BARDI, Roberto
Figlio di Barduccio, come risulta dalla concessione fatta a suo favore da Giovanni XXII il 7 marzo 1318 (a quanto assicura il Mazzucheri, nella pace fatta a Firenze dal duca di Atene tra le famiglie Bardi, Buondelmonti e Giandonati, cui il B. sottoscrisse [1342], egli è detto figlio di Barduccio di Riccio di Buonaguido di Maffeo), appartenne alla famosa famiglia dei banchieri fiorentini. Dedicatosi negli anni giovanili allo studio delle arti liberali - è il Villani che dà queste notizie - s'approfondì nella filosofia morale e naturale, superando, a detta del cronista fiorentino, tutti i dotti dei suo tempo. La scienza che però gli diede maggior fama fu quella teologica a cui si rivolse per ultimo e che coltivò poi per il resto della sua vita. Recatosi a Orléans e poi a Parigi, il maggior centro di studi teologici dell'epoca, egli finì col divenire "doctor maximus omnium subtilissimus" (Villani, Liber..., p. 21).
Non è noto quando si recò a Parigi; vi doveva già essere però il 7 marzo 1318 quando il papa Giovanni XXII gli concesse il canonicato della chiesa di Glasgow "sub expectatione prebende"; il 12 sett. 1323 lo stesso papa gli concesse anche il canonicato della chiesa di Verdun "cum plenitudine iuris canonici" in considerazione delle sue virtù senza privarlo dei benefici che possedeva nella chiesa di Glasgow. Ben poco si sa della sua vita di studente, salvo, e la cosa è interessante, che fu in contatto ed anzi amico di Marsilio da Padova, di cui senza dubbio apprezzò le doti: alla vigilia infatti della fuga di Marsilio da Parigi, prima dell'estate quindi del 1326, il B. diede "novem floreni auri" al maestro padovano, che aveva promesso di tenere un corso di teologia. Il fatto che il B. poi non ebbe difficoltà a causa della sua amicizia con Marsilio, e la circostanza che fu assai stimato da Bartolomeo vescovo di Urbino, noto per la sua polemica contro i sostenitori di Lodovico il Bavaro, - Bartolomeo chiama il B. "meus pater et dominus" (Milleloquium, p.1126) -, fa da una parte pensare che il B. non abbia condiviso le idee del maestro padovano, con il quale del resto non risulta che abbia avuto più contatto, dall'altra fa intuire le diverse direzioni cui si rivolgevano i suoi interessi.Divenuto dottore in teologia, il B. prese posizione, insieme con gli altri colleghi della facoltà, contro le idee espresse da Giovanni XXII in merito al problema della visione beatifica: presente con molta probabilità alla riunione che su questo argomento tenne a Parigi la facoltà di teologia il 27 dic. 1333, partecipò certamente a quella del successivo 2 gennaio, sottoscrivendone le decisioni, come risulta dal documento, una lettera indirizzata al re di Francia, redatto in questa circostanza: il 2 genn. 1334 ventinove dottori della facoltà di teologia di Parigi respinsero le affermazioni di Giovanni XXII, che rimandavano, fra l'altro, a dopo il giudizio universale l'inizio, per ciascuno, della visione beatifica. Il B. dovette ben presto raggiungere una certa fama, a conferma di quanto dice il Villani: fu infatti tra i "magistri" convocati da Benedetto XII, successo a Giovanni XXII, a Sorgues (Pons Sorgiae) per trattare e definire la questione della visione beatifica (il papa si trattenne a Sorgues dal 4 luglio al 4 sett. 1335 e chiuse la questione il 29 genn. 1336 con la costituzione "Benedictus Deus"); l'8 sett. 1335 il B. ebbe il canonìcato e le prebende della chiesa di NotreDame di Parigi, forse a ricompensa dell'abbandono del decanato e del canonicato della chiesa di Glasgow, cui fu costretto in questa stessa data; il 7 marzo 1336 infine, Benedetto XII gli concesse la cancelleria "ecclesie Parisiensis" e quindi dell'università. Per quanto questo ufficio avesse perso praticamente tutta l'importanza primitiva, tuttavia esso era sempre affidato a uomini che si distinguevano per la purezza dei loro costumi e per la profondità della loro scienza; di tali requisiti dovette perciò essere in possesso il B. (Benedetto XII dichiara nel documento di concessione che Roberto "de Bardis de Florentia" era stato dotato dal Signore della "letterarum scientia", della "morum elegantia et alia dona virtutum").
