risorse idriche, controllo delle
risórse ìdriche, contròllo delle. – È convincimento diffuso che l’acqua rappresenterà una delle maggiori cause dei conflitti nel 21° sec., dal momento che la sua accessibilità sarà sempre più difficile e il controllo delle risorse rinnovabili rappresenterà uno strumento politico estremamente importante nell’equilibrio mondiale. Le tensioni relative all’accesso e controllo delle risorse idriche hanno diverse scale geografiche. A livello locale, esistono scontri tra gruppi di persone per l’accesso a un punto di distribuzione, tra allevatori e agricoltori per il controllo delle zone di pascolo e di coltivazione, tra popolazione e Stato per la costruzione di una diga. A livello nazionale, differenti gruppi di interesse (agricoltura, industria, turismo, ambiente) si scontrano sulle politiche relative alla gestione delle acque: per es., per la locazione di risorse per il settore produttivo o per un centro urbano a discapito della campagna. A livello internazionale, è materia di conflitto tra stati confinanti il controllo della distribuzione delle acque di fiumi condivisi. Oltre al controllo delle quantità di risorse, è in gioco anche l’impatto sulla qualità, in quanto l’uso a monte del corso d’acqua può condizionarne la qualità a valle, in termini di contaminazione industriale e sottrazione da parte di dighe e sbarramenti delle componenti limose utili alla fertilità dei suoli. La captazione di acque per la produzione di energia elettrica può influire sui tempi di rilascio del fiume, danneggiando la produzione dei sistemi irrigui a valle. Il 40% della popolazione mondiale dipende da risorse fluviali transfrontaliere e paesi con irrigazione intensiva – quali Egitto, ῾Irāq, Siria, Turkmenistan, Uzbekistan – dipendono per i 2/3 da acque provenienti da altri paesi; secondo il rapporto sullo sviluppo umano redatto dalle Nazioni Unite nel 2006 i bacini idrici condivisi tra stati sono 263. Nel 21° sec. la gestione di bacini transfrontalieri acquisterà sempre più importanza a causa della grande domanda di acqua per l’agricoltura accompagnata dalla progressiva diminuzione delle risorse idriche superficiali e quindi sarà l’attenta applicazione di trattati internazionali e accordi locali a garantire l’accesso all’acqua per più di 3 miliardi di persone.
Asia e Medio Oriente. – Nel bacino idrografico di Gange, Brahmaputra e Megna – che interessa Bangladesh, Bhutan, Cina, India, Myanmar e Nepal – l’India controlla, attraverso un sistema di dighe costruite tra il 1960 e il 1970, gran parte delle acque che defluiscono in Bangladesh, il cui territorio è interessato per il 30% dalle acque del bacino che utilizza solo per il 6% per la produzione agricola. Questa situazione ha portato a venti anni di ostilità tra i due paesi a causa della diminuzione delle risorse irrigue in Bangladesh durante la stagione secca, con conseguente aumento del flusso migratorio verso l’India. Il bacino idrografico del Mekong interessa Cambogia, Cina, Laos, Thailandia, Myanmar e Vietnam. Un quinto delle acque viene utilizzato in Cina (anche se fornisce solo il 2% del Paese), ma il 47% della popolazione del Laos e il 90% di quella della Cambogia vive a valle del bacino. La costruzione di cinque dighe nella provincia dello Yunnan (l'ultima terminata nel 2012), nella Cina meridionale, ha quindi causato una riduzione delle attività di pesca in Cambogia e ha rappresentato una minaccia alla produzione di riso per 17 milioni di vietnamiti che vivono sul delta. Anche la nascente industria turistica del Laos è colpita dal calo delle acque del Mekong, in quanto le imbarcazioni devono spesso attendere che il fiume sia navigabile. Il bacino idrografico del lago Aral – che interessa Kazakistan, Kirghizistan, Pakistan, Turkmenistan, Uzbekistan, Afghanistan e Cina –, oltre che per cause climatiche, si è ridotto di 1/4 dal 1960 a causa della deviazione per usi industriali connessi alla produzione di cotone dei suoi immissari, il Sīr Daryā e l’Āmu Daryā. Nel 1990 il lago riceveva già 1/10 delle acque originali e il sovrasfruttamento continua; inoltre, a causa dell’inquinamento dovuto a fertilizzanti e prodotti chimici, 4/5 delle specie ittiche sono scomparse. Dal 2001, nell’ambito di un progetto attuato in associazione con la Banca mondiale, il Kazakistan ha realizzato la diga del Kok-Aral per ristabilire il livello delle acque del lago. Un nodo di rilievo coinvolge il bacino idrografico del Tigri e dell’Eufrate, che comprende Iran, Iraq, Giordania, Arabia Saudita, Siria e Turchia. La diga di Atatürk nell’Anatolia sud-orientale, la più grande in