Riti sommari. Rito speciale per le controversie in tema di licenziamenti
Il contributo analizza le disposizioni contenute nei co. 47-69 dell’art. 1 l. 28.6.2012, n. 92, che prevedono una regolamentazione speciale delle controversie aventi ad oggetto l’impugnativa dei licenziamenti.
L’introduzione di un rito speciale per le controversie in tema di licenziamenti1 è contenuta nei co. 47-69 dell’art. 1 l. 28.6.2012, n. 92 (Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita), i quali riproducono essenzialmente la sezione III del capo III, recante la disciplina in tema di flessibilità in uscita e tutele del lavoratore del disegno di legge AS-3249 approvato dal Senato e inizialmente formulato secondo l’ordinaria tecnica normativa in distinti articoli (da 16 a 21) con le rispettive rubriche.
L’originaria sezione III – il cui art. 17 recava la rubrica Tutela urgente – seguiva le sezioni I e II che recavano norme rispettivamente in materia di licenziamenti individuali e collettivi, attualmente contenute nei co. 37-43 e 44-46 del medesimo art. 1 cit. L’intervento riformatore ha così una duplice direttrice: le modifiche sostanziali della regolamentazione dei licenziamenti individuali e collettivi2 e l’introduzione di norme processuali nello stesso ambito.
1.1 Il criterio bifasico del giudizio di primo grado
Il carattere peculiare di questo nuovo rito sta nel frazionamento del giudizio di primo grado in due fasi: una fase a cognizione semplificata e l’altra di impugnazione (a cognizione piena nello stesso grado).
La prima fase – che ricorda il rito sommario di cognizione (art. 702 bis c.p.c.) e quello per le controversie in materia di discriminazione (art. 28 d.lgs. 1.9.2011, n. 150) – è caratterizzata soprattutto dalla mancanza di formalità: non c’è – rispetto al rito ordinario (quello delle controversie di lavoro) – il rigido meccanismo delle decadenze e delle preclusioni di cui agli artt. 414 e 416 c.p.c. La seconda fase è introdotta con un atto di opposizione secondo un modulo processuale analogo a quello disegnato dall’art. 28 l. 20.5.1970, n. 300 (per la repressione della condotta antisindacale) che parimenti prevede una duplice fase: la prima, che termina con un decreto, motivato ed immediatamente esecutivo; la seconda che è introdotta con opposizione al decreto innanzi al giudice di primo grado che decide con sentenza. Però la procedura ex art. 28 cit. si affianca alla possibilità di un giudizio ordinario avente ad oggetto l’accertamento della violazione di diritti sindacali del sindacato; invece il modulo bifasico del giudizio di primo grado che abbia ad oggetto l’impugnativa del licenziamento è la forma ordinaria di tutela giurisdizionale per il lavoratore licenziato.
1.2 Ambito di applicazione
Esordisce il co. 47 dell’art. 1 che le disposizioni dei successivi co.da 48 a 68 – ossia il nuovo rito – si applicano alle controversie (instaurate successivamente alla data di entrata in vigore della l. n. 92/2012: co. 67 del medesimo art. 1) aventi ad oggetto l’impugnativa dei licenziamenti nelle ipotesi regolate dall’art. 18 l. n. 300/1970 «anche quando devono essere risolte questioni relative alla qualificazione del rapporto di lavoro». Quindi il nuovo rito speciale riguarda le controversie che abbiano come causa petendi l’illegittimità del licenziamento individuale – anche se discriminatorio3 – o collettivo4 e come petitum una delle tutele previste dall’art. 18 novellato: la domanda di reintegrazione nel posto di lavoro ovvero l’attribuzione dell’indennità sostitutiva della stessa, parimenti prevista dall’art. 18 cit.5, ovvero ancora l’attribuzione dell’indennità risarcitoria o compensativa. Il co. 47 fa riferimento all’impugnativa del licenziamento, talché legittimato a ricorrere è il lavoratore che impugna il licenziamento e non già il datore di lavoro che in ipotesi intenda agire in giudizio per ottenere il riconoscimento della legittimità del licenziamento.
