CESSI, Roberto
Nacque a Rovigo il 20 ag. 1885 da Riccardo e da Clementina Moretti; dalla sua terra natale, già profondamente segnata dalle lotte contadine per un più giusto e civile assetto sociale, assunse quell'adesione convinta e profonda agli ideali del socialismo riformista che lo accompagnò poi per tutta la sua vita di ricercatore e di studioso.
Nel 1904, ancora studente all'università di Padova, esordiva nell'arena dell'impegno culturale e politico con un breve saggio su La lotta di classe nel Medioevo pubblicato sull'Avanti! dell'11 settembre e nel campo dei severi studi di storia con uno scritto sull'arte dei drappieri a Padova, cui seguiva, l'anno seguente, un brillante saggio su Un passo dubbio di Ennodio, che metteva in evidenza la già profonda influenza della scuola di Vittorio Lazzarini, maestro di scienza paleografica e propugnatore di una feconda revisione del problema delle origini di Venezia, e di Nino, Tamassia, attento studioso delle istituzioni giuridiche e dell'ambiente sociale in cui esse nascono ed evolvono. Nella Padova di fine '800 del resto era ancora ben viva la lezione del lungo ed operoso magistero storiografico di Giuseppe De Leva e Andrea Gloria, degnamente proseguito, negli anni della formazione culturale del C., da Camillo Manfroni.
Il cauto e circospetto accostamento della cultura italiana al materialismo storico stimolava in questi anni il fiorire di una scuola storiografica, quella economico-giuridica, che ha nel Luzzatto, nel Salvemini e nel Volpe gli esponenti più prestigiosi; il C. ne è uno degli allievi più entusiasti e fecondi, che porterà avanti per oltre cinquant'anni una sua tradizione storiografica positiva, non inerte o ignara degli apporti ideologici e metodologici di altre scuole, ma comunque orgogliosa di un suo "fiero isolamento" giustamente rivalutato da uno storico della sensibilità di Delio Cantimori.
I primi studi degli anni giovanili toccano prevalentemente temi economico-sociali del Trecento e Quattrocento e spigolature umanistiche di taglio storico-letterario con una certa dispersione e frastagliamento dell'impegno di ricerca che dà talvolta l'impressione della scelta quasi consapevole del "rischio della pubblicazione, in certo senso, provvisoria e incompleta", destinata però a servire da retroterra e supporto a successive opere di sintesi (Sestan, p. 223).
Nel 1968 il C., che negli anni precedenti aveva sostanziato il suo impegno politico democratico collaborando al quotidiano padovano La Libertà, entrò come funzionario all'Archivio di Stato di Venezia e vi rimase fino al 1920; amico di storici come Kretschmayr e Jorga, lavoratore indefesso e quasi inesauribile, in questi dodici anni esplorò a tappeto i materiali depositati ai Frari, indagò su nuove fonti conservate alla Marciana, al Correr e presso numerosi archivi privati, riordinò fondi ancora semisconosciuti agli studiosi e pubblicò una serie di contributi sui temi più diversi, collaborando con note e saggi di varia ampiezza a riviste di carattere locale e nazionale. Di notevole rilievo la sua partecipazione nel periodo 1919-1921 alla delegazione italiana incaricata di trattare con l'Austria la destinazione degli archivi già appartenuti al disciolto Impero austro-ungarico; superando vacue e inutili impuntature di sapore nazionalistico, il C., che ebbe peraltro la fortuna di trovare come interlocutori studiosi del livello e della sensibilità di O. Redlich ed H. Kretschmayr, riuscì a far trionfare il principio dell'integrità degli "archivi diventati corpi organici" convenendo con gli Austriaci che per la scelta della sede finale dei documenti in contestazione "non può essere decisivo il fatto, se nei loro materiali sia riferimento a un qualunque territorio, ma se i materiali componenti l'organismo archivistico abbiano avuto perfezionamento giuridico ed amministrativo in quel determinato territorio" (Scambelluri, p. XXX).
Grazie al suo impegno fermo e tenace vennero recuperati agli archivi italiani fondi preziosi come gli atti della Corte superiore di giustizia negli anni 1850-1863, della luogotenenza di Venezia dal 1848 al 1866, della presidenza Melzi d'Eril, i processi dei martiri di Belfiore e di Cesare Battisti, i copialettere del card., Ercole Gonzaga e molti altri di non minore importanza.
