Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Con la sua attività di compositore, le sue idee e la sua acuta coscienza critica, Schumann esercita un influsso decisivo sulla generazione romantica. Concepisce la creazione come un atto spontaneo e inconscio che muove da un impulso poetico; i suoi principi estetici animano una produzione che privilegia il breve pezzo di carattere per pianoforte, ma esplora anche ogni altro genere vocale e strumentale. L’innovativa concezione della forma porta Schumann a valorizzare una fitta rete di reminiscenze interne anziché lo sviluppo lineare classico.
Prototipo dell’artista romantico per il quale arte e vita sono unità inscindibili, Robert Schumann dà voce, più di ogni altro fra i suoi contemporanei, alla coscienza musicale della sua età: non solo per l’attività critica militante condotta dalle pagine della “Neue Zeitschrift für Musik”, ma anche perché trasporta in modo determinato e consapevole nella sua produzione artistica le idee espresse nella rivista.
Nell’ispirazione musicale di Schumann la componente culturale è fondamentale: il compositore accoglie stimoli poetici, letterari, filosofici, che stanno alla radice della sua musica, come se essa nascesse spontaneamente da quelle esperienze interiori e ne fosse il riflesso. La creazione artistica si configura dunque come l’atto che scaturisce da un istinto poetico, da una particolare disposizione dell’animo o della fantasia; il suo carattere inconscio fa sì che essa trascenda la grammatica, cioè l’insieme delle norme e delle forme codificate. Schumann, la cui formazione è sostanzialmente quella di un autodidatta, si mostra insofferente delle regole scolastiche: le considera aride e inutili e ne rifiuta l’apprendimento sistematico; concepisce la composizione musicale come la proiezione di un mondo fantastico, lontano da tutto ciò che è prosaico, comune e volgare. In quanto tale l’opera d’arte musicale non è prodotto di natura artigianale, per la realizzazione del quale è sufficiente il talento: la creazione artistica è opera del genio.
L’attività creativa di Schumann si lascia agevolmente suddividere in fasi distinte, che corrispondono ad altrettante tappe di un’esplorazione sistematica dei generi musicali. Tali fasi coincidono, inoltre, con decisivi eventi biografici, esterni oppure interiori: anche in questo aspetto si rivela la tipica commistione romantica tra arte e vita.
Nel decennio 1829-1839 Schumann scrive e pubblica quasi solo musica per pianoforte. In questa produzione hanno la prevalenza assoluta i pezzi di carattere, riuniti in cicli legati da una comune idea poetica. Si tratta di brani brevi, che si avvicendano nel carattere espressivo e nello stato d’animo; all’interno di un ciclo l’unità generale è spesso assicurata da un medesimo nucleo tematico riaffiorante di continuo in forme molteplici. Anche dove il punto di partenza è rappresentato da un tipico pezzo da salotto, cioè da musica d’intrattenimento, la fantasia trasformatrice di Schumann investe il brano e lo trasfigura grazie all’armonia, al contrappunto, a una rete di motivi collegati da processi di metamorfosi, ad allusioni e citazioni dal valore simbolico.
Il legame privilegiato tra musica e poesia fa sì che la prima incorpori elementi extramusicali, che consistono frequentemente in riferimenti letterari. A volte l’attinenza programmatica è diretta: in Papillons op. 2 (1829-1831) ogni numero nasce da un riferimento fantasioso a un passo dei Flegeljahre di Jean Paul; più spesso, il riferimento è indiretto e allusivo. In Carnaval op. 9 (1834-1835) i brani sono altrettante miniature ispirate a una festa notturna; le Kinderszenen (Scene infantili) op. 15 (1838) rievocano il mondo infantile; le Novellette op. 21 (1838), più ampie ed elaborate, narrano vicende personali (come lo scontro, rivoltato in chiave umoristica, con il padre di Clara Wieck, o la battaglia per ottenere la mano dell’amata) oppure storie divertenti o eccitanti, racconti musicali coi quali Schumann intrattiene Clara. Kreisleriana op. 16 (1838) riflette il mondo fantastico e demoniaco di Hoffmann: Schumann si ispira agli scritti autobiografici e alle fantasie dell’immaginario maestro di cappella di nome Kreisler, e ne esalta i tratti tipicamente romantici con una musica che trapassa da uno slancio appassionato a un trasognato lirismo. Nei Davidsbündlertänze op. 6 (1837) Schumann mette in scena i membri dell’immaginaria Lega di Davide, oppositori del cattivo gusto dilagante e di ogni forma di filisteismo. Le figure di Eusebio e Florestano – ricalcate su Vult e Walt, i fratelli protagonisti dei Flegeljahre di Jean Paul – riflettono l’ambivalenza della personalità schumanniana: il primo il lato malinconico e introverso, il secondo quello ardente e appassionato.
