi nel Consiglio dei settanta, sembra che egli si atteggiasse a intransigente portabandiera di quegli interessi territoriali dello Stato che facevano tutt'uno con la grandezza e solidità del regime laurenziano.
Da buon "cittadino dello Stato", che per di più godeva di una posizione di assoluto vantaggio in partenza, il L. non trascurò di dare la caccia ai più lucrosi tra gli uffici estrinseci situati nel dominio, ottenendo il provveditorato di Arezzo nel 1451 e nel 1467, il vicariato del Valdarno superiore nel 1463, il vicariato del Valdarno inferiore nel 1472 e nel 1484, il vicariato di Scarperia e Mugello nel 1474 e nel 1485, il vicariato di Lari e Colline pisane nel 1477 e nel 1482.
Specialmente nel contado pisano, tra Calcinaia e Pontedera, gli furono accessibili, in virtù della protezione del Magnifico, redditizi investimenti terrieri a cui aggiunse fitti e livelli concessigli dall'ospedale di S. Maria Nuova di Pisa. Ad Arezzo mantenne legami clientelari e interessi economici che trasmise in eredità ai suoi figli, sui quali Lorenzo non avrebbe mancato di esercitare un'attenta tutela anche dopo la sua morte. A testimonianza del potere di mediazione di cui godeva grazie al favore mediceo, sta una decina di sue lettere di raccomandazione o intercessione, conservate nell'archivio privato di casa Medici (Arch. di Stato di Firenze, Mediceo avanti il principato). Gli ultimi interventi del L. segnalati testimoniano la sua capacità di raccomandare con successo a Lorenzo i suoi più stretti congiunti, quali il figlio Francesco e il genero Francesco di Gherardo Gherardi, affinché, mediante quel controllo delle procedure di selezione politica che egli stesso aveva gestito per decenni per conto del regime, potessero essere "veduti" e dunque abilitati alle supreme cariche dello Stato.
Morì a Firenze il 30 giugno 1485, prima di poter entrare in carica come vicario del Mugello, e fu deposto in S. Croce.
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