Nel 1920 vinse il concorso per la cattedra di storia del commercio nell'istituto, di scienze economiche e commerciali di Bari; nel 1922 venne trasferito all'analogo istituto di Trieste e infine nel 1927 succedette a Padova a C. Manfroni nella cattedra di storia medievale e moderna, che terrà poi sino al collocamento a riposo nel 1955. Nonostante il suo passato di sodalista e il suo di marcato distacco dal regime fascista, la stima di V. Fiorini e di P. Fedele lo chiamò a collaborare alla ristampa dei Rerum Italicarum Scriptores dei Muratori, le cui Antiquitates del resto egli ricorda come "guida e maestro" dei suoi studi giovanili, e quella di Giovanni Gentile, sempre attento ad assicurare ad una qualche forma di associazione col regime le forze migliori della cultura italiana (cfr. il noto saggio di G. Turi, Il progetto dell'Enciclopedia Italiana: l'organizzazione del consenso fra gli intellettuali, in Studi stor., XIII [1972], pp. 93-152), alla lunga collaborazione con l'Enciclopedia Italiana, allora in fase di stesura, per cui scrisse con il consueto scrupolo quasi tutte le voci di storia veneta.
Dopo la seconda guerra fu eletto deputato nelle liste del P.S.I. e partecipò alla prima legislatura repubblicana, dedicando i suoi numerosi interventi in aula e commissione ai problemi del riscatto economico e sociale del Polesine e al riordinamento e potenziamento degli archivi di stato. La sua attività pubblica nel secondo dopoguerra fu intensa e molteplice in vari campi: membro del Consiglio superiore degli archivi, dell'Accademia dei Lincei e di numerose altre accademie e istituti culturali, commissario in vari concorsi universitari, collaboratore infaticabile a riviste e periodici, promotore di collane di fonti, partecipe vivace e talvolta polemico di congressi storici, animatore pungente e combattivo di polemiche storiografiche, anche se talvolta una certa ruvidezza di carattere e una troppo rigida chiusura nei confronti di nuovi indirizzi di ricerca nei confronti di singoli studiosi e lo isolavano rispetto alle nuove generazioni di storici.
Presidente per moltissimi anni della Deputazione veneta di storia patria, si adoperò in ogni modo per valorizzarne la funzione di organo di promozione degli studi sia con l'attività scientifica sua e dei suoi allievi sia con frequenti interventi presso le pubbliche autorità; continua ed appassionata fu la sua collaborazione all'Archivio veneto, cui riservava molti dei saggi più significativi di storia veneziana e un numero imponente di schede e recensioni.
La produzione storiografica del C. è vasta, comprende decine di volumi, centinaia di articoli, saggi, note, schede di ogni genere e ampiezza, e spazia su di un arco cronologico che va dal tardo Impero romano agli anni della Resistenza: per mettere insieme una mole di studi così imponente (e si tratta sempre, si badi bene, di ricerche, non di riflessioni o commenti), era indispensabile "una dedizione", una forma di ascetismo laico volutamente sordo a tutto ciò che distrae dal proprio compito, una metodicità rigorosa del proprio lavoro, un programma di vita austero, severo, una fede inconcussa nel valore della ricerca storica" (Sestan, pp. 219 s.).
Alieno, per temperamento e per rigorosa adesione ai severi canoni della scuola economica-giuridica, da ogni teorizzazione metodologica, il C lascia trapelare nei suoi saggi più impegnativi i tratti essenziali della sua concezione dell'indagine storica e il profilo ideale del ricercatore probo, appassionato al tema della ricerca, mai schiavo delle tesi preconcette e delle ideologie. Il canone metodologico del C., come ha notato Sestan (p. 222), "era l'archivio, era la carta, il documento, il codice, la fonte insomma, nella sua immediatezza corposa: tutto il resto, studi, ricerche, volumi, veniva poi".