Turchia e la sesta nel mondo, insieme ad altre 21 dighe del Turkey’s southeast Anatolia project, rischia di ridurre di 1/3 il flusso delle acque in Siria, peraltro sconvolta dagli scontri bellici in atto contro il regime vigente, che sta sviluppando progetti sull’Eufrate per la protezione dalle inondazioni, la produzione di elettricità, l’irrigazione, la disponibilità di acqua potabile e per uso industriale. Tali dinamiche potrebbero danneggiare gli interessi iracheni, salvaguardati dall’accordo del 1987 con il quale la Turchia si è impegnata a garantire un afflusso medio di 500 m3/sec alla Siria che, a sua volta, deve trasferirne il 58% all’Iraq. Anche il bacino idrico del Giordano, al-Līṭānī e Yarmūk – che riguarda Egitto, Israele, Giordania, Territori occupati, Siria e Libano – comporta equilibri problematici. La guerra dei Sei giorni (giugno 1967) prese spunto dal tentativo di deviazione delle acque del Giordano da parte degli stati arabi in risposta alla costruzione israeliana della ‘via d’acqua nazionale’. La successiva deviazione del fiume, a nord del lago Tiberiade, per convogliare le acque in Israele, ha lasciato solo il 10% delle acque a valle del lago, influendo sui terreni agricoli e sul Mar Morto, destinato a prosciugarsi entro il 2050 se l’alta evapotraspirazione non sarà più compensata dall’apporto del Giordano. Dal 1967, la quota di terreni che gli agricoltori palestinesi sono in grado di irrigare è scesa dal 27% a circa il 5%. La distribuzione delle risorse idriche, superficiali e sotterranee, che interessano bacini comuni tra i paesi è fortemente sbilanciata. Solo il 10÷15% delle risorse è destinato alla popolazione palestinese, pari a circa metà di quella israeliana.
Africa. – Nel bacino idrografico del Nilo (comprende Burundi, Repubblica Centrafricana, Repubblica democratica del Congo, Egitto, Eritrea, Etiopia, Kenya, Ruanda, Sudan, Sudan del Sud, Tanzania e Uganda), che mette in contatto il 97% della popolazione egiziana e gli abitanti di Etiopia e Uganda, vivono 150 milioni di persone. Nel 1929 gli accordi tra Egitto e Regno Unito stabilirono che ogni Paese che avesse voluto utilizzare le acque del fiume avrebbe dovuto preventivamente chiedere l’autorizzazione all’Egitto; nel 1959 un ulteriore accordo fu firmato tra Egitto e Sudan. Il 14 maggio 2010 Etiopia, Kenya, Uganda, Ruanda e Tanzania hanno siglato un’intesa ‘separata’ per la spartizione delle acque del fiume, senza il consenso di Egitto e Sudan (oggi Sudan e Sudan del Sud), che da parte loro rivendicano diritti storici. Nel 2050 si prevede che la popolazione nell’area raggiungerà i 340 milioni, comportando un aumento della domanda di approvvigionamento, in particolare da parte dell’Etiopia, dal cui territorio proviene l’85% delle risorse del Nilo e che è al contempo uno dei paesi più poveri al mondo e con minor accesso all’acqua. Le dispute in merito al bacino idrografico del Lago Ciad possono coinvolgere Ciad, Camerun, Niger, Nigeria, Sudan, Algeria, Repubblica Centrafricana, Libia. Il lago ha oggi 1/10 della superficie che aveva 40 anni fa. Oltre a un calo della piovosità e lunghi periodi di siccità, la causa è da ricercarsi anche nel fattore umano. Tra il 1983 e il 1994 la domanda di acqua per irrigazione quadruplicò senza un’appropriata gestione. La diga di Hadejia in Nigeria ha danneggiato le attività ittiche a valle, come altri sbarramenti in Niger, Nigeria e Camerun hanno diminuito l’afflusso delle acque nel lago. Namibia, Angola, Botswana e Zimbabwe sono invece interessati al bacino idrografico dell’Okavango. Il vasto delta del fiume, nel Botswana settentrionale, attraversa una delle zone più ricche di flora e fauna del mondo, il Kalahari. Nel tentativo di gestire tale bacino rispettandone l'omogeneità Angola, Botswana e Namibia hanno costituito la commissione permanente OKACOM (Okavango river basin water commission).
Paesi ad alto reddito. – La gestione dei bacini transfrontalieri rappresenta motivo di dibattiti e accordi anche nelle regioni a più alto reddito. In America settentrionale, Colorado, Arizona e Nevada per anni si sono scontrati con la California per gli eccessivi prelievi dal Lago Owen e dal fiume Colorado. Nell’Unione Europea, la protezione degli ecosistemi acquatici viene regolata attraverso la gestione dell’acqua a scala di bacino, sulla base della direttiva comunitaria n. 60 del 23 ottobre 2000, nota anche come Water framework directive. La dimensione sovrannazionale dei grandi bacini fluviali europei impone agli stati membri di avere una strategia comune sull’approccio combinato per il controllo dell’inquinamento.