La puntualizzazione secondo cui il rito speciale opera anche se la domanda implichi l’accertamento (incidentale o diretto) della qualificazione del rapporto, ove la sua natura di lavoro subordinato sia in ipotesi contestata talché controverso sia il presupposto del denunciato illegittimo licenziamento, comporta – per argomento a contrario – che non opera l’art. 33 c.p.c.: con il rito speciale non possono essere trattate controversie diverse da quelle che riguardano le tutele ex art. 18 cit., ancorché connesse per l’oggetto o per il titolo. Ciò è peraltro specificato nel successivo co. 48 che prevede che con il ricorso non possono essere proposte domande diverse da quelle di cui al co. 47, salvo che non siano fondate sugli identici fatti costitutivi, ossia sull’allegata illegittimità del licenziamento (come quella di regolarizzazione contributiva).
Il rito in esame – che peraltro non reca più la rubrica Tutela urgente – è speciale rispetto a quello ordinario delle controversie di lavoro, ma non anche alla tutela cautelare e d’urgenza (art. 700 c.p.c.) la cui applicabilità, ricorrendone i presupposti, rimane invariata6.
Possono ora passarsi in rassegna le questioni più rilevanti che pone la nuova normativa, tenendo distinte la fase a cognizione semplificata e quella dell’eventuale opposizione, nonché il regime delle impugnazioni.
2.1 La fase a cognizione semplificata: l’introduzione del giudizio
La domanda avente ad oggetto l’impugnativa del licenziamento con richiesta di reintegrazione nel posto di lavoro ex art. 18 l. n. 300/1970 (o di indennità sostitutiva) si propone al tribunale in funzione di giudice del lavoro, competente per territorio secondo gli ordinari canoni di cui all’art. 413 c.p.c., con ricorso il cui deposito assicura il rispetto del termine previsto dall’art. 6, co. 2, l. n. 604/1966 a pena di inefficacia dell’impugnativa extragiudiziale del licenziamento stesso7. Il richiamo del solo art. 125 c.p.c. e non anche dell’art. 414 c.p.c., al quale invece fa riferimento il successivo co. 51 per definire il contenuto dell’opposizione, comporta che non necessariamente il ricorso deve contenere l’indicazione specifica dei mezzi di prova di cui il ricorrente intende avvalersi e dei documenti offerti in comunicazione. Il co. 48 si limita a richiedere che, qualora dalle parti siano prodotti documenti, questi devono essere depositati presso la cancelleria in duplice copia.
L’oggetto del ricorso è – e non può essere altro che – l’impugnativa di un licenziamento assoggettato alla tutela dell’art. 18 cit.; quindi questo rito speciale in esame non trova applicazione alle controversie aventi ad oggetto licenziamenti assoggettati al regime della c.d. tutela obbligatoria di cui all’art. 8 l. n. 604/1966 ovvero della libera recedibilità (come nel caso dei dirigenti d’azienda al di fuori dell’ipotesi del licenziamento discriminatorio). Le domande che possono essere proposte sono quelle che fanno riferimento, come presupposto, all’art. 18 (reintegrazione nel posto di lavoro, risarcimento del danno, indennità sostitutiva, indennità compensativa). È però previsto (dal co. 42 del cit. art. 1) che qualora, nel corso del giudizio, sulla base della domanda formulata dal lavoratore, il licenziamento intimato per giustificato motivo oggettivo, ed impugnato come tale, risulti determinato da ragioni discriminatorie o disciplinari, trovano applicazione le relative tutele previste dal medesimo articolo. Risulta così contemplata un’eccezionale possibilità di mutamento della domanda, che comunque richiede l’autorizzazione del giudice ex art. 420, co. 1, c.p.c.
2.2 La fissazione dell’udienza
A seguito della presentazione del ricorso, mediante deposito in cancelleria, il giudice fissa con decreto l’udienza di comparizione delle parti in un termine più breve di quello ordinario: non oltre quaranta giorni dal deposito del ricorso, invece che non oltre il termine di sessanta giorni di cui all’art. 415 c.p.c. Inoltre, il giudice assegna un termine per la notifica del ricorso e del decreto non inferiore a venticinque giorni prima dell’udienza; termine dilatorio a tutela dell’intimato, il cui eventuale mancato rispetto, ove non sanato dalla costituzione (senza eccezione) dell’intimato, comporta la rinnovazione delle notifica.
A differenza dell’art. 415 c.p.c. e dell’art. 163 bis c.p.c., non è prevista alcuna estensione di tale termine nel caso di notifica da eseguirsi all’estero; ciò che pone un problema di costituzionalità in riferimento all’art. 3 Cost.8
La notificazione del ricorso introduttivo del giudizio e del decreto del giudice adito è prevista a cura del ricorrente, anche a mezzo di posta elettronica certificata.
