ROBERTO Guiscardo (l'"Astuto")
Figlio di Tancredi d'Altavilla, giunse in Puglia nel quarto decennio del sec. XI, attratto dall'eco delle guerre che contro i Bizantini avevano ingaggiate i principi longobardi e i capi normanni. La scaltrezza fu solo una delle doti che a lui, di modeste condizioni, consentirono di formarsi un potente stato e di orientare verso nuove direzioni la storia del Mezzogiorno d'Italia. Nel Guiscardo la finezza del senso politico, ch'è quanto dire l'abilità a trarre profitto dalle più disparate circostanze e l'intelligenza nel volgere ai propri fini le forze contrarie, fu pari alla tenacia dei propositi e alla smisurata ambizione, che lo resero costantemente irrequieto. Tali qualità, accoppiate alla prestanza della persona, destavano lo stupore dei nemici, rendevano diffidenti gli stessi fratelli e commilitoni di R. Difatti, abbandonato il soldo del principe di Capua, non senza diffidenza egli fu accolto da suo fratello Drogone, secondo conte di Puglia, che lo spedì in Calabria, ove già scorrazzava, a caccia di prede o al servizio del principe di Salernon qualche banda normanna.
Durante quel primo soggiorno calabrese, per sostentare sé stesso e i suoi venturieri R. non disdegnò i mezzi briganteschi, che atterrirono la misera contrada e intaccarono qua e là il dominio bizantino. Ma soltanto dopo il ritorno dalla memorabile battaglia di Civitate, in cui, chiamato dal fratello Umfredo, succesore del conte Drogone, aveva valorosamente comandato un'ala dell'esercito normanno (1053), il Guiscardo poté di proposito dedicarsi alla conquista della Calabria, non solo a danno di Gisulfo di Salerno, i cui disegni espansionisti lo avevano invogliato a imprese in quella regione, ma soprattutto a danno dei Bizantini, secolari padroni di essa. La conquista, movendo da nord al sud, non incontrò serie difficoltà: scarsa e fiacca la resistenza bizantina, le città trattarono da sé col Guiscardo, impegnandosi a riconoscerne la sovranità e a pagargli tributi. E già tutta la parte settentrionale della Calabria era stata soggiogata e altri acquisti aveva nel frattempo fatto nei territorî adiacenti al golfo di Taranto, quando, morto il fratello Umfredo e usurpati i diritti dei nipoti, egli si fece riconoscere conte di Puglia (agosto 1057). Era un primo riconoscimento non tanto della potenza fin allora conseguita, quanto della sua ferma volontà di dominio, che fu imposta o volontariamente accettata dai riluttanti fratelli, da Guglielmo del Principato e dal giovane Ruggiero, ultimo degli Altavilla a giungere in Italia.
Nonostante la diversità del carattere e il desiderio d'indipendenza, che talvolta fomentarono aspri dissidî e fatti d'arme fra il Guiscardo e Ruggiero, questi fu il braccio destro di quello nelle vittoriose imprese che condussero alla sottomissione completa della Calabria (1059-60) e alla conquista della Sicilia, dal cui possesso non si poteva prescindere. Ché se la Sicilia fu il teatro dell'eroismo di Ruggiero, anche in essa brillò il valore di R., come nella battaglia di Castrogiovanni (Enna) e nell'assedio di Palermo (1071). A lui particolarmente appartengono l'ideazione e la direzione suprema dell'impresa, ch'egli volle in quanto nell'unione della Sicilia alla terraferma ritrovava il fulcro della sicurezza militare, della vigoria politica e della floridezza economica dello stato che stava costruendo. Di modo che, come la contea di Calabria e Sicilia nacque come membro del ducato di Puglia, così Ruggiero, che di tale contea fu investito, riconobbe sempre l'alto dominio di suo fratello su tutte le conquiste normanne.
Ufficialmente la denominazione "ducato di Puglia, di Calabria e di Sicilia" apparve nel concilio di Melfi (agosto 1059), quando papa Niccolò II, accogliendo nelle sue mani il giuramento di fedeltà del Guiscardo, gli conferiva l'investitura di quelle terre, solo in parte da lui fin allora conquistate. Inestimabìle successo diplomatico: disarmando il papato, stato sempre ostile ai Normanni, e derivando da esso la legittimità del suo dominio su terre meridionali - i dominî bizantini e musulmani -, il Guiscardo s'inseriva fra le forze storiche che da secoli se ne disputavano la supremazia politica, vale a dire l'impero bizantino e le signorie longobarde, fra cui allora primeggiava, come astro al tramonto, il principato salernitano. Contro tali potentati non v'era che la guerra, perché al titolo ducale conseguito a Melfi non tardasse a corrispondere la realtà delle cose.
E la guerra strappò, uno dopo l'altro, i frammenti di territorî che i Bizantini conservavano in Puglia: quando Bari, dopo quattro anni di assedio, si arrese al Guiscardo, il loro inonorato dominio in Italia era per sempre finito (1071).
