CAMINO, Rizzardo da
Quarto di questo nome, figlio di Guecellone (VIII) e di Beatrice della Prata, nacque nell'ultimo decennio del secolo XIV dal ramo "di sotto" dell'illustre famiglia di feudatari trevigiani. Quasi nulla conosciamo della sua giovinezza: egli era assai legato, a quanto sembra, al fratello Gherardo; insieme con questo nel 1327 godeva di grande prestigio in Treviso, come dimostra la presa di posizione in loro favore da parte del Comune in occasione di una cospirazione ordita contro di loro. Nel 1327 si ebbero le prime controversie con il patriarca di Aquileia e con gli Scaligeri di Verona. L'8 marzo di quell'anno, infatti, il C., secondo quanto ci informa un documento citato dal Federici (pp. 97 s.), si rivolse alle autorità municipali di Treviso per avere istruzioni circa la risposta da dare al patriarca Pagano Della Torre, il quale aveva preteso da lui la restituzione del castello di Meduna, che dal Comune era stato concesso al Caminese. Nonostante le controversie per il possesso di Mussa, Mussetta e Sant'Amelio, i rapporti del C. con Treviso furono generalmente molto buoni: nel 1328, per esempio, fu il portavoce di una delegazione trevigiana inviata a Venezia per trattare la consegna, richiesta dai Veneziani, degli avversari del doge rifugiatisi in Treviso. Gli anni successivi portarono una serie di complicazioni politiche: il C. e suo fratello si inimicarono con gli Scaligeri e si appoggiarono ancora di più a Venezia. Solo nel 1331 si arrivò a un accordo comune anche con gli Scaligeri. In questo particolare momento storico venne con ogni probabilità deciso il fidanzamento di una figlia del C., Caterina, col figlio naturale di Alberto Della Scala, signore di Verona. Un duro colpo ricevette la casata dei Camino quando, nel corso di una controversia col patriarca di Aquileia, affatto inaspettatamente morì di febbre in Serravalle, il 12 sett. 1335, Rizzardo Novello, capo del ramo dei Caminesi "di sopra". Lasciava solo tre figlie, minorenni: Beatrice, Caterina, e Rizzarda. La moglie di lui, Verde Della Scala - che assunse allora la tutela delle tre fanciulle - era sorella di due potenti principi, Alberto e Mastino Della Scala, signori di Verona. Insieme col fratello Gherardo, il C. tentò di far valere i suoi diritti ereditari sui feudi del ramo, che si era estinto con la morte di Rizzardo Novello: secondo quanto egli sosteneva, infatti, un antichissimo patto di successione sanciva il principio che le donne e i loro discendenti sarebbero stati esclusi dalla successione ai beni ereditari della famiglia. Per avere appoggi alle sue pretese, il C. cercò di allearsi ancora più strettamente con Venezia. Tuttavia, già intorno alla metà del 1336, si giunse ai primi conflitti armati che si sarebbero prolungati sino allanno 1339. In questi i due Caminesi ottennero senza dubbio cospicui successi: già nel 1337 si erano impadroniti di Serravalle. Inutilmente le eredi di Rizzardo Novello si posero sotto la protezione di Carlo e di Giovanni di Lussemburgo. In seguito la situazione si complicò ulteriormente, perché il vescovo di Ceneda, Francesco Ramponi, che non vedeva di buon occhio la crescente potenza dei Camino "di sotto", suoi feudatari, aveva escogitato un piano geniale per rompere l'accordo del C. con Venezia. Offrì ai procuratori di S. Marco (agenti ovviamente in veste di rappresentanti dello Stato veneziano) i luoghi che Rizzardo Novello aveva posseduto nella diocesi di Ceneda, e cioè Serravalle, Valmareno, Formeniga, Reginzolo, Fregona, Cavolano, Cordignano, e Solighetto, riservando, per sé e per i suoi successori, la metà delle rendite, e alcuni borghi. La cerimonia dell'investitura seguì poco dopo, nella città lagunare, il 12 ottobre del 1337. Il C. si venne a trovare in una posizione veramente delicata, e cercò con ogni mezzo di parare questo colpo così pericoloso. Perciò dal vescovo di Belluno e Feltre, Gorzia de Lusia, e in un secondo tempo, il 2 marzo 1339, dallo stesso patriarca di Aquileia si fece investire, insieme con il fratello Gherardo, di tutti i territori ereditati. Ancora nello stesso anno il C. concedeva feudi agli Spilimbergo. Pure, queste contromisure non potevano bastare a tranquillizzarlo. Nel 1340 insieme col fratello e con il patriarca di Aquileia, ordì una congiura contro il vescovo di Ceneda. I suoi avversari, tuttavia, riuscirono a scoprire ancora in tempo il complotto: furono prese misure di sicurezza, ed il vescovo si rifugiò provvisoriamente a Venezia.