Ricoprì questa carica fino alla morte, con onore e onestà; non s'adattò all'abuso ormai invalso di accettare doni dagli studenti alla vigilia della loro licenza, come testimonia il rifiuto di "centum leones auri" offertigli da un Leonino di Padova (ciò risulta da una testimonianza data dal generale degli eremitani di S. Agostino, Giovanni di Basileal nel processo svoltosi nel 1385 tra l'università parigina e il suo cancelliere Giovanni Blanchart). Negò a Stefano Doublel, un baccelliere in teologia, la promozione a dottore in teologia "propter defectum natalium", decisione su cui Clemente VI il 19 dic. 1343 lo invitò a tornare, facendogli presente la dispensa di cui il Doublel poteva usufruire. Due tuttavia sono gli episodi del cancellierato del B. che sembrano particolarmente degni di nota (le altre testimonianze relative a questo ufficio consistono per lo più in sollecitazioni di Clemente VI perché il B. promuovesse dei "bacallarii" in teologia "ad magisterium in theologia"): l'offerta della corona poetica al Petrarca e la condanna di sette delle quaranta proposizioni del cisterciense, baccelliere in teologia, Giovanni di Mirecourt. Le due lettere del Petrarca che ci rendono conto, la prima, dell'offerta fatta dal B., la seconda dei suo rifiuto - entrambe dirette al cardinale Giovanni Colonna, portano rispettivamente la data del 10 e del 10 sett. 1340 (Fam. IV, epp. 4 e 5) - sono specialmente interessanti perché sicure testimonianze dei profondi legami che dovevano unire il poeta ed il teologo toscani; legami fatti d'una amicizia (il B. "illustris vir", "concivis meus", è, dice il Petrarca, "michi amicissimus") fondata su una non superficiale comunanza di interessi (il B. è detto anche "rebus meis amicissimus"), tanto che l'alternativa della scelta tra Roma, dal cui Senato aveva ricevuto analoga offerta, e Parigi è anche, per il Petrarca, l'alternativa tra la patria e l'amico ("urge enim... hinc an-licus, hinc patria"). Amicizia riaffermata quando il Petrarca, avendo scelto Roma, si dice sicuro della comprensione da parte del B. ("... cui nobiscum facile - scil. Robertus - conveniet"). Si può supporre, come alcuni studiosi pensano, che il Petrarca abbia conosciuto il B. quando si recò a Parigi nel 1333. Le proposizioni di Giovanni di Mirecourt, tratte dal suo Commentarius super quatuor libros Sententiarum, furono condannate dal B., "de consensu magistrorum" nel 1347. Il 2 ottobre dello stesso anno egli risulta "regens in Theologia".
Nell'ultima menzione che si ha del B., che è del 29 maggio 1349 - si tratta d'una concessione di prebende della Chiesa di Chartres a suo beneficio -, egli risulta non solo "cancellarius" dell'università, ma anche "decanus theologice facultatis et regente Parisius in eadem".
Morì certamente prima del 26 ott. 1349, data in cui giurò il suo successore nel cancellierato Giovanni d'Assy.