2.3 La costituzione del convenuto
Il giudice, nel decreto suddetto, assegna un termine, non inferiore a cinque giorni prima dell’udienza, per la costituzione dell’intimato, che per il resto non è disciplinata specificamente. Deve quindi adattarsi il contenuto dell’art. 416 c.p.c. alla snellezza della fase a cognizione semplificata.
Può pertanto ritenersi che la costituzione dell’intimato si effettui mediante deposito in cancelleria di una memoria difensiva, in cui quest’ultimo prende posizione circa i fatti affermati dal ricorrente a fondamento della domanda e propone le sue difese in fatto e in diritto.
La cognizione semplificata di questa prima fase induce a ritenere che non operi invece la prescrizione secondo cui il convenuto deve altresì proporre, a pena di decadenza, le eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d’ufficio. Né il convenuto è tenuto ad indicare specificatamente, a pena di decadenza, i mezzi di prova dei quali intende avvalersi ed in particolare i documenti che deve contestualmente depositare.
Dalla circostanza che la domanda riconvenzionale e la chiamata del terzo siano previste solo nella fase dell’opposizione si deduce, con argomento a contrario, che il convenuto, non possa proporle nella fase a cognizione semplificata.
2.4 L’udienza di discussione
Il giudice, sentite le parti e omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio, procede nel modo che ritiene più opportuno agli atti di istruzione indispensabili richiesti dalle parti o disposti d’ufficio, ai sensi dell’art. 421 c.p.c. Il riferimento al mero canone dell’opportunità amplia i poteri istruttori d’ufficio del giudice, fermo restando però – in ragione del carattere dispositivo del processo – che il thema decidendum è quello risultante dal ricorso.
In applicazione dell’art. 421 c.p.c. il giudice, ove lo ritenga necessario, può ordinare la comparizione delle parti, per interrogarle liberamente sui fatti della causa.
All’esito dell’istruttoria – che può qualificarsi semplificata, così come nella fattispecie dell’art. 28 l. n. 300/1970, perché limitata agli atti di istruzione «indispensabili» – il giudice provvede, con ordinanza immediatamente esecutiva, all’accoglimento o al rigetto della domanda (la forma dell’ordinanza è tipica del procedimento sommario di cognizione: art. 702 ter c.p.c.). Ma altri esiti sono possibili: il giudice adito può dichiarare il suo difetto di giurisdizione o di competenza con ordinanza (rispettivamente reclamabile con l’opposizione o ricorribile con istanza di regolamento di competenza). Se invece è solo una questione di rito, ove in ipotesi la domanda non abbia ad oggetto l’impugnativa del licenziamento di cui al co. 47, ma si tratti di un’ordinaria controversia di lavoro avente un diverso oggetto, sembra doversi fare applicazione dell’art. 427 c.p.c. adattandolo alla fattispecie: il giudice adito disporrà il passaggio dal rito speciale ex art. 1, co. 47 ss., cit. al rito per le controversie di lavoro. Parimenti potrà farsi applicazione dell’art. 428 c.p.c. nell’ipotesi simmetrica del ricorso proposto nelle forme ordinarie del rito del lavoro invece che con ricorso ai sensi dell’art. 1, co. 48, cit. Non sembra invece che il giudice possa, con ordinanza, dichiarare inammissibile il ricorso perché proposto con il rito speciale ex art. 1, co. 47 ss., fuori dalle ipotesi per cui è previsto (così come invece dispone, nel procedimento sommario di cognizione, l’art. 702 ter, co. 2, c.p.c.).
Il successivo co. 50 – con una disposizione di favore per il lavoratore licenziato la cui domanda sia stata accolta nella fase a cognizione semplificata – prevede che l’efficacia esecutiva del provvedimento di cui al co. 49 non possa essere sospesa o revocata fino alla pronuncia della sentenza con cui il giudice definisce il giudizio instaurato ai sensi dei co. da 51 a 57 (al pari dell’art. 28 l. n. 300/1970, che prevede che l’efficacia esecutiva del decreto con cui sia stato accolto un ricorso per la repressione di condotta antisindacale non è suscettibile di sospensione nelle more del giudizio di opposizione)9.