Schumann esclude, in ogni caso, legami troppo stretti ed esclusivi tra musica e stimolo poetico-letterario. Un programma troppo dettagliato, una connessione troppo vincolante costituiscono un limite alla fantasia; il rapporto ideale tra musica e poesia è quello tra arti contigue, un rapporto che dà origine a scambi e metamorfosi, nel quale l’una tenda a trasformarsi nell’altra e a dar vita, così, a nuovi contenuti poetici.
Notevole, in questi cicli pianistici, la novità del linguaggio schumanniano: la concezione della forma innanzitutto, in virtù della quale anziché enunciare ed elaborare temi si procede per allusioni e reminiscenze, lasciando affiorare le idee dal discorso musicale e dissolvendole nuovamente in esso. Le idee che hanno modo di emergere valgono per la rete di collegamenti che sanno instaurare: non vengono mai, perciò, enunciate a chiare lettere e non possiedono un significato e una pregnanza simbolica univoci. Negli Studi sinfonici op. 13 (1834), per esempio, Schumann si allontana dalla tradizionale tecnica della variazione: anziché variare un singolo tema procede con un gioco di analogie, in una forma libera e fluttuante; dalla cellula motivica fondamentale ricava ritmi e nuovi spunti melodici, cosicché la variazione si configura come una sorta di libera fantasia. Lo stile pianistico, parallelamente, è incandescente e visionario; il pianoforte suggerisce una sonorità orchestrale per la varietà timbrica, la sovrapposizione di diversi piani sonori, gli effetti strumentali onomatopeici.
A partire dal 1840 Schumann frequenta meno il genere del pezzo breve per pianoforte, sino a quel punto assiduamente coltivato, e inizia a cimentarsi, con metodo e sistematicità, negli altri campi della composizione musicale.
Il 1840 è l’anno dei Lieder: Schumann ne scrive ben 138, raccolti in una ventina di cicli; in questo straordinario rigoglio creativo è difficile non scorgere il riflesso della felicità portata dall’amore e dal matrimonio con Clara Wieck. La fioritura liederistica di quell’anno comprende, tra le altre, raccolte quali Liederkreis (Ciclo di canzoni) op. 24 e Dichterliebe (Amor di poeta) op. 48 su poesie di Heinrich Heine; Myrthen op. 25, Liederkreis op. 39 su testi di Eichendorff, e Frauenliebe und -leben (Vita e amore di una donna) op. 42 su poesie di Adalbert von Chamisso. La lezione schubertiana, con la sua unione strettissima tra parola e musica, è assimilata alla perfezione; da Schubert è mediata anche la capacità di rendere il pianoforte un interlocutore autonomo, in grado di inserirsi fra le pieghe segrete del canto e di valorizzare, con ogni mezzo timbrico ed espressivo, le qualità e i particolari del testo messo in musica. In Schumann, tuttavia, la parte pianistica assume spesso un rilievo eccezionale, tanto da prevalere sul canto; al pianoforte sono anche affidati ampi preludi o interludi.
Il 1841 è l’anno sinfonico: Schumann compone il Concerto per pianoforte op. 54, la Prima sinfonia e la prima versione della Quarta, che rielaborerà a fondo nel 1851. Degno di nota l’impianto formale della Quarta sinfonia, che Schumann intitola in un primo tempo Fantasia sinfonica per grande orchestra. Essa realizza una sintesi tra le forme della tradizione classica e i liberi procedimenti di una fantasia romantica come avviene nell’op. 47 di Beethoven e nella Wandererphantasie (Fantasia del viandante) di Schubert, poiché i quattro movimenti si succedono senza soluzione di continuità e sono collegati da una salda unità tematica (ogni movimento si riconnette, nel materiale tematico, ai motivi enunciati nell’introduzione lenta al primo movimento). Il ritorno ciclico delle idee dà l’impressione che quest’opera, dal carattere ardente e appassionato, sia permeata da un’idea poetica unitaria.
Il 1842 è dedicato alla musica da camera; vedono la luce i tre Quartetti per archi op. 41, il Quintetto op. 44 e il Quartetto per pianoforte e archi op. 47, i Phantasiestücke op. 88 per pianoforte, violino e violoncello.
L’anno seguente Schumann rivolge l’interesse alle grandi forme sinfonico-corali: nascono l’oratorio per la sala da concerto Das Paradies und die Peri (Il Paradiso e la Peri) e, nel 1844, le Szenen aus Goethes Faust (Scene dal Faust di Goethe).
Il mutamento di prospettiva verificatosi all’inizio degli anni Quaranta, mutamento che porta Schumann a orientarsi verso le forme ampie della musica da camera e sinfonica svincolata da intenti programmatici, coincide anche con un impulso rinnovato verso la scrittura contrappuntistica.
Negli anni di apprendistato con Heinrich Dorn, Schumann si era rivelato insofferente delle rigide regole del contrappunto e della composizione tradizionale, fatte solo – a suo giudizio – per isterilire la fantasia creatrice; ma la contraddizione è solo apparente: al contrappunto e alle forme severe, Schumann giunge non per via scolastica bensì tramite la mediazione e lo studio dei classici, che frequenta, da autodidatta, per tutta la vita.
