Rossen, Robert (propr. Rosen)
Regista, produttore e sceneggiatore cinematografico statunitense, nato a New York il 16 marzo 1908 e morto ivi il 18 febbraio 1966. Affermatosi inizialmente come sceneggiatore, nelle pratiche della scrittura prefilmica mise a fuoco e sviluppò poetiche e predilezioni visive poi riversate nella successiva attività registica che culminò nel 1950 con un Oscar per il miglior film ottenuto con All the king's men (1949; Tutti gli uomini del re). Nel corso della sua lunga carriera, R. si cimentò frequentemente con le atmosfere corrusche e torbide del noir, mescolandole insieme a quelle del melodramma e del gangster film e caratterizzando con forza i tratti principali di personaggi disperati, violenti e ribelli.
Cresciuto in una famiglia povera di immigrati ebrei russi, ebbe una breve carriera come pugile professionista per poi diventare scrittore e regista di commedie per i teatri off-Broadway. Dopo circa sette anni a Broadway fu notato dalla Warner Bros., che nel 1937 lo ingaggiò come sceneggiatore. In quello stesso anno scrisse Marked woman (Le cinque schiave) di Lloyd Bacon e They won't forget (Vendetta) di Mervyn LeRoy, e subito dopo The roaring Twenties (1939; I ruggenti anni Venti) di Raoul Walsh, The sea wolf (1941; Il lupo dei mari) di Michael Curtiz, e successivamente The strange love of Martha Ivers (1946; Lo strano amore di Marta Ivers) di Lewis Milestone. Nel 1947 passò alla regia con Johnny O'Clock (A sangue freddo), un noir di ispirazione chandleriana. Nel seguente Body and soul (1947; Anima e corpo), scritto da Abraham Polonsky e interpretato da un frenetico John Garfield, R. precisò il suo stile nell'intreccio fra le atmosfere notturne del noir americano e le forme nette ed estreme di un realismo cruento ed esasperato. Inoltre, con questa violenta ricognizione sull'ascesa e sull'eroica caduta di un pugile, innestò nel suo cinema una critica sistematica nei confronti dei meccanismi del potere, che in pieno maccartismo gli procurò lunghi processi e l'emarginazione da Hollywood (anche se nel 1953 cedette alle pressioni e denunciò molti suoi amici). Il film che soprattutto gli attirò gli strali dell'HUAC (House Un-American Activities Committee) fu All the king's men, acuta satira dai ritmi vorticosi sulle storture demagogiche della politica americana dell'immediato secondo dopoguerra, che trionfò aggiudicandosi gli Oscar anche per il migliore attore (Broderick Crawford), la migliore attrice non protagonista (Mercedes McCambridge) e una nomination per la regia. Da questo momento per R. cominciò un lungo e alterno esilio. Già fuori dall'ambiente risulta The brave bulls (1951; Fiesta d'amore e di morte), avventura estrema di un torero, nel quale tuttavia il regista riesce a salvaguardare quel suo modo eccessivo e volutamente informe di filmare e di attraversare la realtà. Più anonimi sono invece i successivi Mambo (1954), girato in Italia per la produzione di Dino De Laurentiis, con Silvana Mangano e Vittorio Gassman, Alexander the Great (1956; Alessandro il Grande), film storico forse troppo teatrale, e il dramma Island in the Sun (1957; L'isola nel sole) con James Mason e Joan Fontaine.
Ma fu con gli ultimi tre film che R. riprese il discorso interrotto. They came to Cordura (1959; Cordura), The hustler (1961; Lo spaccone) ‒ di cui nel 1986 Martin Scorsese avrebbe girato una sorta di seguito, che è anche un omaggio, dal titolo The color of money (Il colore dei soldi), ancora interpretato dal protagonista di The hustler, Paul Newman ‒ e Lilith (1964; Lilith, la dea dell'amore) precisano e rilanciano la disperata lucidità politica del suo cinema, il suo voler sempre raccontare la ribellione individuale e collettiva attraverso le forme incerte e ambigue della passione e della follia. Così They came to Cordura è un western che fa dei dolenti personaggi interpretati da Gary Cooper e Rita Hayworth l'espressione di una volontà fortemente antimilitarista; The hustler è invece un film sull'ambizione insaziabile del gioco, condotto su un piano tutto psicologico attraverso la fotografia fumosa e di stampo espressionista di Eugene Schuftan (che per il film ottenne l'Oscar ); infine Lilith, con Warren Beatty, Jean Seberg e Peter Fonda, unisce le corde tesissime di un melodramma dai toni parossistici al gusto iperrealistico di una narrazione asciutta e mai sopra le righe. Nel 1998 è stata pubblicata la ricca documentazione costituita da Robert Rossen Papers 1934-1965.
A. Casty, The films of Robert Rossen, New York 1969.