2.5 La fase dell’opposizione
Contro l’ordinanza di accoglimento o di rigetto di cui al co. 49 può essere proposta opposizione con ricorso, da depositare innanzi al tribunale che ha emesso il provvedimento opposto, a pena di decadenza, entro trenta giorni dalla notificazione dello stesso, o dalla comunicazione se anteriore10. La previsione di un termine a pena di decadenza – e quindi perentorio, come i termini per le impugnazioni (art. 326 c.p.c.) – non consente comunque di ravvisare nell’opposizione una vera e propria impugnazione perché si è sempre nell’ambito del giudizio di primo grado, così come nel caso di opposizione al decreto emesso ai sensi dell’art. 28 l. n. 300/1970, che parimenti prevede un’opposizione per introdurre la seconda fase del giudizio di primo grado11.
L’opposizione, in quanto espressamente prevista dal co. 51 come «contenente i requisiti di cui all’art. 414 c.p.c.», ha il contenuto tipico del ricorso introduttivo di una controversia di lavoro in primo grado. In particolare, deve contenere la determinazione dell’oggetto della domanda; l’esposizione dei fatti e degli elementi di diritto sui quali si fonda la domanda con le relative conclusioni; l’indicazione specifica dei mezzi di prova di cui il ricorrente intende avvalersi e in particolare dei documenti offerti in comunicazione.
In generale può dirsi che lo specifico richiamo dell’art. 414 c.p.c. quanto ai requisiti del ricorso, unitamente a quello dell’art. 416 c.p.c. quanto alla memoria di costituzione e dell’art. 421 c.p.c. quanto ai poteri d’ufficio del giudice, implica che l’opposizione è modellata sulla disciplina dell’ordinario ricorso in primo grado (artt. 413-432 c.p.c.), sicché è a quest’ultima che può farsi riferimento per integrare quella speciale prevista dai co. 51-57. Inoltre il riferimento all’«udienza», contenuto nel co. 57, induce ad escludere che si tratti di rito camerale.
L’opposizione può essere proposta da chi ha interesse e quindi dalla parte soccombente; la quale, ove la fase a cognizione semplificata si sia conclusa con l’accoglimento dell’originario ricorso, è in realtà il datore di lavoro convenuto dall’iniziativa giudiziaria del lavoratore licenziato, mentre quest’ultimo è la parte attrice, ancorché sia l’opposto rispetto all’opposizione. Nel caso di soccombenza parziale, entrambe le parti possono proporre opposizione. Non trattandosi di un giudizio di impugnazione, perché si è sempre nel giudizio di primo grado, non trova applicazione la disciplina dell’impugnazione tardiva (art. 334 c.p.c.).
Con il ricorso in opposizione non possono essere proposte domande diverse da quelle di cui al co. 47 cit., salvo che siano fondate sugli identici fatti costitutivi o siano svolte nei confronti di soggetti rispetto ai quali la causa è comune o dai quali si intende essere garantiti. Il carattere generale della prescrizione induce a ritenere che essa si applichi anche nel caso in cui opponente sia l’originario ricorrente talché, in questa evenienza, risulta una limitata facoltà di mutatio libelli con ampliamento dell’originario thema decidendum costituito dall’impugnativa del licenziamento; la quale però già poteva inizialmente essere proposta unitamente a domande «fondate sugli identici fatti costitutivi». Invece l’ampliamento alle domande (essenzialmente del datore di lavoro opponente) svolte nei confronti di soggetti rispetto ai quali la causa è comune o dai quali si intende essere garantiti è previsto solo nella fase dell’opposizione.
Il giudice fissa con decreto l’udienza di discussione non oltre i successivi sessanta giorni, così come prescrive in generale l’art. 415, co. 3, c.p.c.; termine questo che è sì acceleratorio, ma di natura ordinatoria, il cui rispetto è in concreto condizionato dal carico del ruolo del giudice. Però il successivo co. 65 prevede una corsia preferenziale, prescrivendo che alla trattazione delle controversie regolate dai co. 47-64 devono essere riservati particolari giorni nel calendario delle udienze, con onere per i capi degli uffici giudiziari di vigilare sull’osservanza di tale disposizione; ciò dovrebbe favorire il rispetto del termine suddetto la cui natura rimane comunque meramente ordinatoria.
L’opponente deve notificare, anche a mezzo di posta elettronica certificata, il ricorso, unitamente al decreto di fissazione dell’udienza, all’opposto almeno trenta giorni prima della data fissata per la sua costituzione. Benché non sia previsto espressamente, un’interpretazione costituzionalmente orientata12 del co. 48 dell’art. 1 cit. induce a ritenere necessaria la comunicazione ad opera del cancelliere del deposito del decreto al ricorrente ex art. 136 c.p.c., perché decorra il termine assegnatogli per la notifica del decreto e del ricorso.
