Riserva di codice
L’introduzione del principio della riserva relativa di codice appare, nelle scelte del legislatore del 2018, un tentativo di razionalizzare il sistema penale, arginandone il processo di decodificazione; la vincolatività del principio, attuato mediante il trasferimento di un modesto numero di norme penali all’interno del codice penale, sembra tuttavia compromessa dal rango non costituzionale della norma che lo sancisce, e da una insufficiente consapevolezza degli attuali rapporti tra codice penale e legislazione speciale. Il contributo, oltre ad evidenziare i primi problemi applicativi, si confronta con le possibili opzioni interpretative in tema di vincolatività del principio e di confisca.
Con il d.lgs. 1.3.2018, n. 21, in attuazione della delega formulata dalla l. 23.6.2017, n. 103 (cd. legge “Orlando”), è stato introdotto, nell’ordinamento penale, il principio della riserva di codice. Il criterio-guida è stato innanzitutto sancito nella parte generale del codice penale, con l’introduzione dell’art. 3 bis (Principio della riserva di codice), secondo cui «nuove disposizioni che prevedono reati possono essere introdotte nell’ordinamento solo se modificano il codice penale ovvero sono inserite in leggi che disciplinano in modo organico la materia». Oltre all’affermazione del principio, l’«attuazione, sia pure tendenziale, del principio della riserva di codice nella materia penale»1 è stata garantita mediante il trasferimento all’interno del codice penale di dodici fattispecie di reato – tra cui quelle in materia di sequestro di ostaggi, di doping, di procurato aborto, di propaganda discriminatoria, di trasferimento fraudolento di valori –, di cinque circostanze – tra cui le aggravanti della transnazionalità, del metodo e della finalità mafiosa, e quelle in materia di terrorismo –, e della disciplina della cd. confisca “allargata”, trasfusa quasi interamente nel nuovo art. 240 bis c.p., tra le misure di sicurezza patrimoniali2.
La “riserva di codice” rinviene le proprie radici nel dibattito sul cd. “diritto penale minimo”3, quale strumento di rafforzamento formale della riserva di legge, funzionale al contenimento dell’intervento penale nei limiti dell’extrema ratio e ad un prosciugamento del fenomeno di inflazione delle norme penali4. Nondimeno, nella declinazione “relativa”, la riserva di codice si colloca nel dibattito sulla cd. decodificazione penale, e sull’esigenza, sempre più avvertita, di un lungimirante e consapevole processo di “ricodificazione”, che, pur senza disconoscere la non surrogabilità di un diritto penale “complementare”5, eserciti una rinnovata forza centripeta – regolativa, e non solo topografica – rispetto al dissolvimento del “sistema” penale nelle nebulose della legislazione complementare6. In tale solco la riserva relativa di codice era stata prevista nell’art. 129 del Progetto di riforma costituzionale del 1997, e, successivamente, nei Progetti Grosso e Pisapia di riforma del codice penale, nell’ambito di un’idea di razionalizzazione del diritto penale classico e dei sottosistemi, da attuare mediante una collocazione delle norme penali all’interno del codice o in leggi speciali organiche.
Il principio della riserva relativa di codice sancito dall’art. 3 bis si iscrive, dunque, non già nell’ambito di un ampio progetto di contenimento dell’intervento penale (il cd. diritto penale minimo), che, per le recenti traiettorie della politica criminale tracciate dal legislatore, appare estraneo all’attuale Zeitgeist politico-culturale, bensì nell’ambito di un tentativo (decisamente timido e velleitario, se posto a confronto con la portata ambiziosa dell’idea) di contenere il processo di decodificazione del sistema penale. Tant’è che il tenore dell’art. 3 bis risulta pressoché sovrapponibile a quello dell’art. 129, co. 4, del Progetto della Bicamerale. Con la differenza, evidentemente essenziale, che l’introduzione della riserva di codice solo a livello di legislazione ordinaria rivela la natura declamatoria del principio, sfornito della forza vincolante dei precetti costituzionali, sia in sede legislativa, che in sede di controllo di costituzionalità.
