DE NOBILI, Roberto
Nacque a Montepulciano (prov. di Siena), da Vincenzo e da Maddalena dei conti di Montauto, il 5 sett. 1541. Il suo destino fu segnato dal fatto di essere pronipote del papa Giulio III; il padre Vincenzo, infatti, era figlio di Ludovica (Ciocchi) Del Monte, sorella dei pontefice. Giulio III, una volta elevato al soglio, nel 1550, fece chiamare il D. presso di sé alla corte di Roma.
Il D. seguì poi il padre ad Ancona, dove il genitore ricopriva la carica di governatore delle armi. Al bambino si volle dare un'educazione e un'istruzione di tipo umanistico. Lo si avviò dunque agli studi classici, al greco e al latino. Ad Ancona frequentava l'unianista M. Nicandro. Suoi maestri furono poi Giulio Pogiani, uno tra i maggiori umanisti dell'epoca, che gli impartì le sue lezioni dalla metà circa del 1553 fino al 1555, Girolamo Ponzio e Dionisio Lippio.
Fino al 1554 il D. risiedette spesso in Ancona, ma, probabilmente, compì anche numerosi spostamenti, tornando a Moritepulciano e a Roma, in connessione con i viaggi intrapresi dal padre a causa dei suoi impegni politici e militari.
Il 22 dic. 1553 Giulio III volle crearlo cardinale diacono. Il titolo di S.Maria in Domnica gli fu assegnato il 6 febbr. 1555. Probabilmente alla fine del 1558, dopo la morte del cardinale R. Pole, prese il titolo di S. Maria in Cosmedin. Nel 1554, forse subito dopo la notizia della nomina cardinalizia, il D. si recò a Roma. In quest'epoca era già suo precettore il servita Ottavio Pantagato, destinato da Giulio III a questo compito forse già da epoca precedente. E a quest'epoca risalirebbe la vocazione ascetica del D., che, sempre più frequentemente si diede a praticare digiuni, a portare il cilicio, a imporsi veglie e astinenze e penitenze varie. Sempre nel 1554, a detta dei suoi biografi, avrebbe pensato per la prima volta di abbandonare il cardinalato, e rinunziò all'arcipretura che godeva a Montepulciano. Iniziò parimenti a diffondersi la sua fama di santità, e la stima che per lui avevano vari membri della Curia.
Molto stimato era sicuramente dal cardinale G. Carafa, che scriveva al papa: "costui sarà de le migliore piante che habbiamo nel nostro horto e de le migliore cose che hanno a restar dopo noi", e aggiungeva "tirato da la sua virtù me l'ho preso per figliolo et voglio esser suo pedagogo" (lettera del 27 febbr. 1554 in G. M. Monti, Ricerche..., p. 259).Giulio III morì il 23 marzo 1555. Nel successivo conclave il D., con le altre creature del pontefice defunto, cercò dapprima di sostenere il cardinal G. Puteo, ma poi passò a sostenere Marcello Cervini, eletto il 9 aprile col nome di Marcello II. Morto Marcello II dopo soli pochi giorni (1ºmaggio) e riunitosi un nuovo conclave, non ci fu più alcun gruppo compatto dei cardinali di Giulio III. Il D. si schierò decisamente con G. Carafa, eletto poi come Paolo IV.
Scrive F. Petruccelli Della Gattina, citando Nosti Camaiani: "l'autorité de ce cardinal a entrainé les autres, surtout Nobili, qui est un erifant" (II, p. 104). Secondo l'ambasciatore imperiale, J. Manrique de Lara, invece, il D. avrebbe votato per il Carafa perché persuaso che quello fosse il volere dell'imperatore, e convinto a ciò dall'atteggiamento dei cardinali J. Alvarez di Santiago e R. Pio di Carpi (lettera all'imperatore del 25 maggio 1555, in Calendar of letters..., XIII, p. 184).
A partire dal 1555 il D. risiedette stabilmente a Roma. Specialmente da allora si sarebbero intensificate le sue pratiche ascetiche e penitenziali tanto che la sua vita divenne un modello di santità, fatta di astinenze, di ritiro, di disinteresse per il mondo, per la vita di Curia e per i benefici ecclesiastici.
Subito dopo essere stato eletto, Paolo IV nominò il D. bibliotecario della Vaticana (25 maggio 1555). Scrive R. De Maio: "Se nel ragazzo non si fossero prese in considerazione le sue eccellenti doti morali, quella scelta poteva apparire audace e triste", tuttavia, aggiunge, pur non potendo verificare "la sua attività di bibliotecario..., a giudicare però dagli acquisti conosciuti di cinque mesi (7 nov. 1555-io apr. 1556) sembra che egli non fosse disattento alle esigenze della Libreria" (LaBiblioteca..., pp. 271 s.). Dopo la morte di Giulio III è pure da collocare un suo viaggio a Firenze, per conto del padre, per cercare di consolidare il favore di Cosimo I per il genitore. E nel 1555-1556, il D. tornò a pensare di nuovo di abbandonare la porpora per ritirarsi in convento. Avrebbe voluto anche rinunziare alle due abbazie che riteneva, di Spineto e di Val di Tolle, e a un'altra pensione. Paolo IV, però, si oppose al suo ritiro e, per quanto riguardava la rinunzia ai benefici, "al pontefice però parve bene che si differisse questa abdicazione, per dare ad un tale fatto tutta la celebrità che meritava" (Parigi, Notizie..., p. 44). Siintensificarono, intanto, le sue pratiche ascetiche.