L’opposto, al quale è assegnato termine per costituirsi fino a dieci giorni prima dell’udienza, può farlo mediante deposito in cancelleria di memoria difensiva a norma e con le decadenze di cui all’art. 416 c.p.c.
Nella memoria di costituzione il convenuto può proporre domanda riconvenzionale solo se fondata su fatti costitutivi identici a quelli posti a base della domanda principale; altrimenti – prevede il co. 56 – il giudice ne dispone la separazione. In realtà, di una vera e propria domanda riconvenzionale si può parlare solo se opponente sia l’originario ricorrente nella fase a cognizione semplificata, risultato soccombente. Ma se l’opponente è l’originario convenuto, la predetta riconvenzionale costituirà null’altro che domanda connessa, perché fondata sullo stesso titolo, all’atto di opposizione.
L’opposto può anche chiedere di chiamare un terzo in causa; in tal caso deve, a pena di decadenza, farne dichiarazione nella memoria difensiva.
In sostanza nella fase a cognizione piena il thema decidendum è suscettibile di ampliamento per iniziativa, sia dell’opponente che dell’opposto, sulla base dello stesso presupposto: il petitum deve comunque essere fondato sullo stesso fatto costitutivo dell’originaria impugnativa del licenziamento.
Nel caso di chiamata in causa a norma degli artt. 102, co. 2, 106 e 107 c.p.c., il giudice fissa una nuova udienza entro i successivi sessanta giorni, e dispone che siano notificati al terzo, ad opera delle parti, il provvedimento nonché il ricorso introduttivo e l’atto di costituzione dell’opposto, osservati i termini di cui al co. 52.
Il terzo chiamato deve costituirsi non meno di dieci giorni prima dell’udienza fissata, depositando la propria memoria a norma del co. 53.
Ancorché nella seconda parte il giudizio sia ricondotto alla cognizione piena, l’udienza di discussione è comunque disciplinata in termini parzialmente diversi da quelli di cui agli artt. 420 e 421 c.p.c. Infatti all’udienza, il giudice, sentite le parti, omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio, procede nel modo che ritiene più opportuno agli atti di istruzione ammissibili e rilevanti richiesti dalle parti nonché disposti d’ufficio, ai sensi dall’art. 421 c.p.c. Il potere direttivo del giudice risulta così ampliato perché da una parte egli può disporre le prove ai sensi dell’art. 421 c.p.c. D’altra parte può ammettere o non ammettere le prove richieste dalle parti sulla base di un canone di mera opportunità, che implica un’ampia discrezionalità del giudice. Il quale è anche facoltizzato ad omettere ogni formalità non essenziale al contraddittorio. La finalità del legislatore è quella di fare in modo che intervenga rapidamente la sentenza che decide sull’opposizione.
Il medesimo co. 57 prevede poi che il giudice provvede con sentenza all’accoglimento o al rigetto della domanda, dando, ove opportuno, termine alle parti per il deposito di note difensive fino a dieci giorni prima dell’udienza di discussione. Trattandosi pur sempre di rito del lavoro, deve ritenersi che il giudice dia lettura del dispositivo della sua decisione.
I termini per il deposito in cancelleria della sentenza, completa di motivazione, sono ridotti a dieci giorni dall’udienza di discussione.
La sentenza è provvisoriamente esecutiva e costituisce titolo per l’iscrizione di ipoteca giudiziale.
2.6 Il reclamo
Contro la sentenza che decide sul ricorso è previsto il reclamo davanti alla corte d’appello. Il reclamo è in realtà il tipico atto di impugnazione di ordinanze, mentre l’impugnazione ordinaria della sentenza, se non pronunciata in un unico grado, è l’appello. Non di meno l’ordinamento processuale conosce eccezionali ipotesi di reclamo di sentenze, quale quello avverso la sentenza dichiarativa di fallimento. Non è quindi possibile l’ordinario appello avverso la sentenza di primo grado (art. 434 ss. c.p.c.), ma è esperibile solo il reclamo, regolamentato dalla disciplina speciale posta dai co. 58-61.
