risorse idriche, accesso e gestione economica delle
risórse ìdriche, accèsso e gestióne econòmica delle. – L'accesso alle risorse idriche è strettamente legato alla condizione di povertà, in quanto lo sfruttamento e la distribuzione richiedono ingenti investimenti; allo stesso tempo la mancanza di acqua limita lo sviluppo economico. L’investimento medio per fornire l’accesso all'acqua potabile è stato stimato nel 2010 nell'ordine di 100 euro a persona, variando secondo l’economia di scala: in ambienti urbani, dove gli utenti finali sono concentrati, i costi si abbassano rispetto alle zone rurali, dove le distanze tra utenti sono molto grandi. Nella distribuzione dell’acqua bisogna peraltro tener conto dei costi per il suo trattamento e smaltimento, in particolare laddove i consumi superano i 50 l per persona al giorno. Le popolazioni con minore percentuale di accesso all’acqua sono principalmente quelle dei paesi a basso reddito, che soffrono su scala mondiale per la scarsità di fondi destinati al settore idrico (fig.). Nella maggioranza di questi, gli investimenti più consistenti nella distribuzione di acqua potabile dipendono dagli aiuti internazionali o da fondi governativi che spesso concentrano i finanziamenti nelle capitali, a discapito dei centri urbani più periferici e delle zone rurali. Le zone di maggiore criticità, per percentuale di accesso all’acqua e di popolazione, rimangono quelle dell’Africa subsahariana e dell’Asia orientale e meridionale.
La disputa sulla gestione economica delle risorse idriche. – Nei primi anni del 21° secolo si sono acuite le tensioni riguardo al passaggio della gestione delle risorse idriche da parte di autorità pubbliche a società private multinazionali: nel 1980 soltanto 12 milioni di persone erano fornite da imprese private, nel 2000 si era già arrivati a 300 milioni e si prevede che tale cifra possa crescere fino a 1,6 miliardi entro il 2025. Tale processo di privatizzazione è favorito da due fattori: da un lato, gli alti costi di investimento e le ridotte capacità finanziarie delle istituzioni per far fronte alla sempre più alta richiesta di acqua, dall’altro, il crescente interesse di società private verso i profitti derivanti dalla vendita di acqua e servizi associati. La Banca mondiale valuta il potenziale mercato dell’acqua intorno ai 1000 miliardi di dollari l’anno. Secondo gli analisti economici l’industria idrica, le cui entrate già sono circa il 40% di quella petrolifera, è destinata a diventare un settore produttivo di grande rilievo. Lo slancio verso la privatizzazione nasce con la dominante filosofia del Washington consensus, una dottrina economica suggerita dalla Trilateral commission, costituita nel 1973 per iniziativa di David Rockefeller, che liberalizza commerci e investimenti senza alcun impedimento da parte dei governi, consegnando al settore privato la responsabilità di programmi sociali e di gestione dei servizi. La stessa World trade organization (WTO) e altre grandi agenzie come la North American free trade agreement (NAFTA) e il General agreement on tariffs and trade (GATT) considerano l’acqua come un bene merceologico che segue le stesse regole di mercato, per es., del petrolio e del gas. Ciò significa che se un governo volesse vietarne l’esportazione oppure volesse dare la concessione dei servizi idrici a una compagnia straniera potrebbe incorrere nell'accusa di violazione degli accordi sul libero scambio. A capo della cordata di privatizzazioni si inseriscono anche grandi multinazionali europee (Vivendi, Suez e RWE), determinate, nel lungo periodo, a gestire i sistemi idrici dei paesi a basso reddito e la crisi idrica mondiale. Tuttavia, diversi fallimenti avvenuti, per es. a Buenos Aires, Johannesburg, Nuova Delhi, Manila e Cochabamba, hanno spostato l’interesse verso l'America settentrionale e l'Europa. La Commissione europea sostiene la privatizzazione dei servizi idrici, facendo leva anche sul rilascio condizionato di aiuti finanziari contro la crisi economica del debito sovrano (per es. in Grecia e Portogallo), ma alcuni paesi hanno escluso tale possibilità (per es. Belgio, Paesi Bassi e Svizzera, che ha tra le norme federali l’esclusiva per la gestione pubblica dell’acqua). Tali spinte sono presenti anche in Italia, malgrado l'esito di due referendum popolari abbia confermato nel 2011 la contrarietà in merito dell'opinione pubblica. La reazione verso la privatizzazione dell’acqua, da parte principalmente delle popolazioni più povere, ha favorito conflitti anche violenti, come nel caso di Cochabamba in Bolivia. La terza città del Paese andino si era trovata sotto la gestione di una compagnia privata che aveva innalzato le tariffe tanto da rappresentare per alcuni utenti fino a un quarto del reddito. Dopo un duro e prolungato scontro (culminato nell’aprile 2000), che ha visto 30.000 cittadini manifestare nelle piazze, il conflitto si è risolto con il ritorno della gestione dell’acqua in mani pubbliche. Contro la privatizzazione dell’acqua si è diffuso un movimento internazionale fondato su tre principi: conservazione delle risorse idriche; acqua come diritto umano; democrazia dell’acqua. Oggetto di maggiore contestazione da parte del movimento è il fatto che il fragile equilibrio tra domanda e sfruttamento delle risorse, accompagnato dalla distribuzione ineguale e da condizionamenti ambientali, non può essere lasciato alla gestione delle multinazionali, spinte da interessi economici. Le società private non hanno alcun vantaggio ad applicare politiche di sostenibilità a lungo termine e puntano alla maggior crescita dei consumi nell’immediato, non favorendo un’educazione al risparmio. Il contenimento dei costi di gestione avviene spesso a spese dell’ambiente, con il mancato rispetto della normativa in materia di scarichi, depuratori, bonifiche. Allo stesso modo, le privatizzazioni tendono per lo più a trascurare le esigenze sociali, ad anteporre, nelle forniture, le aree residenziali abitate dai ceti abbienti piuttosto che quelle più popolari o degradate, e inoltre comportano sempre un rischio di rincaro delle tariffe: ciò acuisce i problemi di accesso, soprattutto nei paesi a più basso reddito. Il Manifesto mondiale dell’acqua, redatto a Lisbona nel settembre 1998 da un Comitato internazionale per il contratto mondiale sull’acqua, presieduto da Mario Soares e coordinato da Riccardo Petrella, è il documento di riferimento per il riconoscimento legislativo dell'acqua come bene comune pubblico e indisponibile allo scambio commerciale di tipo lucrativo.