Nell’Arte della fuga e nel Clavicembalo ben temperato di Bach, in particolare, Schumann individua la summa della creazione e del sapere musicale. Qui l’arte del contrappunto non è sterile applicazione accademica, bensì riflesso di una severa concezione morale: è il mezzo grazie al quale il musicista, il genio creatore, trasfigura la materia sonora, in un processo – teso ad attingere una dimensione superiore – che trascende le regole e la tecnica del comporre. Dallo studio del contrappunto nasce, nel 1845, un gruppo di composizioni in stile severo: le Quattro fughe op. 72 per pianoforte, le Sei fughe sul nome Bach op. 50 e i Sei studi in forma di canone op. 56 per organo.
Sia nelle piccole che nelle grandi forme, Schumann crea una fitta trama di corrispondenze all’interno della composizione, riprendendone ciclicamente i temi e trasformandoli in un gioco di continui rimandi; ciò determina l’ideale unità del brano, concepito come espressione di un unico impulso creativo. Il ricorso continuo all’imitazione, ovvero il gioco dei richiami e delle continue metamorfosi tematiche, gli accenni a motivi che subito mutano o si dissolvono, bastano a creare una trama segreta di rispondenze, un filo rosso che attraversa la composizione da cima a fondo.
Questa tecnica particolare è funzionale al processo delle continue reminiscenze piuttosto che al consapevole sviluppo di un tema ben definito. La stessa melodia perde i contorni netti dei temi classici e pare quasi affiorare dal tessuto armonico.
L’armonia, con i suoi rapidi trapassi che portano a tonalità lontane, si fa strumento di questa trama di reminiscenze, che alla lunga ha un effetto dirompente sulle leggi di attrazione dinamica fra i piani tonali.
La rete dei reciproci rimandi rovescia la concezione classica del tempo musicale che non scorre più lineare e orientato verso una meta, ma evolve ciclicamente, abolendo sia le gerarchie interne tra tema e sviluppo, sia la logica della successione ordinata di eventi, in favore della loro presenza sincronica. Ma è proprio la perdita di un solido impianto logico-formale che sembra suggerire all’ideale ascoltatore di percepire in modo “poetico”, cioè di farsi partecipe e di ricreare il mondo fantastico da cui scaturiscono i frammenti e le suggestioni della musica di Schumann.
Soprattutto dopo il 1832, quando è costretto all’abbandono dell’attività concertistica, Schumann svolge un’importante attività di critico e intellettuale militante. Fonda nel 1834 la “Neue Zeitschrift für Musik”, che dirige fino al 1844; dalle pagine del giornale discute questioni di estetica e poetica, di teoria musicale, di storia delle arti, influisce sulle idee ed esercita un ruolo fondamentale nella cultura musicale tedesca. Dedica pagine entusiastiche alla musica di Schubert e mette in luce i talenti emergenti (fra cui Chopin, Berlioz, Brahms).
Schumann propugna un’arte “impegnata”, che alla pratica salottiera o esteriormente virtuosistica della musica contrapponga autentici valori poetici: un’arte, dunque, lontana da tutto ciò che è meccanico o convenzionale, e che possiede la capacità di introdurre in un mondo superiore. Schumann afferma il valore assoluto della musica “pura” e svaluta la musica a programma, perché ritiene uno scadimento il descrittivismo di dettaglio; la posizione è paradossale, considerato che nella sua musica i rimandi letterari, le allusioni programmatiche o autobiografiche sono frequentissime. La musica schumanniana, tuttavia, non è musica a programma nel vero senso della parola: il rinvio all’elemento extramusicale è solo un’allusione, un orientamento generico perché l’ascoltatore colga nella musica l’idea poetica che la anima.
Più contraddittoria, invece, è la posizione di Schumann nei confronti del virtuosismo strumentale. Dato l’impegno etico che attribuisce alla composizione, Schumann prende ferocemente di mira il virtuoso superficiale e mondano e il pubblico “filisteo” per il quale si esibisce; è tuttavia consapevole che il virtuosismo può essere nobilitato dallo sforzo di trascendere la materia, quando esprima la tensione a travalicare i limiti meccanici imposti dallo strumento e promuova un’esperienza estetica totalizzante.
Schumann si inserisce pienamente nella tendenza storicistica della sua epoca, prendendo posizione in favore di una prassi esecutiva rispettosa sia dell’autenticità dei testi musicali (invita i musicisti, tra l’altro, a confrontare i manoscritti originali con le edizioni in circolazione) sia dell’originale senso estetico delle opere. Concepisce la storia non come riserva di modelli al di fuori del tempo, bensì come fattore di arricchimento del presente musicale, in grado di rafforzare la vena creativa dei compositori contemporanei. Sostiene dunque che ai giudizi estetici occorra dare un fondamento storico, sottraendoli alla semplice sfera del gusto.