Benché la forma del reclamo in luogo dell’appello si coniughi di norma con l’effetto devolutivo pieno dell’impugnazione13, invece nella fattispecie in esame deve escludersi che l’impugnazione abbia effetto devolutivo automatico, essendo la cognizione della corte di appello delimitata dalle censure sollevate dal ricorrente. Il reclamo si propone con ricorso da depositare, a pena di decadenza, entro trenta giorni dalla comunicazione, o dalla notificazione se anteriore; non opera quindi il c.d. termine lungo di cui all’art. 327 c.p.c., essendo la comunicazione della sentenza un obbligo di legge (art. 133, co. 2, c.p.c.). In luogo della preclusione dell’art. 345 c.p.c., il co. 59 prevede che non sono ammessi nuovi mezzi di prova o documenti, salvo che il collegio, anche d’ufficio, li ritenga indispensabili ai fini della decisione ovvero la parte dimostri di non aver potuto proporli in primo grado per causa ad essa non imputabile.
Il successivo co. 60 prevede misure acceleratorie prescrivendo che la corte d’appello fissi con decreto l’udienza di discussione nei successivi sessanta giorni e che si applicano i termini previsti dai co. 51, 52 e 53. Alla prima udienza, la corte può sospendere l’efficacia della sentenza reclamata se ricorrono «gravi motivi» senza distinguere – come invece fa l’art. 431, co. 3 e 6, c.p.c. – secondo che si tratti di pronuncia a favore del lavoratore o del datore di lavoro. Al pari del giudice di primo grado uno speciale potere istruttorio d’ufficio è assegnato anche alla corte d’appello, la quale, sentite le parti, omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio, procede nel modo che ritiene più opportuno agli atti di istruzione ammessi e provvede con sentenza all’accoglimento o al rigetto della domanda, dando termine («ove opportuno») alle parti per il deposito di note difensive fino a dieci giorni prima dell’udienza di discussione. La sentenza, completa di motivazione, deve essere depositata in cancelleria entro dieci giorni dall’udienza di discussione.
Per il resto opera l’ordinaria disciplina dell’appello nelle controversie di lavoro (art. 433 ss. c.p.c.).
2.7 Il ricorso per cassazione
Il ricorso per cassazione contro la sentenza deve essere proposto, a pena di decadenza, entro sessanta giorni dalla comunicazione della stessa, o dalla notificazione se anteriore. Al pari dell’art. 373 c.p.c., è previsto che la sospensione dell’efficacia della sentenza debba essere chiesta alla corte d’appello, che provvede a norma del co. 60. Una misura acceleratoria, in sintonia con analoghe prescrizioni previste per i gradi di merito, sta nella prescrizione che richiede alla Corte di fissare l’udienza di discussione non oltre sei mesi dalla proposizione del ricorso. I motivi di ricorso sono quelli previsti dall’art. 360 c.p.c., nel testo ora novellato dall’art. 54, co. 1, lett. b), d.l. 22.6.2012, n. 83, conv. in l. 7.8.2012, n.134.
Il profilo problematico di maggior rilievo riguarda in radice la giustificatezza di un rito che, nell’ambito delle controversie di lavoro, si presenta come doppiamente speciale: riguarda, sotto l’aspetto oggettivo, solo le controversie che hanno come petitum una delle tutele previste dall’art. 18 l. n. 300/1970 novellato e che, sotto l’aspetto soggettivo, vedono come ricorrente solo chi (il lavoratore licenziato) contesta la legittimità del licenziamento.
Mette conto ricordare che, con riferimento a sistemi derogatori della disciplina processuale finalizzati ad accelerare la definizione delle controversie, la Corte costituzionale ha affermato che la diversità e peculiarità della materia possono sì giustificare la deroga al regime ordinario del processo, ma «purché non sia pregiudicato lo scopo e la funzione del processo e non sia compromessa l’effettività della tutela giurisdizionale»14.
