Flaherty, Robert Joseph
Regista statunitense, nato a Iron Mountain (Michigan) il 16 febbraio 1884 e morto a Brattleboro (Vermont) il 23 luglio 1951. Il suo lavoro influì in modo determinante sullo sviluppo del cinema in quanto nuovo mezzo espressivo grazie a un approccio al documentario che ruppe con tutte le convenzioni stabilite dai processi produttivi dell'epoca. Il suo primo film, Nanook of the North (1922; Nanouk o Nanuk l'eschimese), ricostruzione romanzata della vita di un nativo nelle terre dei ghiacci, restituì sullo schermo quella realtà mostrata nei primi cinématographes dei fratelli Lumière e in seguito bandita dagli schermi, a favore di immagini convenzionali, simili a cartoline illustrate. Affrontò gli aspetti essenziali ed elementari della vita umana, con una tale intensità e purezza di stile che la critica definì i suoi lavori documentari lirici. Il tema unico della sua opera fu proprio quello dell'uomo di fronte alla natura, che egli seppe descrivere con intensa sensibilità e che lo interessò proprio in quanto vista attraverso lo sguardo umano. Lo slancio romantico del suo temperamento, che rispecchiava un carattere inquieto, non escludeva una profonda fiducia nell'ostinata capacità di resistenza dell'essere umano contro gli elementi scatenati della natura. Scelse di ambientare i suoi film tra popoli che vivevano in condizioni particolarmente difficili e con Man of Aran (L'uomo di Aran) ottenne la Coppa Mussolini come miglior film straniero alla Mostra del cinema di Venezia del 1934.
Figlio primogenito di un ricercatore minerario di origine olandese, F. frequentò la scuola mineraria del Michigan e per diversi anni esplorò le regioni selvagge del Canada: le spedizioni si rivelarono il più delle volte infruttuose dal punto di vista commerciale, ma durante questi viaggi, a partire dal 1913, cominciò a realizzare i suoi primi film amatoriali. Girò migliaia di metri di pellicola tra la Terra di Baffin e le Isole Belcher, ma il negativo, per un banale incidente, fu divorato dalle fiamme. La copia positiva suscitò però grande interesse, soprattutto tra i membri dell'American Geografic Society e dell'Explorer Club. Cercò quindi di elaborare un proprio stile e un modo nuovo di porsi dietro la macchina da presa e, diversi anni più tardi, grazie all'interessamento della Revillon Frères, una ditta di pellicciai francesi che desiderava realizzare un film pubblicitario nelle regioni artiche, tornò a girare nella Baia di Hudson. Vi rimase per quasi due anni, lavorando giorno per giorno alle riprese e alla costruzione del film, senza basarsi su una sceneggiatura precisa, ma attingendo materiale dalla vita di Nanook e della sua famiglia. Ne nacque un quadro elegiaco della vita degli eschimesi e il film, che venne distribuito anche commercialmente, ottenne un inaspettato successo. Nanook piacque soprattutto negli ambienti intellettuali che si erano tenuti fino a quel momento lontani dal cinema, ritenendo il nuovo mezzo più una forma di intrattenimento che un fatto culturale. A fronte di questo consenso l'industria hollywoodiana credette di poter scritturare F. anche al di fuori dei canoni consueti delle sue collaborazioni e la Paramount lo invitò a realizzare un altro film 'esotico', ambientato questa volta nelle isole della Polinesia. La lavorazione di Moana (1926; L'ultimo Eden) durò a lungo: trasferitosi a Samoa con la famiglia, F. ebbe difficoltà a costruire una drammaturgia incentrata sulle abitudini dei polinesiani, in quanto le condizioni di vita particolarmente favorevoli dei mari del Sud predisponevano alla contemplazione della bellezza più che mostrare la lotta con la natura. F. ebbe l'intuizione di utilizzare per alcune scene la pellicola pancromatica al fine di esaltare, attraverso il colore e la brillantezza dei paesaggi e dei corpi, l'incanto della vita tra gli indigeni del Pacifico, ma il film, forse proprio per la mancanza di un tema drammatico centrale, non incontrò il favore del pubblico. Successivamente F. fu incaricato da Irving Thalberg della Metro Goldwyn Mayer di realizzare un altro soggetto ambientato nel Pacifico, White shadows in the South seas (1928; Ombre bianche), e questa