Non stupisce quindi che un ruolo di assoluto rilievo tra la sua ampia produzione assumano le edizioni di fonti medievali e moderne, sempre accurate e precise, destinate a rimanere strumento indispensabile di lavoro per gli studiosi futuri; un ricordo particolare meritano i Fragmenta historica ab Henrico et Adriano Valesio primum edita(Anonymus Valesianus), in Rerum Italicarum Scriptores, 2 ed., XXIV, 4, Città di Castello 1912-13; gli Studi sulle fonti dell'età gotica e longobarda, I: Fasti Vindobonenses, II: Prosperi continuatio Hauniensis, in Archivio muratoriano, XVII-XVIII (1916), pp. 293-405; XXII (1922), pp. 585-641; l'Origo civitatum Italie seu Venetiarum(Chronicon Altinate et Chronicon Gradense), Roma 1933, in Fonti per la storia d'Italia;le Deliberazioni del Maggior Consiglio di Venezia, I-III, Bologna 1931-1950; Le Deliberazioni del Consiglio dei Rogati(Senato).Serie "Mixtorum", I(lib. I-XIV, insieme con P. Sambin), Venezia 1960; II (lib. XV-XVI, insieme con M. Brunetti), ibid. 1961, a cura della Deputazione di storia patria per le Venezie; I Diarii di G. Priuli, in Rer. Ital. Script., 2 ed., XXIV, 3, II, Bologna 1933-1937; IV, ibid. 1938-1941; la Annalium Venetorum pars quarta di Pietro Dolfin, fasc. I, insieme con P. Sambin, Venezia 1943; la Venetiarum historia vulgoPetro Iustiniano filio adiudicata, Venezia 1964, a cura della Deputazione di storia patria per le Venezie; i Gesta magnifica domus Carrariensis, in Rer. Ital. Script., 2 ed., XVII, 1, Bologna 1948; I Dispacci degli ambasciatori veneziani alla corte di Roma presso Giulio II(25 giugno 1505-9 genn. 1510), Venezia1932; i Verbali delle sedute della Municipalitàprovvisoria di Venezia 1797, I, 1, Bologna 1928 (insieme con A. Alberti); I, 2, ibid. 1929; II e III, ibid. 1932; Le annotazioni di Francesco Calbo alle sedute dei Consigli dei Rogati(1785-1797), Bologna 1942; le Assemblee della Repubblica Cisalpina (insieme con A. Alberti e L. Marcucci), VII-XI, Bologna 1935-1948) e infine La Repubblica veneta nel 1848-49, I, Documenti diplomatici, Padova 1949.Dopo la giovanile dispersione è agevole individuare nel C. maturo alcuni filoni di interesse costante e profondo attorno a cui si coagula una intensa produzione di saggi di ampio respiro, spesso ripresi, con integrazioni e approfondimenti, negli anni successivi. Il C. medievista ha lasciato senz'ombra di dubbio una traccia vigorosa e duratura nella cultura storiografica italiana, soprattutto per le numerose ricerche sull'età barbarica che trovano una compiuta sistemazione nell'ampio saggio su Lo scisma laurenziano e le origini della dottrina politica della Chiesa di Roma, in Arch. della R. Soc. romana di storia patria, XLII (1919), pp. 5-229, e nei volumi su "Regnum" ed "imperium" in Italia. Contributo alla storia della costituzione politica d'Italia dalla caduta alla ricostituzione dell'Impero romano d'occidente, I, Bologna 1919e su Le vicende politiche dell'Italia medievale, I, La crisi imperiale, Padova 1938; II, Il risveglio della nazione, ibid. 1946. Singolare e originale il metodo cui si ispira questa ricostruzione storica, fondata unicamente su una approfondita e sistematica indagine delle fonti, con assoluta esclusione, che non significa ovviamente ignoranza, della pur ampia produzione storiografica italiana e straniera; egli stesso giustifica la difficile scelta metodologica con le "tante e diverse e spesso contradditorie interpretazioni ed ipotesi architettate sul grande fenomeno storico che segna il trapasso dall'età romana all'età moderna, nel momento più acuto della crisi" che rendono indispensabile ma fruttuoso l'umile ritorno alle fonti "spoglio di ogni pregiudizio" e "senza alcun preconcetto, senza alcuna tesi, diffidente soltanto di una cosa, della sicura tradizione dei testi, sui quali attraverso i secoli si sono accumulati detriti di età diverse" (prefazione e dedica a V. Fiorini, pp. V s.).