Al 1556 va fatto risalire l'interessamento del D. per la Compagnia di Gesù; a partire da quell'anno volle il padre gesuita G. Polanco come suo confessore. Nel settembre 1557 si interessò all'istituzione di un collegio da parte dei gesuiti in Montepulciano, e mise anche a disposizione le stanze del suo palazzo per sei mesi. Sotto la guida del Polanco, il D. si dedicò agli esercizi e alla spiritualità ignaziani. Mostrò anche grande interesse per le prediche del generale della Compagnia, D. Lainez, che pare trascrivesse e cercasse di imitare in certe sue composizioni.
Il Lainez in una sua lettera a P. Canisio lo definiva "nostro amico" (lettera 21 genn. 1559, in Lainii Monumenta, p. 135) e P. De Ribadeneira scriveva: "a la virtud y affeción de su señoria reverendisima para con toda la compañia, somos obligados" (lettera al Lainez del 19 febbr. 1558 in Confessiones, epistolae..., pp. 269 s.).
Nel 1558 il D. cadde gravemente malato, forse in seguito alle sue stesse pratiche penitenziali. Dopo sei mesi di malattia, morì, a Roma, il 18 genn. 1559; fu stimato come santo dai principali membri della Curia e da uomini come C. Borromeo, R. Bellarmino e C. Baronio. Lasciò alcune orazioni, pubblicate da F. M. Turrigio.
Per chi voglia studiare la vita del D. un ostacolo grandissimo è rappresentato dalla natura delle fonti e delle notizie, anche dei moderni, su di lui, che sono quasi esclusivamente di carattere agiografico o, comunque, fortemente informate dai caratteri di quello che appare un modello precostituito. Materiale di questo tipo meriterebbe scarsa attenzione ma, a volte, è accertabile un totale, e significativo, stravolgimento della realtà. A proposta l'immagine di un ragazzo prodigio che rifiuta sempre di dedicarsi a qualsiasi tipo di gioco, che a dieci anni sa parlare correttamente il greco e il latino e che, con pari diligenza, si dedica poi ai testi sacri e all'ascesi, tutto teso al suo destino di santità. Ebbene, nell'epistolario di G. Pogiani, suo maestro, si trovano biglietti a lui indirizzati in cui l'umanista si lamentava per la sua "importunitate morum" (Epistolae, I, p.30), il maestro rimproverava l'allievo: "nihil te perditius neque audivi neque vidi unquam ... ad literarum studia negligentius, nihil ad congressiones "ad collocutiones ineptius, frigent apud te literarum studia, flagrant ludi ... nunc totos dies turpi ista lusione consumis ... quod ludendi cupiditate videris incensus ..." (ibid., pp. 29 s.), e ancora: "quam vellem, qua ludendi es, ea studendi cupiditate esses incensus!" (ibid., p. 65), e ancora: "si animus tuus e a litteris e a graviori oratione abhorret, quid me tecum adducis?" (ibid., pp. 41s.), e sono solo degli esempi; forse il Pogiani esagerava nella severità verso il suo allievo, ma in queste lettere, scritte tra il 1553 e il 1555, c'è comunque l'immagine di un ragazzino normale, desideroso più di giocare che di studiare il greco; lo stesso G. Lagomarsino di fronte a ciò commentava: "Conferat haec lector, "conciliet, si potest, cum iis, quae Narius de Nobilio nostro prodidit in ejus vita" (ibid., p. 85; e cfr. p. 29). La scollatura tra la realtà e il modello che si è voluto tramandare (e non certo solo nella Vita del Naro) è evidente. C'è da chiedersi a questo punto quanto ci sia di vero nelle restanti notizie sulla vita del De Nobili. Nessun dubbio dovrebbe comunque sussistere intorno alla realtà delle sue pratiche ascetiche e penitenziali. Esse coincisero con il momento critico della pubertà, una delle loro caratteristiche essenziali era l'ossessione per il mantenimento della verginità e della purezza sessuale (i medici, una volta che il D. cadde gravemente malato in seguito ai loro effetti, gli consigliarono, per guarire, semplicemente di sposarsi). Tutto ciò potrebbe spingere a inquadrare questi episodi nell'ambito di una casistica ampiamente documentata e studiata in cui queste pratiche sono in connessione con fobie e sindromi psicosessuali. Restano comunque i dubbi sulla divaricazione tra realtà storica e il modello culturale che si è cercato di costruire intorno al De Nobili. Il materiale biografico su di lui, utilizzabile solo con delle riserve per ricostruire la sua vita, è invece utilissimo allo studio di tale modello culturale. Un modulo che è poi simile, per tanti aspetti, alla concezione gesuitica: astinenze, purezza sessuale, studio e applicazione, cultura classica, vita santa e morte precoce. Un modello che trovò larga applicazione in molti "giovani santi" di quel periodo e che ebbe la sua consacrazione ufficiale con la canonizzazione di Luigi Gonzaga. Non è un caso che la prima o biografia del santo cardinale l'aveva scritta il gesuita Santiago Bosso, compagno di G. Polanco ... e passava per le case della Compagnia" (testimonianza in J. M. Aicardo, Comentario a las Costitutiones de la Compagia de Jesús, VI, Madrid 1932, p. 616, cit. in De Maio, La Biblioteca..., p. 272).
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