volta gli fu affiancato W.S. Van Dyke, un regista che conosceva bene le esigenze della produzione. Nacque così un conflitto insanabile, che comportò l'abbandono del set da parte di F., nonché il ritiro della sua firma dal film. Tuttavia egli tornò nuovamente tra quegli indigeni, questa volta in coppia con il regista tedesco Friedrich Wilhelm Murnau che era emigrato negli Stati Uniti. Per poter lavorare liberi dai condizionamenti dell'industria hollywoodiana i due registi fondarono una propria società di produzione; il soggetto di partenza, Turia, prevedeva uno scontro tra la società tradizionale e la civiltà bianca e alcuni elementi avventurosi, ma fu messo da parte a favore di una storia che contenesse un elemento drammatico classico: la tradizione polinesiana del tabù. Anche la realizzazione di Tabu (1931; Tabù), ambientato a Bora Bora e realizzato senza sonoro, presentò non pochi problemi a causa delle profonde divergenze di opinione tra i due registi, entrambi dotati di personalità forti e difficilmente conciliabili. L'abbandono del set da parte di F. farebbe pensare che il suo contributo a Tabu si sia limitato alla sola sceneggiatura, ma come ha rilevato gran parte della critica la prima parte del film riflette il suo mondo poetico, più solare e fiducioso rispetto a quello del regista tedesco. Invitato dal gruppo di documentaristi che faceva capo a John Grierson e che tanto doveva al suo lavoro, F. si recò in Inghilterra e con lo stesso Grierson lavorò alla realizzazione di Industrial Britain (1931-32). I documentaristi inglesi erano più vicini alla realtà sociale di quanto non fosse F. e non mancarono le polemiche con quanti, come Paul Rotha, vedevano nella poetica del regista statunitense il pericolo di un allontanamento dalle problematiche della realtà. L'universalità della poetica di F. tornò a esprimersi pienamente nel successivo Man of Aran, girato in Irlanda in una delle inospitali isole Aran, presso una famiglia di pescatori. La lotta dell'uomo contro le avversità della natura era parte della quotidianità degli abitanti delle isole Aran: alla paura del mare, fonte principale di sostentamento ed elemento della natura soggetto per le variazioni climatiche a forti tempeste, si aggiungeva la scarsità della terra coltivabile, creata con pazienza e caparbietà dalla popolazione stessa. Per la realizzazione di questo film F. godette del pieno appoggio del produttore inglese Michael Balcon, ma le difficoltà ad accettare i compromessi con l'apparato produttivo costituirono un elemento ricorrente nella sua carriera: la regia del successivo Elephant boy (1937; La danza degli elefanti), girato in India per la London Film di Alexander Korda, fu da questi affidata al fratello Zoltan dopo circa un anno di lavorazione, poiché F. non tenne affatto conto delle indicazioni del progetto originario. Rientrato negli Stati Uniti realizzò The land (1942), un documentario commissionatogli dal Department of Agriculture: impietoso ritratto delle misere condizioni di vita dei coloni americani, fu ritirato dalla circolazione perché ritenuto troppo pessimistico. Affrontò nuovamente il tema della vita rurale nel Sud degli Stati Uniti, questa volta prestando particolare attenzione all'incalzante processo di industrializzazione, nel successivo Louisiana story (1948), commissionato dalla compagnia petrolifera Standard Oil e in parte finanziato dallo stesso regista. Il tema del conflitto tra civiltà moderna e mondo tradizionale era nuovo per F.: qui l'auspicata sintesi tra la vita contemplativa del mondo primitivo e le componenti drammatiche insite nella vita moderna trova la sua espressione simbolica e lirica nel personaggio del ragazzo che attraversa le paludi tropicali per incontrare gli uomini del petrolio e in un uso suggestivo della colonna sonora, composta da Virgil Thompson, che aggiunge alle immagini della natura un sottofondo di mistero. Nel 1950 realizzò il suo ultimo lavoro The Titan: story of Michelangelo, un documentario d'arte per il quale utilizzò il materiale girato da Curt Oertel nel 1937, ampliandolo e rimontandolo.
M. Gromo, Robert Flaherty, Parma 1952.
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