L’idea sottesa al progetto di riforma delineato dal legislatore delegante era quello di garantire una «migliore conoscenza dei precetti e delle sanzioni e quindi dell’effettività della funzione rieducativa della pena», quale «presupposto indispensabile perché l’intero ordinamento penitenziario sia pienamente conforme ai principi costituzionali». Al riguardo, però, se l’introduzione del principio della riserva di codice può contribuire a fondare una miglior conoscibilità delle norme penali, non mostra alcuna duttilità, neppure dialettica, nell’attuazione del principio di rieducazione del reo7, anche in considerazione del modestissimo tasso di “carcerizzazione” legato alle fattispecie incriminatrici della legislazione complementare8. In generale, tuttavia, è l’assenza di un’ampia visione progettuale di riforma della parte speciale che tradisce l’approccio miope e poco meditato del riformatore. Oltre all’assenza di un contesto socioculturale e politico in grado di fondare una seria e meditata opera di “ricodificazione”, l’idea della centralità del codice, come proposta dalla riforma del 2018, appare antistorica e inconsapevole della trasmutazione dello stesso rapporto codice penale/legislazione speciale: secondo una felice metafora urbanistica, il codice, da tempo non più “città ideale” del diritto penale circondata dalle “periferie” degradate della legislazione complementare, ha assunto sempre più le sembianze di un “centro di accoglienza”, in quanto contenitore di reati della più disparata formulazione stilistica, lessicale, e contenutistica; la “forma codice” è diventata “simbolo”, non più oggetto, fondando un uso “scheumorfico” del termine, che in futuro, in una rappresentazione metaforica del mondo normativo, potrebbe, nell’ambito di un progetto riorganizzativo policentrico, basato anche sull’avvento delle tecnologie informatiche, connotare un “villaggio globale”9.
Pur nella sua declinazione “ordinaria”, l’introduzione della riserva di codice è stata caratterizzata da una attenzione quanto meno non congrua rispetto al rilievo sistematico che potenzialmente riveste: già la delega, collocata nelle pieghe di una disposizione lunga e disomogenea (al comma 85, lett. q), denota una consapevolezza superficiale dell’impatto sistematico del principio, e l’assenza di un reale investimento politico; la disposizione, peraltro, è stata inserita nell’ambito della delega per la riforma dell’ordinamento penitenziario, con un discutibile, quanto labile, richiamo al principio di rieducazione; infine, alla Commissione di studio istituita per l’elaborazione dello schema legislativo è stato assegnato un mandato angusto, limitato alla mera trasposizione meccanica di singole norme penali di parte speciale, senza la possibilità di riformularle10. Con la conseguenza che, prescindendo dai sottosistemi “organici”, il trasferimento ha riguardato un numero esiguo di norme penali, concernenti soltanto fattispecie trapiantabili senza alcuna modifica in un tessuto normativo differente, senza poter coinvolgere anche importanti settori della legislazione complementare connotati da fattispecie penali descrittivamente autonome, per le quali sarebbe stata necessaria, ferme le scelte incriminatrici, soltanto una modesta opera “tecnica” di coordinamento.
La riforma introdotta dal d.lgs. n. 21/2018, oltre ad una prima questione applicativa sul perimetro di tipicità del reato di omesso versamento di assegno di mantenimento, propone profili di rilevante interesse interpretativo sia con riferimento al grado di vincolatività (e di conseguente “giustiziabilità”) del principio sancito dall’art. 3 bis, sia con riferimento ai possibili riflessi ermeneutici del trasferimento nel capo delle misure di sicurezza della confisca “allargata” e “per equivalente”.