Ci rimangono del B.: il Collectorium sermonum sancti Augustini, imponente raccolta di sermoni composta intorno al 1340 o al 1347, tuttora inedita (è contenuta, per le prime due parti, nei codd. Vat. lat. 479, copia personale del B., Par. Lat. 2030, copia del precedente, Toletano capitolo LVIII, e per le ultime tre parti nel codice dell'Università di Valencia 607 [401, continuazione del cod. Vat. Lat. 479), ma conosciutissima e sfruttata da tutti gli editori dei sermoni agostiniani; una vasta collezione di opuscoli agostiniani, contenuti nei codd. Par. lat. 14294, 14295 e 14296 - in quest'ultimo vi è pure l'epistolario di Sidonio Apollinare - e, infìne, alcuni sermoni dal B. pronunciati in diverse occasioni, conservati alla Ricciardiana di Firenze, n. 406.
Se i sermoni del B. non segnalano in modo particolare la sua figura, legati, come sono, alla vecchia tradizione scolastica, assai interessante invece si rivela l'esame delle altre sue opere, il Collectorium e la raccolta di opuscoli agostiniani dei codici parigini, opere che inducono a vedere in B. un bibliofilo ed un editore, lasciando ai contemporanei la responsabilità della sua fama di teologo. Tanto più che al B. pare si debba attribuire il merito - secondo quanto le attente indagini del Pozzi hanno potuto accertare - di aver pensato di dare non solo l'intero "corpus" dei sermoni agostiniani - l'ultiina redazione del Collectorium doveva contenere 567 sermoni - ma l'intero "corpus"delle opere di s. Agostino, impresa che per il solo fatto d'essere stata concepita - e, per i sermoni, eseguita - pone il B. su di un piano diverso rispetto al passato, e che spiega perfettamente quello che rimane, per lo studioso della cultura del '300, il fatto più indicativo della biografia del B., la sua amicizia cioè col Petrarca. L'amore per la ricostruzione e l'edizione completa dell'opera d'un autore, basata su di una paziente ricerca dei codici (e significativo per il nuovo clima di cui partecipava il B. è il fatto che il codice di Tolosa 175, contenente parte del Milleloquium di Bartolomeo di Urbino, finito di scrivere l'8 febbr. 1347, attribuisca proprio a lui la scoperta, "in librarie abbassie sancti Dyonisii diocesis parisiensis", dei sermoni pseudoagostiniani "ad fratres de Eremo"), l'ambizione di raggiunrere il risultato definitivo infatti accomunano assai più il B. ai precursori della nuova cultura, che nel Petrarca hanno appunto il loro massimo rappresentante, che alla maggior parte degli altri suoi contemporanei ancora legati allo schema del florilegio, della scelta, come dimostra la vasta fortuna del Milleloquium di Bartolomeo di Urbino. Accertata questa fondamentale novità, per il resto l'opera presenta ancora quei difetti che generalmente si riscontrano nell'età preumanistica: così non vi sono osservazioni o commenti di particolare interesse per il testo, riferendosi questi sempre alla sola disposizione della materia, e sono accolti, come autentici, sermoni che una più attenta critica filologica ha dimostrato spuri, come quelli "ad fratres de Eremo" e quelli riconosciuti di Cesario di Arles.
Pur non conoscendo la ragione precisa che spinse il B. a occuparsi esclusivamente di s. Agostino, si può pensare, come opina il Pozzi, che egli si sia mosso in questa direzione oltreché per il diffuso interesse che la sua età dimostrò per il padre africano, anche per più precisi motivi di ordine dottrinario-teologico: "... dicit ... dominus Robertus ... quod in eis - cioè nei trattati e sermoni di s. Agostino - et epistolis continetur maxima theologia et speculativa et moralis..." (Bartolomeo di Urbino, Milleloquium, p.1126).
