GUIDI, Roberto
Appartenente alla famiglia comitale radicata nell'area appenninica tra la Toscana e la Romagna, primogenito del conte Simone (II) di Battifolle e della sua prima moglie Tessa, detta Novella, di Guiduccio di Bandino dei signori di Valbona, nacque probabilmente fra 1315 e 1320.
Negli anni giovanili ricevette sicuramente una formazione alle armi e alla politica tradizionale della casata e fu allevato nella consapevolezza del forte legame che si era stretto fra i conti di Battifolle e il Comune di Firenze, ma nella sua formazione dovettero trovare posto anche gli studi, cui rimase appassionato.
È possibile che abbia seguito il padre in alcuni incarichi politici o militari; testimonianze specifiche di una sua attività si hanno però solo con la morte del conte Simone nel 1348. In quell'anno arrivò a un compromesso che poneva termine alle questioni con i parenti del ramo di Dovadola legate all'eredità di Marcovaldo in favore del conte Simone.
L'anno successivo dovette invece difendere il castello di Cennina in Valdarno che, affidato al padre dal Comune di Firenze, veniva reclamato dagli Ubertini, i quali erano stati costretti a darlo in garanzia. Nel 1351 questi ultimi, con i Pazzi di Valdarno e i Tarlati, nel contesto della guerra contro Firenze condotta da Giovanni Visconti arcivescovo e signore di Milano assalirono i territori del Guidi. Per tale motivo fu inserito, con i fratelli Francesco e Carlo, nati dalla seconda moglie del padre, fra gli alleati di Firenze nel trattato di pace di Sarzana del 1353.
Il Comune di Firenze fu quindi mediatore di un accordo con Andrea dei Bardi dopo che il G. con il cugino Guido, figlio di Ugo, aveva assalito il castello di Vicorati; nel 1355 nel trattato stipulato con l'imperatore Carlo IV il governo fiorentino ottenne che i conti di Battifolle fossero formalmente assolti da ogni eventuale bando di ribellione verso l'Impero comminato ai predecessori del G. per la fedeltà a Firenze e avessero piena reintegrazione e conferma di diritti e giurisdizioni. Tuttavia l'amicizia di Firenze non era certo paritaria: la Signoria fiorentina impose al G. di ritirarsi quando nell'aprile 1356 aveva posto l'assedio al castello di Raggiolo in Casentino tenuto da Marco di Pier Saccone Tarlati; lo stesso Tarlati fu poi costretto a cedere il castello alla città.
La posizione di sostanziale legame con Firenze in cui si trovava il G., nonché di una sua indipendenza sempre più relativa, fu formalizzata con il patto di accomandigia perpetua al Comune da parte sua e dei fratelli Carlo e Francesco nell'ottobre 1357. In cambio della fedeltà, dell'impegno al soccorso in armi, del divieto di accogliere sbanditi del Comune, della promessa di un palio di seta del valore di almeno 10 fiorini d'oro da portare a Firenze ogni anno per la festa di S. Giovanni Battista, i conti di Battifolle ricevevano la promessa della protezione e difesa da parte di Firenze e di una non ingerenza nell'amministrazione dei territori su cui avevano diritti signorili.
In ragione di tale patto nel 1358 il G. con alcuni suoi uomini contribuì nella valle romagnola di Biforco a respingere una compagnia di mercenari tedeschi che minacciava di scendere in Toscana; quindi l'anno seguente a nome del Comune fiorentino si pose all'assedio di Bibbiena tenuta da Marco Tarlati; infine nel 1363 tutti e tre i fratelli conti di Battifolle furono presenti con i loro uomini fra le truppe fiorentine impegnate contro Pisa e vennero poi compresi come alleati nel trattato di pace dell'agosto 1364.
Lo stesso anno, in novembre, attraverso un lodo arbitrale pronunciato da messer Roberto Franzesi, i tre fratelli si divisero i beni del conte Simone; ai due minori tuttavia, sebbene in comunione fra loro, andò la parte più importante e significativa dei castelli: Poppi, Fronzola, Battifolle, Montemignaio, Rincine, Fornace e Castagno, al G. rimasero Borgo alla Collina, Castel Castagnaio, San Leolino, i diritti sulla vecchia contea di Ampinana in Mugello e i residui domini in Romagna.
Nel 1369 al G. fu affidato l'incarico di comandare l'esercito fiorentino che assediava la cittadina di San Miniato ribellatasi a Firenze e sostenuta dalle milizie dei Visconti. Proprio in uno scontro con i Milanesi che cercavano di rompere l'assedio cadde uno dei due fratelli del G., Francesco. Grazie ai patti segreti con un abitante di San Miniato, comunque, nel gennaio del 1370 il G. poté entrare con le truppe fiorentine all'interno della cerchia murata e prendere la cittadina. Per tale successo ebbe una specie di piccolo trionfo in Firenze con il condono dei debiti e l'assoluzione per i palii non inviati secondo i patti dell'accomandigia.
Da Venezia il 24 luglio del 1363 o 1364 Francesco Petrarca, che doveva aver avuto notizia della passione per gli studi del G., gli aveva scritto spontaneamente una lettera (Lettere senili, a cura di G. Fracassetti, I-II, Firenze 1869-70: I, pp. 125-127) alla quale il G. aveva risposto invitando il poeta a recarsi in Casentino e cercando di sfoggiare un bello stile latino. Il Petrarca sembrò apprezzare la risposta, tanto che gli scrisse nuovamente, lodandola come degna di un sapiente piuttosto che di guerriero (ibid., pp. 128 s.), e il G. replicò di nuovo con un'altra lettera in bel latino in cui si offriva di adoperarsi per un riconoscimento al Petrarca nella sua città. In ragione di questo scambio epistolare, che doveva essere conosciuto nell'ambiente letterario fiorentino, al G. scrisse da Firenze il 16 ag. 1374 Coluccio Salutati, per condolersi con lui della morte del Petrarca. La passione per le lettere si manifestò anche in uno dei figli del G., Simone, morto giovane nel 1390 così come il fratello Guido; un altro figlio, Iacopo, era morto nel 1362.
Il G. morì nei primi mesi del 1375, lasciando altri quattro figli: Novella, Giovanni, Gherardesca, Elisabetta.
Fonti e Bibl.: Ambrosii Traversarii… Latinae epistolae… Accedit eiusdem Ambrosii vita, a cura di L. Mehus, Florentiae 1759, pp. CCXXVI, CCXXXXIX; Delizie degli eruditi toscani, VIII (1777), p. 189; Marchionne di Coppo Stefani, Istoria fiorentina, ibid., XIV (1779), pp. 76, 78; I capitoli del Comune di Firenze, a cura di C. Guasti, I, Firenze 1866, p. 455; C. Salutati, Epistolario, a cura di F. Novati, I, Roma 1891, pp. 176-187; G. Gherardi, Il Paradiso degli Alberti, a cura di A. Lanza, Roma 1975, p. 79; E. Repetti, Diz. geografico fisico storico della Toscana, IV, Firenze 1841, p. 569; P. Litta, Le famiglie celebri italiane, s.v. Guidi di Romagna, tav. XV.