GALLICANO, RITO
. È il complesso di riti e di preghiere ufficiali che fu in uso prima di Carlomagno nell'Occidente latino, in tutti i paesi dell'Italia settentrionale e transalpini, non esclusa la Britannia maior, la Spagna, la Hibernia. Questa liturgia, nei documenti che ne restano, appare formalmente diversa da quella romana, sebbene, in progresso di tempo, subisse notevoli infiltrazioni da Roma; è, inoltre, diversa da quelle orientali, sebbene si scorga una certa somiglianza fra essa e la liturgia bizantina.
Le accennate infiltrazioni e analogie fecero pensare che il rito gallicano derivasse dalla liturgia efesina, e fosse un'irradiazione della sede di Lione, ove fu vescovo S. Ireneo, già uditore di S. Policarpo: essa risalirebbe così all'apostolo Giovanni; ma tale teoria, se fu diffusa in passato, oggi non è in alcuna considerazione. Altri, e specialmente F. Probst, ne riannodarono le origini direttamente a Roma: la liturgia gallicana rispecchierebbe una liturgia romana prima di papa Damaso; ma anche tale teoria non riscosse molte adesioni. La maggior parte degli storici della liturgia sta, oggi, con l'opinione emessa dal Duchesne: e cioè che l'uso gallicano vada ricondotto alla fine del sec. IV, e sia d'origine e derivazione milanese. Il Duchesne spiegava il colorito orientale di essa, con il fatto che a Milano, dal 355 al 374, fu vescovo il cappadoce Aussenzio; il suo successore, S. Ambrogio, avrebbe poi pensato a eliminare quel che di ariano poteva esservisi introdotto con le innovazioni di Aussenzio. Gli storici del rito ambrosiano, tuttavia, non ammettono questa parentela.
Il termine "gallicano", riferito esplicitamente alla liturgia, è esso stesso piuttosto antico: si ritrova in un codice di San Gallo, e pare anteriore al sec. X. Il rito, che prevalse nelle zone citate in principio, venne decadendo sotto Pipino il Breve e Carlomagno, per far luogo, anche nella liturgia, a quella romanizzazione progressiva che fu una delle linee maestre nella politica carolingia.
Non è qui il caso di elencare, e nemmeno accennare, le diversità della liturgia gallicana da quella romana; basti osservare che la prima è animata da uno spirito di solennità maggiore, è molto più complessa nelle formule eucologiche e nei riti, e riveste caratteri più prolissi e pomposi. Molte delle preghiere oggi accolte nel rito latino sono d'origine gallicana: a Roma stessa, infatti, finì col prevalere la riforma carolingia, nella quale non tutti gli elementi gallicani erano scomparsi. E nemmeno si può dare un'idea di quante costumanze sociali fossero connesse con quella liturgia: edifizio e decorazione delle chiese, vita interiore dei cristiani, abitudini e tradizioni delle varie comunità, ecc. La liturgia gallicana è, per questo verso, anch'essa una testimonianza preziosa di quel che era, in quei secoli, la vita delle chiese transalpine. Numerosi sono i monumenti e i documenti rimasti di tale vita liturgica: accenni di scrittori locali, e, soprattutto, raccolte liturgiche coeve.
Bibl.: L. Duchesne, Origines du culte chrétien, 5ª ed., Parigi 1925, pp. 89 segg., 200 segg.; H. Leclercq, Gallicana (Liturgie), in Dictionnaire d'archéologie chrétienne et de liturgie, VI, i, pp. 473-593.