Più complessi furono gli avvenimenti che condussero al crollo dell'indipendenza salernitana. Alle ostilità, che le prime imprese del Guiscardo in Calabria avevano creato tra lui e Gisulfo II, era successa, più che la pace, una tregua, poiché R., ripudiata, non senza reconditi motivi politici, la moglie Alberada (da cui era nato Boemondo), aveva sposato in seconde nozze Sichelgaita, sorella dello stesso Gisulfo. Ma questi, fantasticante acquisti territoriali all'intorno, non poteva non preoccuparsi dell'ardore bellicoso che aveva acceso il Guiscardo all'indommni degli accordi di Melfi, e della febbrile attività diplomatica ch'egli veniva svolgendo dovunque fossero in giuoco aspirazioni o interessi di Salerno, quasi che altra mira egli non perseguisse se non quella di vieppiù stringerla entro una catena di ferro. A Gisulfo sostegni non mancavano: Riccardo, principe di Capua, in guerra col Guiscardo; Gregorio VII, ferito non solo dai progressi normanni negli Abruzzi, terre ritenute di proprietà della Chiesa, ma anche dalla dura constatazione che questa nessun vantaggio aveva tratto dall'alleanza col duca di Puglia. Non pertanto, questi non s'intimorì: sapeva ben valutare la propria come le forze avversarie e altresì intuire il grave momento che attraversava la Chiesa, impegnata nella lotta per il rinnovamento morale e la libertà delle sue gerarchie. E cominciò col porre sotto il suo protettorato Amalfi, da tempo preda agognata da Gisulfo, che s'era alleato con Gregorio VII. Il possesso del ducato amalfitano affrettò la conquista del vecchio principato longobardo, che si era ridotto alla sola capitale. Essa si arrese al Guiscardo dopo eroica resistenza (dicembre 1076): a Gisulfo non restava che ritirarsi presso la corte pontificia ed elevare con essa proteste contro la spoliazione subita.
Allo stato così formato e che abbracciava, fra il Tirreno e l'Adriatico, la maggior parte di quello che nel 1130 sarà il "Regnum Siciliae", bisognava procurare stabilità e coesione all'interno, sicurezza all'esterno. Numerosi e agguerriti i nemici interni: conti normanni e signori indigeni, recalcitranti alla supremazia imposta da Roberto, già loro pari; altrettanto le città, nel vedere lesa la propria autonomia dai freni e legami escogitati da un'autorità centrale sempre più definita e presente. Né mancavano, dal di fuori, gl'intrighi e gli aiuti dei principi spodestati, cullantisi nella speranza di facili restaurazioni. Comunque, non rare volte, specie in momenti scabrosi, la ribellione eruppe minacciosa: si ricorda qui soltanto quella di Abelardo, figlio del conte Umfredo, in Santa Severina, durante l'assedio di Salerno. Tutti questi pericoli furono felicemente superati dal Guiscardo o con le armi o con la genialità degli espedienti che paralizzavano i nemici. E così, mentre la nuova signoria si consolidava e gli animi si rasserenavano, egli, che si riteneva legittimo successore dei governi travolti, venne organizzando l'amministrazione dei paesi sottomessi, nei quali dei preesistenti istituti conservò quanto non contrastava con i suoi principî di governo; onde, se feudale fu la struttura del nuovo stato, alla testa esso ebbe un potere supremo forte e temuto.
La minaccia esterna egli la vide principalmente da parte dell'impero bizantino, che, padrone della sponda opposta e dell'Adriatico, non sapeva rassegnarsi alla perdita delle provincie italiane. Sennonché, oltre all'imperiosa necessità della sicurezza dei proprî dominî, non è strano che il Guiscardo, per quel che di avventuroso era nella sua anima, vagheggiasse fulgide imprese nella Balcania, attraverso le quali potesse financo conquistare la corona bizantina. La rottura fu agevolata prima dalle manovre dei fuorusciti antinormanni, accolti con favore a Costantinopoli, poi dalla rivoluzione di palazzo per cui, nel marzo 1078, era stato deposto da Niceforo Botoniate Michele VII, padre di Costantino Duca, che aveva sposato una figlia del Guiscardo. Nella primavera del 1081 la flotta normanna salpava alla volta di Valona e s'impadroniva di Corfù. Battuto sul mare dai Veneziani, naturali quanto preziosi alleati dei Bizantini, R. batte a sua volta Alessio Comneno presso le mura di Durazzo e s'impadronisce di questa città, chiave dell'Illiria (21 febbraio 1082), quando, nel disporsi alla marcia su Costantinopoli, gli giunge inatteso il grido supplice di Gregorio VII, bloccato a Roma da Enrico IV. Fedele ai patti che aveva conchiusi, innanzi alla spedizione, col pontefice, corre, dopo avere domato la rivolta che in Puglia aveva capeggiato il nipote Giordano, principe di Capua, a Roma (1084), la lascia saccheggiare dalle sue truppe, libera il papa da Castel Sant'Angelo e lo conduce con sé a Salerno, dove doveva restare fino alla morte.
Ma l'intervento vittorioso in Italia contro l'imperatore germanico non aveva giovato, nonostante i successi nel frattempo riportati da Boemondo, all'impresa orientale. Anelante d'infonderle il vigore con cui l'aveva concepita, il Guiscardo s'imbarcava a Otranto a capo d'una agguerrita flotta (autunno 1084). E già aveva strappato Corfù ai Veneziani e posto l'assedio a Cefalonia, che avrebbe dovuto aprirgli la via dì Costantinopoli, quando la morte lo colpiva il 17 luglio 1085.
Al successore, il figlio Ruggiero, natogli dalla moglie Sichelgaita, mancavano affatto il genio guerriero, l'accorgimento diplomatico, la fermezza politica del Guiscardo: la scomparsa di lui costò una grave crisi al ducato di Puglia.
Bibl.: Tra le fonti coeve la figura del Guiscardo anima in maniera particolare l'Istoire de li Normants di Amato di Montecassino (v. ed. di V. De Bartholomaeis nelle Fonti dell'Istituto storico italiano, Roma 1935), e le Gesta Wiscardi di Guglielmo di Puglia (ed. Wilmans, in Mon. Germ. Hist., IX). Per la bibl., assai ricca, si rimanda a quella riportata da F. Chalandon, Histoire de la domination normande en Italie et en Sicile, voll. 2, Parigi 1907.