Interessante per la conoscenza della personalità sua e dei nuovi orientamenti dell'età, la sua opera è anche più interessante per aver il B. disposto di materiale eccellente e spesso assai raro, tanto che per alcuni sermoni il Collectorium rappresenta l'unica tradizione giuntaci, e perché testimonianza di quali fossero le opere di s. Agostino più conosciute nel, 300. Le fonti cui si rifece il B. per la compilazione del Collectorium sono state identificate dal Pozzi (Roberto de' Bardi..., p. 147). La diffusione del Collectorium non fu grandissima, a giudicare dalla scarna tradizione manoscritta: questo probabilmente si può attribuire da un lato alla preferenza data nel corso del sec. XIV ai "flores" piuttosto che alle intere raccolte, dall'altro alla dispersione subita dal secondo volume dell'archetipo contenente le tre ultime parti della raccolta, dispersione che, avvenuta già ai tempi di Nicolò V, dimezzando la raccolta stessa, ne diminuì molto l'importanza e le impedì una vasta fortuna nel successivo secolo, che pure vide un moltiplicarsi di codici di sermoni agostiniani nei centri unianistici di Firenze, Urbino e Roma.
Fonti e Bibl.: Bartholomaeus de Urbino, Milleloquium S. Augustini, Brixiae 1734, 11, p. 1126; Examen iudiciale Francisci Veneti asseclae Marsilii de Padua, in E. Baluze, Miscellanea novo ordine digesta... opera ac studio I. D. Mansi, Il, Lucae 1761, 1). 281; F. Villani, Le vite d'uomini illustri fiorentini..., a cura di G. M. Mazzuchelli, Firenze 1826, pp. 96-98; F. Villani, Liber de civitatis Florentiae famosis civibus,a cura di G. C. Gafietti, Florentiae 1847, pp. 20 s.; A. Thomas, Extraits des archives du Vatican pour servir à l'histoire littéraire du Moyen-Age, in Mélanges d'archéologie et d'histoire, IV (1884), pp. 14 s.; Chartularium Universitatis Parisiensis, a cura di E. Denille e E. Chatelain, II Parisiis 1891, nn. 981, pp. 431; 995, 453, 998, 459 s.; 1038, 501 s.; 1039, 503; 1068, 537; 1079, 543; 1086, 547; 1087, 548; 1093, 551 s.; 1121, 575; p. 613; nn. 1153, pp. 618 s.; 1156, 621 s.; 1162, 625; 1177, 657; 1184,670 s.,p. 684; III, Parisiis 1894, n. 1521, p. 412; Benoit XII (1334-1342). Lettres communes., I, Paris 1903, a cura di J.-M. Vidal, n. 235, pp. 30 s.; Jean XXII (M6-1334). Lettres communes...,II, Paris 1905, a cura di G. Mollat e G. de Lésquen, n. 760, p. 114; Epistola Francisci. Petrarca ad Iohannem de Columna, 10 sett. 1340, Fam. 1, IV, ep. 4, in Francesco Petrarca, Le Familiari, a cura di V. Rossi, I, Firenze 1933, pi). 167 s.; Epistola eiusdem ad eundem, 10 sett. 1340, Farn. 1, IV, ep. 5, ibid., pp.168-169; d. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, IL 1, Brescia 1758, pp. 340-342; C. Paoli, Della Signoria di Gualtieri duca d'Atene in Firenze, in Giorn. storico d. Archivi toscani, VI, 2 (1862), pp. 116, 118-119; luglio-settembre 1862, doc. n. 57, p. 204; P. Feret, La facu Ité de théologie de Paris et ses docteurs les plus célèbres, Moyen-Age, III, Paris 1896, pp. 132 s.; R. Davidsohn, Geschichte von Florenz, III, Die letzen Kdmpfe gegen die Reichsgewalt, Berlin 1912, p. 792; IV, Die Friihzeit der fiorentiner Kultur, 2, Gewerbe, Zúnfte, Welthandel und Bankwesen, Berlin 1925, p. 307; 3, Kirchliches und geistiges Leben, Kunst, Offentliches und hdusliches Dasein, Berlin 1927, pp. 139 s., 147; G. Pozzi, Il Vat. Lat. 479 ed altri codici annotati da R. de' B., in Miscell. del centro di studi medievali, s. 2, Milano 1958, pp. 125 s.; Id., R. de' B. e s. Agostino'in Italia medioevale e umanistica, 1 (1958), pp. 139-153.