rivo (rio)
È vocabolo proprio del linguaggio poetico (un esempio in prosa). La forma ‛ rio ' ricorre solo al singolare, prevalentemente in rima (sei volte su sette occorrenze); viceversa ‛ rivo ', al singolare o al plurale, compare due volte in rima, sei nel corso del verso e una in prosa.
Il significato fondamentale è quello di " piccolo corso d'acqua ", " ruscello ". Lo attesta la descrizione del temporale scoppiato sulla piana di Campaldino il giorno della battaglia: la pioggia dapprima a' fossati venne, poi confluì nei rivi grandi, e infine ver' lo fiume real... / si ruinò (Pg V 121); la pioggia si raccoglie nei fossi per convogliarsi poi in corsi d'acqua a regime perenne ma di portata ridotta, per sfociare infine nell'Arno, fiume reale. R. può anzi addirittura indicare qualsiasi acqua corrente, anche se il suo flusso è puramente occasionale e quindi quantitativamente modesto: durante la bella stagione cammino... mi piacque / che ora è fatto rivo, e sarà mentre / che durerà del verno il grande assalto (Rime C 57).
Ma la distinzione fra r. e ‛ fiume ' non è sempre rispettata, specie quando i due vocaboli sono riferiti a corsi d'acqua appartenenti al mondo fantastico di D.; così l'Acheronte è chiamato ora rio (If III 124), ora fiume (v. 81; Pg I 88) o gran fiume (If III 71); al Flegetonte sono attribuite le denominazioni di rio (XII 121, XIV 89), riviera (XII 47) e picciol fiumicello (XIV 77); per il Lete sono usati rio (Pg XXVIII 25, XXIX 141, XXX 66), ma anche fiumicello (XXVIII 35) e anche, più volte, fiume (vv. 62 e 70, XXIX 7 e 71, ecc.). Del resto, la stessa oscillazione nell'uso fra i due vocaboli si avrebbe a proposito dell'Arno, il fiume real di Pg V 122, se, con il Pascoli, il maggior corso d'acqua della Toscana dovesse essere identificato con il rivo chiaro molto di Vn XIX 1 (per una diversa opinione, v. il commento del Casini).
Naturalmente, nessun contributo a un'esatta definizione semantica del vocabolo è offerto negli esempi in cui r. cade in esemplificazioni o in similitudini, e cioè da Cv IV Le dolci rime 55 (ripreso in X 12), Pg XXXIII 111, Pd I 137.
Gli usi figurati sono suggeriti dall'idea che il r. deriva, sgorga da una fonte. In Pd II 96 l'esperienza è detta esser fonte ai rivi delle arti umane, perché le arti - e nel vocabolo, com'è noto, sono comprese sia le attività pratiche sia le scienze - trovano alimento per il proprio attuarsi appunto nell'esperienza (per il valore di questa affermazione, v. I. Sanesi, in Lett. dant. 1377); rivi sono chiamati (XII 103) i frati domenicani (o, secondo altri, i tre ordini - predicatori, suore domenicane, e terz'ordine laico) - che si fecero, " derivarono ", dall'attività di s. Domenico. Ma la metafora può essere anche ispirata all'impressione di fluente abbondanza di acque, fecondatrici di vita, che un r. suscita. Così, per dire che il ragionamento di Beatrice era largo e pieno perché attinto direttamente a Dio, fonte di ogni verità, D. usa l'immagine Colal fu l'ondeggiar del santo rio / ch'uscì del fonte ond'ogne ver deriva (Pd IV 115); o, con pari vivacità fantastica: Per tanti rivi s'empie d'allegrezza / la mente mia (XVI 19), quasi a dire: " tanti motivi affluiscono nella mia mente a inondarla di gioia ".