Dai documenti del tempo si può desumere che, in quel momento, i due Caminesi continuavano a conservare il possesso di alcuni dei luoghi ricordati più sopra - per esempio Cordignano, Fregona, Valmareno, e Zumelle -, nonostante fossero stati infeudati a Venezia. D'altra parte, al più tardi dal 1339, troviamo a Serravalle un podestà veneziano, Niccolò Falier. Benché i due fratelli si dimostrassero assai abili nella loro condotta politica, non riuscirono tuttavia mai ad innalzarsi ad una autentica amicizia con la famiglia veronese degli Scaligeri. I loro contrasti nella Marca di Treviso erano troppo grandi. Molto singolare è anche il fatto che la maggior parte delle fonti documentarie citi sempre i due fratelli insieme; e che così facciano pure il Cortusi e gli altri cronisti dell'epoca. Ciò fa supporre una collaborazione molto stretta; tuttavia, vi fu senza dubbio tra i due anche una certa distinzione delle sfere d'interesse. Nel 1340 essi conclusero infatti un patto ereditario per il quale il C. ebbe Motta, Cessalto, Fregona, e Coste di Valmareno con le loro pertinenze, mentre a Gherardo furono assegnati Camino, Portobuffolé, e Cordignano. Nei documenti di questo periodo il C. e suo fratello sono definiti come gli "ultimi illustri discendenti" di una nobilissima famiglia.
Tre anni dopo il fallito, attentato contro il vescovo di Ceneda, ci furono i primi tentativi di riavvicinamento tra il C. e Francesco Ramponi: tali approcci furono molto incoraggiati soprattutto da Venezia. Dopo diversi colloqui e una ulteriore vana petizione delle figlie del defunto Rizzardo Novello, che fu naturalmente sostenuta con vigore da Alberto e da Mastino Della Scala, si giunse infine all'accordo; prima, però, i procuratori di S. Marco avevano dovuto dare il loro beneplacito. Il 7 ott. 1345 nella chiesa di S. Tiziano a Ceneda il vescovo Ramponi investì il C. e suo fratello Gherardo del possesso di luoghi fortificati: Cordignano, Fregona, Valmareno, Solighetto, e Zumelle. Tra i testimoni presenti alla cerimonia si trovava anche fra' Niccolò, abate del monastero cisterciense di S. Maria di Sanvalle a Follina e delegato apostolico per la questione ereditaria.
Notizie più precise sull'avvenimento troviamo nel Registrum Caminensium (Arch. Apost. Vat., Collectorie, 396), la cosiddetta "Tabula de instrumentis iurium domini Rizardi de Camino productis per eum in questione quam habet cum episcopo Cenetensi coram reverendo in Christo patre domino abbate monasterii Sanevallis de Fulina, iudice per Sedem Apostolicam delegato", e in altri atti relativi a questa causa, specialmente nella cosiddetta "Allegatio iuris per dominis Rizardo et Gerardo fratribus de Camino comitibus Cenetensibus contra episcopum Cenetensem". Non è del tutto chiaro fino a che punto il C., che pure aveva prestato grandi servizi nella difesa dell'entroterra veneto contro i Veronesi, fosse stato bene accolto nel patriziato veneziano. Risulta comunque dalle fonti che egli aveva certamente ottenuto determinati privilegi dalla Serenissima.
Il C. aveva sposato Stilichia, figlia di Guglielmo d'Onigo, un illustre cittadino di Treviso. Da lei ebbe un figlio, Tolberto (V), e una figlia, Caterina. Nel quadro della politica di conciliazione con gli Scaligeri, Caterina fu fidanzata con il figlio di Alberto Della Scala; ma dopo il 1335 questo fidanzamento, in concomitanza con il peggioramento dei rapporti con i signori di Verona, venne rotto, e nel luglio 1339 Caterina fu sposata a Bertoldo, marchese d'Este e Ferrara (Federici, pp. 99 s.). Nel corso della successiva attività politica del C. caddero le sue controversie col Comune di Treviso, a causa delle quali Venezia acconsentì a che venisse iniziato un procedimento giudiziario contro di lui e suo fratello, procedimento del cui esito non sappiamo nulla. Oscure rimangono anche l'epoca e le circostanze della morte del Caminese.
In proposito, possiamo soltanto avanzare ipotesi, per quanto possibili puntuali, per le quali ci porgeranno aiuto alcune date. Nel 1350morì il fratello del C., Gherardo; sappiamo inoltre che nel 1335suofiglioTolberto (V) partecipava all'attività politica della regione senza che si faccia cenno per essa, nelle fontidel padre. Nel 1358ilC., comunque, era sicuramente già morto, perché di lui nelle fonti contemporanee si parla come del "quondam Rizardus".
Bibl.:P. M. Federici, Notizie stor.-geneal. della famiglia de' signori da Camino, Venezia 1788, pp. 96-100; G. B. Picotti, I Caminesi e la loro sign. in Treviso..., Livorno 1905, pp. 332 s.; G. Biscaro, Ifalsi documenti del vescovo di Ceneda F. Ramponi, in Bull.dell'Ist. stor. ital. per il Medio Evo e archivio muratoriano, XLIII (1925) pp. 93-178; P. Paschini, Storia del Friuli, II, Udine 1954, p. 109; P. Litta, Le famiglie celebri italiane, sub voce.