ritenere [ind. pres. i singol. ritegno, III singol. anche ritene; cong. pres. III singol. anche ritegna]
Spesso in stretto rapporto con la base etimologica retineo, di cui ricalca in massima parte i significati.
In senso proprio, " trattenere ", " fermare ", " arrestare " una persona o una cosa, " essere di ostacolo ", " frenare ", " impedire " e simili: Pg V 123 [l'acqua dell'Archiano] ver' lo fiume real tanto veloce / si ruinò, che nulla la ritenne; If XXVI 123 a pena poscia li avrei ritenuti (dice Ulisse dei suoi compagni). In Pg X 93 Traiano confessa di sentirsi in dovere di vendicare la vedova: giustizia vuole e pietà mi ritene (" induce a fermarmi ", Chimenz). L'uso del verbo nella battuta conclusiva del sintetico dialogo intensifica " il valore e il significato morale dell'episodio " (Mattalia). Il Sapegno mette in evidenza il contrasto fra la giustizia che s'impone all'imperatore in quanto suprema autorità, e la pietà che " lo trattiene, lo commuove in quanto uomo ".
Di solito accompagnato da qualche specificazione nel senso di " tenere legato ", " tenere relegato ", " escludere " da qualcosa (e l'oggetto è sempre una persona); per es. il nodo / che 'l Notaro e Guittone e me [Bonagiunta] ritenne / di qua dal dolce stil novo (Pg XXIV 56) è " la cagione che ritenne me e gli altri dicitori che non venimmo al tuo dolce stilo " (Buti) e " non lasciò più correre innanzi su per questa corda della fama " (Anonimo); così sanza battesmo perfetto di Cristo l'innocenza dei bambini morti prematuramente là giù si ritenne (Pd XXXII 84), " fu ritenuta laggiù nel Limbo " (Vellutello), " nel Limbo fu rinchiusa " (Venturi); e qui r. (passivo, non intransitivo pronominale) equivale al rilegare di Pg XXI 18.
In Pd III 7 si nota il passaggio dal senso di " tener legato " a quello di " avvincere " (metaforicamente): visïone apparve che ritenne / a sé me tanto stretto, per vedersi, " attirò e vincolò... strettamente la mia attenzione " (Mattalia).
R. vale " trattenere " nel senso di " tenere in sé ", " conservare ", " mantenere ", in Cv II XIV 7 lo cielo in quella parte è più spesso, e però ritiene e ripresenta quello lume (" assorbe e riflette la luce "); Pd X 69 l'aere è pregno, / sì che ritenga il fil che fa la zona, cioè assorba " il filo dei raggi lunari, che, così trattenuti, formano una cintura (zona) intorno alla luna " (Chimenz; cfr. Pd XXVIII 23-24).
Analogamente in Cv III II 5 (con ciò sia cosa che ciascuno effetto ritegna de la natura de la sua cagione...; cfr. IV XXIII 5) e IV XV 8 la recente terra... li semi del cognato cielo ritenea, traduzione da Ovidio Met. I 80-81 " recens tellus... / cognati retinebat semina coeli ".
Dal senso di " mantenere " si passa a quello di " conservare ", in If XVIII 85 Guarda quel grande che vene [Giasone] / ... quanto aspetto reale ancor ritene! (" erroneo... in sé ritene; Giasone non ‛ conserva in sé stesso ' l'aspetto regale, ma lo ‛ dà ancora a mostrare a chi lo contempli ' ", Petrocchi, ad locum). Si passa poi a " trattenere " nel senso di " frenare ", " contenere ", " reprimere " (moti dell'animo). Si veda Cv IV XXV 9 [il pudore] quante laide parole ritiene, e Pg XVIII 72 di ritenerlo [l'amore] è in voi la podestate; in quest'ultimo passo il valore del verbo è controverso: secondo alcuni vale, appunto, " moderare ", " frenare " la passione che nasce in ogni uomo di necessitate (v. 70) " ne declinet ad malum " (Benvenuto; cfr. Porena, Mattalia); secondo altri vale " accettare ", " accogliere " e sarebbe perciò da sottintendere: " oppure rifiutare "; insomma l'uomo ha il libero arbitrio e questo amore è padrone di " ritenerlo e lasciarlo andare " (Vellutello), " di accoglierlo o di respingerlo " (Sapegno). Si deve tuttavia notare che r. nel senso di " accettare ", " accogliere " è testimoniato solo in Rime XCI 87, accostato però al verbo ‛ invitare ': Se cavalier t'invita o ti ritene (riferito alla canzone).
Un traslato usato da D. piuttosto spesso è quello per cui r. vale " tenere a mente ", " imprimere nella memoria ", " fissare nel ricordo " un fatto, delle parole, un'immagine: Vn XXI 8 la memoria non puote ritenere lui [il riso di Beatrice] né sua operazione; Pd XIII 2 ritegna l'image / ... come ferma rupe (" fissamente s'immagini, talché l'immagine non gli svanisca, come... bolla d'acqua; ma ferma stia e salda, come soda rupe ", Venturi). L'atto del r. è susseguente a quello di ‛ intendere ' (questo intesi, e ritener mi piacque, Pg XVIII 129) e indispensabile alla vera conoscenza, ché non fa scïenza, / sanza lo ritenere, avere inteso (Pd V 42): " niente vale lo imparare se non si tiene a mente " (Buti); le fonti di questa massima comprendono Cicerone, Virgilio, Seneca, Cassiodoro, ma in Albertano (I 50) abbiamo proprio lo stesso uso dei verbi danteschi.
Infine r. è usato come intransitivo pronominale in tre luoghi della Commedia. In Pd VI 5 l'aquila imperiale si ritenne (" si trattenne "; " moram fecit ", Benvenuto) ne lo stremo d'Europa (a Bisanzio) per più di duecento anni. In Pd XXI 43 l'anima di s. Pier Damiano presso più ci si ritenne; qui l'azione del fermarsi è vista insieme a un avvicinamento dello spirito beato a D. e Beatrice: " ci si accostò e restò presso di noi " più di tutti gli altri spiriti. In If XXV 127 il verbo è riferito non più a un essere animato ma a quel soverchio di pelle che, nella trasformazione del muso di serpente in volto umano, non si sposta indietro a formare le orecchie, ma si ritenne, " restò nel mezzo, sulle gote " (Chimenz), e fé naso a la faccia. Nel Fiore si riscontrano alcuni degli usi considerati finora (per es. Dido non potte ritenere Enea, CLXI 3); ma il più frequente è il senso di " imprimere nella mente ", " ricordare " (XLV 3, XLVI 5, CLI 14, CLXV 7). Infine in LXXXI 5 e CXXVII 2 compare un uso che nelle opere canoniche di D. è assente: " accettare nel numero ", " considerare " qualcuno della propria brigata: i' ti ritegno del consiglio mio, e i' t'ho ritenuto di mia gente. V. anche TENERE.