Oltre all’attuazione modesta del trasferimento di norme penali all’interno del codice penale, il principale limite della riforma, che ne denota la visione miope e l’approccio frettoloso, è rappresentato dal rango ordinario, e non costituzionale, del principio introdotto all’art. 3 bis. La forza di legge ordinaria, infatti, non attribuisce alla norma un’attitudine vincolante rispetto alle scelte legislative, né, tanto meno, una capacità performativa del sindacato di costituzionalità, in quanto sfornita della natura sovraordinata tipica dei parametri costituzionali. Nel tentativo di iniettare “linfa” ermeneutica al principio è stata nondimeno proposta, in dottrina, un’interpretazione “costituzionalmente orientata” dell’art. 3 bis: lungi dall’essere una mera “norma di indirizzo”, priva di attitudine vincolante formale, alla riserva di codice dovrebbe essere riconosciuta, seppur a livello di legge ordinaria, la natura di “principio costituente”, e non meramente “topografico”; si tratterebbe, infatti, di un principio generale espresso dell’ordinamento giuridico che disciplina tutte le regole penali, un “principio costituente” per la materia penale, in quanto “legifica norme di rango costituzionale”; come gli artt. 40 o 43 c.p. “attuano”, regolandola a livello codicistico, la responsabilità penale personale, così l’art. 3 bis “legifica” il contenuto implicito dei principi di legalità-determinatezza e di ultima ratio, altrimenti non operativi nel sistema; la conseguenza, secondo l’interpretazione proposta, sarebbe l’esperibilità, nei casi di violazione della riserva di codice, di un sindacato “giuridico” da parte della Corte costituzionale ai sensi degli artt. 25 cpv. e 3 Cost.11. La pur auspicabile adesione all’interpretazione dell’art. 3 bis come “norma di sistema”, suscettibile di assumere il ruolo di parametro di costituzionalità, non appare tuttavia assecondata dal tradizionale atteggiamento di self-restraint della Corte costituzionale nel sindacato sulla discrezionalità legislativa, e dalla connotazione non assiomatica della natura “organica” dei sottosistemi suscettibili di contenere norme penali. La sempre più avvertita esigenza di un contenimento dell’espansione ipertrofica ed incontrollata del diritto penale, del resto, è alla base anche di altre due proposte di riforma, che, su piani diversi, tendono ad un rafforzamento formale della legalità penale: da un lato, collegata alla riserva di codice, l’introduzione del cd. “vincolo di rubrica”, in base al quale tutte le fattispecie incriminatrici, anche quelle previste nella legislazione complementare, devono avere un “nome”; l’idea, che valorizza il nesso tra nomi, tipi e fattispecie, poggia sull’assunto che se un reato deve essere denominato non potrà essere innominabile, e sono innominabili quelli sprovvisti di un disvalore (tendenzialmente) omogeneo, e perciò problematici in punto di tipicità12. Dall’altro, in una concezione della «legge penale come legge costituzionale», la previsione, a livello costituzionale, di maggioranze qualificate per l’approvazione di norme penali13.
Un ulteriore profilo di rilevante interesse interpretativo riguarda il trasferimento della confisca cd. “allargata”, disciplinata dall’art. 12 sexies d.l. 8.6.1992, n. 306, nel nuovo art. 240 bis c.p. La confisca “allargata”, tradizionalmente inquadrata tra le misure di sicurezza atipiche, viene infatti disciplinata nel capo II del titolo VIII dedicato alle misure di sicurezza; analoga collocazione, però, riceve la confisca allargata “per equivalente” (art. 240 bis, co. 2), della quale è stata finora affermata la natura “sanzionatoria”; tanto da non consentire l’ablazione del profitto in caso di estinzione del reato per intervenuta prescrizione, permessa solo quando sia possibile una confisca diretta14. La nuova collocazione sistematica della confisca “per equivalente” – già anticipata dall’introduzione nell’art. 240, co. 2, n. 1-bis (ad opera del d.lgs. 29.10.2016, n. 202), di una confisca di valore “settoriale”, in relazione ai reati informatici – potrebbe fondare una diversa interpretazione della misura ablativa, come misura di sicurezza, e non più come “sanzione”, con tutte le conseguenze in termini di efficacia retroattiva ed applicabilità in caso di estinzione del reato. Senza poter neppure lambire il tema, la cui rilevanza ed estensione esulano dai limiti del contributo, una diversa qualificazione delle ipotesi di confisca di valore in termini di misura di sicurezza, e non di sanzione, potrebbe altresì indurre un ripensamento, innanzitutto giurisprudenziale, sul rapporto con la confisca diretta del profitto. Il recente orientamento delle Sezioni Unite, che qualifica l’ablazione delle somme di denaro sempre confisca “diretta”, data la natura fungibile del bene, e non “per equivalente”, oltre ad obliterare il nesso di pertinenzialità al reato, appare infatti debitore dell’esigenza pratica di consentire un’ablazione anche nei confronti delle persone giuridiche15 e in caso di prescrizione del reato16; ablazione che non sarebbe consentita qualora l’etichetta della misura fosse quella della confisca “per equivalente”, della quale, nonostante una diffusa contraria opinione della dottrina17, è stata finora affermata la natura sanzionatoria.