Quella lettura "originale", cioè "una coazione continua al testo", che giustamente G. Pepe ha rivendicato come una delle novità più feconde del C. storico dell'età barbarica (in Cinquant'anni di vita intellettuale italiana..., II, p. 139), è anche il filo conduttore dei suoi molteplici studi di storia veneziana che costituiscono senza dubbio l'area di ricerca da lui più costantemente battuta e più appassionatamente amata nel corso del suo così lungo e multiforme itinerario di storico. Animatore infaticabile di iniziative e di studi, tra cui merita un ricordo particolare la ripresa dei lavori della Commissione per la pubblicazione dei documenti finanziari della Repubblica veneta, il C. ha esplorato in profondità tutti gli aspetti della storia della Serenissima, arricchendo la bibliografia veneziana di una serie imponente di contributi che toccano tutti i campi della storia istituzionale, economica, diplomatica e religiosa, seppur, anche qui, con una particolare insistenza sull'età delle origini barbariche.
Già nei due volumi della Venezia ducale (I, Le origini, Padova 1928; II, L'età eroica, ibid. 1929) il C. delinea il filo conduttore della sua indagine tesa a depurare la storia delle origini dalle incrostazioni leggendarie, sedimentate nei secoli e alimentate da orgoglio nazionalistico non meno che da concreti interessi di potenza; demitizzata la nascita di Venezia, ridimensionarne nel tempo l'indipendenza e lo sviluppo economico e politico significa per il C. ricreare sì una Venezia, osserva il Seneca, "meno fantastica e meno splendente" ma anche esaltare, con una punta di fierezza "veneta" fors'anche eccessiva, il "meraviglioso slancio" dell'anima veneziana" che "non s'attarda su disquisizioni inutili, perché essa vive di azione vitalmente creatrice" (II, p. 10).
"La realtà, esaminata senza preconcetti e senza pregiudizi, al lume di una oculata prudente e ordinata critica delle fonti, di uno studio attento del mondo, a contatto del quale e nel quale la gente veneziana visse, di una vigorosa diagnosi degli elementi politici e sociali della vita interna, della loro evoluzione e dell'ambiente naturale, nel quale maturarono azione e spiritualità nazionale, appare meno enigmatica e sorprendente, ma non meno vigorosa nei propositi e negli effetti, quanto meno sia oscurata dal mistero di fantastiche illogiche e innaturali sovrastrutture" (prefazione al vol. I): questa vera e propria dichiarazione d'intenti che apre la Veneziaducale ètradotta in concreta realtà di ricerca sulle fonti nel volume su Le origini del ducato veneziano (Napoli 1951), forse una delle opere più valide e durature del C., che indaga gli anni oscuri del passaggio di Venezia da provincia dell'Impero bizantino a Stato autonomo. In una serie di saggi, autonomi nella forma ma unitari nel tema e nell'ispirazione (tra cui fondamentali quelli sull'iscrizione di Torcello del VII secolo e sui Pacta veneta), il C. sacrifica senza esitazioni anche "tradizioni care, animate da profonda passione del natio loco" ma ne recupera l'essenziale valore storico ricordando che "anche la tradizione racchiude grandi verità, che meritano il dovuto apprezzamento: anche le contaminazioni, le falsificazioni o le tarde interpolazioni non sono risultato di capriccio e di arbitrio: anch'esse sono espressione di una esigenza umana, la quale ha interpretato insopprimibili bisogni di nuove situazioni" (p. IV).
Dalle origini barbariche di Venezia gli scavi archivistici del C. risalgono progressivamente all'età moderna toccando quasi tutte le epoche sino alla decadenza, e alla caduta della Repubblica: particolarmente originali e stimolanti gli studi sulla monetazione veneta (poi raccolti nel volume sui Problemi monetariveneziani fino a tutto il sec. XIV, Padova 1937), sulla politica finanziaria (Politica ed economiadi Venezia nel Trecento. Saggi, Roma 1952; e La regolazione delle entrate e delle spese [sec. XIII-XIV], Padova 1925), sulla laguna veneta (vari saggi; cfr. la bibliografia del Tinazzo), sulle miniere (La politica mineraria della Repubblica veneta, Roma 1927, in collaborazione con A. Alberti) ed il saggio su La Repubblica di Venezia e il problema adriatico (Napoli 1953) in cui attraverso la storia del dominio sul mare Adriatico egli delinea la parabola dell'egemonia veneziana dai trionfi economici e politici del '400 al lento ma inesorabile declino del XVIII secolo.