Questa speciale tutela di nuovo conio – che costituisce, in questa materia, il modulo processuale del giudizio ordinario – appare essere finalizzata all’accelerazione non solo dei tempi del processo, ma anche (e soprattutto) del ricorso al giudice. Il legislatore ha voluto che la questione della reintegrazione – e più in generale dell’impugnativa del licenziamento – sia subito portata innanzi al giudice e decisa in tempi rapidi. Ciò è in linea con i parametri costituzionali della tutela giurisdizionale (art. 24 Cost.) e della ragionevole durata del processo (art. 111, co. 2, Cost.)15. Mentre qualche perplessità desta da una parte la concreta idoneità della nuova normativa a realizzare tale scopo in ragione dell’eccessiva macchinosità del sistema complessivo: la legittimità, o no, del licenziamento può essere oggetto di cognizione sommaria (ricorso d’urgenza ex art. 700 c.p.c. con possibilità di reclamo), di cognizione semplificata (ricorso ex art. 1, co. 48, l. n. 92/2012) e di cognizione piena (opposizione ex art. 1, co. 51, l. n. 92/2012 seguita da eventuale reclamo). D’altra parte, il breve termine di decadenza per promuovere il giudizio scherma in sostanza ogni termine di prescrizione anche in caso di licenziamento nullo o annullabile, così derogando alla regola ordinaria dell’imprescrittibilità dell’azione di nullità e della prescrizione nel termine di cinque anni dell’azione di annullamento16.
1 Per un primo commento v. Vallebona, A., La riforma del lavoro 2012, Torino, 72 ss.; Bollani, A., Il rito speciale in materia di licenziamento, in Magnani, M-Tiraboschi, M., La nuova riforma del lavoro, Milano, 2012, 309 ss..
2 V., in questo Volume, Del Punta, R., Licenziamenti individuali, e Pandolfo, A., Licenziamenti collettivi, entrambi sub Diritto del lavoro.
3 La specialità della disposizione in esame induce a ritenere non applicabile al licenziamento discriminatorio il rito speciale per le controversie in materia di discriminazione di cui all’art. 28 d.lgs. 1.9.2011, n. 150.
4 Il co. 46 del medesimo art. 1 considera applicabile l’art. 18 l. n. 300/1970 anche ai licenziamenti collettivi.
5 La giurisprudenza (Cass., 10.11.2008, n. 26920, in Riv. it. dir. lav., 2009, II, 626) ritiene che il lavoratore possa limitarsi inizialmente a chiedere in giudizio tale indennità in sostituzione della domanda di reintegrazione.
6 La tutela cautelare – ritenuta applicabile anche all’impugnativa dei licenziamenti individuali e collettivi (Cass., 27.8.2003, n. 12557) – è componente essenziale della tutela giurisdizionale (C. cost., 23.7.2010, n. 281).
7 Il termine, già di 270 gg., è ora di 180 gg. ex art. 1, co. 38, l. n. 92/2012.
8 Cfr. C. cost., 3.3.1994, n. 69, in Foro it., 1995, I, 2336, che ha sottolineato il profilo discriminatorio derivante dall’identità del termine per una notificazione da eseguirsi all’estero.
9 La ratio di tutela rinforzata del lavoratore licenziato ne giustifica il carattere derogatorio rispetto, ad es., all’art. 669 terdecies c.p.c. che invece prevede il potere di sospensione dell’esecuzione dell’ordinanza cautelare nel caso di reclamo; cfr. in proposito C. cost., 13.7.1995, n. 318, in Foro it., 1995, I, 3092, secondo cui «l’esclusione del potere di sospensione cautelare, nell’ambito del sistema della tutela giurisdizionale, per considerarsi legittima, deve pur sempre risultare ispirata a motivi di ragionevolezza».
10 Cass., 16.7.2004, n. 13289, ha precisato che ai sensi dell’art. 133, co. 1, c.p.c. la comunicazione è eseguita dal cancelliere mediante biglietto contenente il solo dispositivo, potendo la parte prendere conoscenza del provvedimento depositato in cancelleria.
11 Non di meno trova applicazione per il giudice della prima fase l’obbligo di astensione di cui all’art. 51, co. 1, n. 4, c.p.c. (C. cost., 15.10.1999, n. 387, in Foro it., 1999, I, 3441).
12 Cfr. C. cost., 3.6.1998, n. 197, nonché C. cost., 14.1.1977, n. 15; C. cost., 7.5.1996, n. 144.
13 Così il reclamo di cui all’art. 18 l. fall.: Cass., 5.11.2010, n. 22546.
14 C. cost., 10.11.1999, n. 42.
15 Nel bilanciamento dei valori rileva l’esigenza di «evitare che la durata del processo ordinario si risolva in un pregiudizio per la parte che intende far valere le proprie ragioni» (C. cost., 28.1.2010, n. 26).
16 Cfr. Cass., 2.11.2010, n. 22274, che ha affermato che l’azione diretta ad invalidare il licenziamento perché privo di giusta causa o giustificato motivo è di annullamento.