Coronamento di decenni di ricerche e di studi è la Storia della Repubblica di Venezia, comparsa in due volumi nel 1944 e 1946, un'ampia e serrata sintesi delle vicende politiche, economiche e istituzionali della Serenissima, rivissute col deliberato proposito di non soggiacere a "nessun intendimento romantico, né apologetico" ma di scrivere una storia concepita non come "accademia di frivola arcadia, né tribunale, che assolva o condanni" ma come "palestra di verità, nella quale il nostro intelletto, libero da pregiudizi e da suggestioni, volentieri indugia a scrutare l'animus e la mens della vita, quali furono, non quali potrebbero tornare graditialle nostre simpatie"; è opera complessa, aliena da facili suggestioni divulgative e concepita dal C. come "un grande repertorio problematico offerto, con gesto da gran signore, ai futuri cultori della storia veneziana" (Sestan, p. 230).
Se si fa eccezione per alcune incursioni nel campo della storia religiosa, tra cui spicca un'ampia biografia di Martin Lutero (Torino 1954), scritta per sollecitazione di Delio Cantimori, la residua attività del C. si concentra ancora prevalentemente sull'area della prediletta terra veneta, con un ampliamento degli interessi all'età napoleonica e risorgimentale cui forse non è estranea, ritiene il Sestan, la fine della dittatura fascista che con tanto clamore retorico aveva strumentalizzato la storia dell'Italia preunitaria. È del 1947 un bel saggio su Campoformido (Padova 1947, seconda edizione a cura di R. Giusti del 1973), ricco di nuovi apporti documentari, serrato nella ricostruzione delle complicate, vicende politiche e diplomatiche che precedono la caduta della Repubblica veneta e fine nella delineazione psicologica dei principali protagonisti; segue negli anni del secondo dopoguerra una nutrita serie di saggi sul mito di Pio IX, sulla rivoluzione veneziana del 1848-49, sui problemi del Veneto dopo Villafranca, sul 1866, in gran parte riuniti nel 1965 in un unico volume di Studi sul Risorgimento nel Veneto; del1960 infine è il volume su La Resistenza nel Bellunese, autobiografico nell'ispirazione, ma ricco di apporti informativi e vivificato da un severo impegno ideale personalmente vissuto.
Il C. morì a Padova il 19 genn. 1969.
Fonti e Bibl.: Necrologio, in Il Gazzettino, 21 genn. 1969, p. 12; G. Luzzatto, L'opera storica di R. C., in Miscell. in on. di R. C., I, Roma 1958, pp. XIII-XXIV; R. Scambelluri, Un archivista: R. C., ibidem, pp. XXVII-XLIII; N. Nicolini, Ricordo di un maestro, in Clio, V (1969), pp. 421-425; G. Gambarin, Commemor. del membro effettivo prof. R. C., in Atti dell'Istit. veneto di scienze,lettere ed arti, CXXVIII(1969-1970), pp. 19-27; P. F.Palumbo, R. C. (1885-1969), in Studisalentini, XXXV-XXXVI (1969), pp. 303-335; E. Sestan, R. C. storico, in Archivio veneto, LXXXVIII (1969), pp. 217-235 (Con bibl. degli scritti del C. a c. di G. P. Tinazzo, pp. 238-274); F. Seneca, L'opera stor. di R. C., in Arch. stor. ital., CXXVIII(1969), pp. 25-51; G. Pepe, Gli studi di storia medievale, in Cinquant'anni di vita intell. italiana(1896-1946).Scritti in onore di B. Croce per il suo ottantesimo anniversario, II, Napoli 1950, p. 139; D. Cantimori Storici e storia, Torino 1971, pp. 207 s., 268 s.