Una prima questione applicativa affrontata in giurisprudenza ha riguardato l’estensione del reato di omesso versamento dell’assegno di mantenimento18. Nel nuovo art. 570 bis c.p. sono stati trasfusi l’art. 12 sexies l. 1.12.1970, n. 898 e l’art. 3 l. 8.2.2006, n. 54; sulla base di un’interpretazione che valorizzava il riferimento, nell’art. 4 della l. n. 54/2006, «ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati», si era ritenuto, nella giurisprudenza più recente (ma non unanime), che il reato di cui all’art. 12 sexies fosse applicabile anche al genitore convivente more uxorio. Il riferimento, nell’art. 570 bis, al solo “coniuge”, e l’abrogazione dell’art. 3 l. n. 54/2006, che non consentirebbe più un richiamo al successivo art. 4, escluderebbe, dunque, un’interpretazione estensiva della fattispecie incriminatrice, che non sarebbe applicabile ai genitori conviventi more uxorio. Un primo orientamento, pur senza affermare un’ipotesi di abolitio criminis, ha ritenuto che il mancato versamento dell’assegno di mantenimento da parte del genitore non coniugato non rientrasse più nel nuovo art. 570 bis, ma dovesse essere ricompreso nel perimetro di tipicità dell’art. 570, co. 1, che prevede la sottrazione agli obblighi di assistenza inerenti alla responsabilità genitoriale19. Di recente, è stata invece sollevata questione di legittimità costituzionale, per eccesso di delega, delle norme del d.lgs. n. 21/2018 che, trasferendo le previgenti disposizioni incriminatrici nel nuovo art. 570 bis, delimitato come reato proprio del “coniuge”, hanno parzialmente abrogato la norma che, sulla base del diritto vivente, consentiva la punizione anche del genitore convivente non coniugato; poiché la delega riguardava soltanto un «riordino della materia penale ferme restando le scelte incriminatrici già operate dal Legislatore», l’abrogazione sarebbe stata disposta in violazione dell’art. 76 Cost.20.
1 Art. 1, co. 85, let. q), l. 23.6.2017, n. 103.
2 Per una illustrazione analitica delle modifiche al codice penale Bernardi, S., Il nuovo principio della ‘riserva di codice’ e le modifiche al codice penale: scheda illustrativa, in Dir. pen. cont., 2018, fasc. 4.
3 Per tutti, Baratta, A., Principi del diritto penale minimo. Per una teoria dei diritti umani come oggetti e limiti della legge penale, in Il diritto penale minimo, Napoli, 1986, 443 ss.
4 Per tutti, Ferrajoli, L., Crisi della legalità penale e giurisdizione. Una proposta: la riserva di codice, in Legalità e giurisdizione. Le garanzie penali tra incertezze del presente ed ipotesi del futuro, Padova, 2001, 27 ss
5 Paliero, C.E., L’autunno del patriarca. Rinnovamento o trasmutazione del diritto penale dei codici?, in Riv. it. dir. proc. pen., 1994, 1223.
6 Sia sufficiente richiamare, per tutti, i volumi curati da Donini, M., La riforma della legislazione penale complementare. Studi di diritto comparato, Padova, 2000; Id., Modelli ed esperienze di riforma del diritto penale complementare, Milano, 2003.
7 Per una condivisibile critica sul nesso tra riserva di codice e principio di rieducazione, Papa, M., Dal codice penale “scheumorfico” alle playlist. Considerazioni inattuali sul principio della riserva di codice, in Dir. pen. cont., 2018, fasc. 5, 136.
8 Pavarini, M., Sistema di informatizzazione del diritto penale complementare. Prime elaborazioni e riflessioni, in Donini, M., a cura di, Modelli ed esperienze di riforma, cit., 32 ss., evidenziava che, al 1999, nella legislazione complementare erano vigenti 5431 norme-precetto, di cui quasi l’84% (4557) erano contravvenzioni – la maggior parte delle quali oblazionabili, in quanto punite con pena alternativa – , con la conseguenza che il 95% del diritto penale complementare non è un “diritto penale della prigione”.
9 In tal senso, in un brillante e stimolante contributo, Papa, M., Dal codice penale, cit., 139, 142, 152.
10 Donini, M., L’art. 3 bis c.p. in cerca del disegno che la riforma Orlando ha forse immaginato, in Dir. pen. proc., 2018, n. 4, 431 ss.
11 In tal senso, con la consueta profondità di riflessione, Donini, M., op.cit., 437438.
12 Così, in un brillante e documentato saggio, Sotis, C., Vincolo di rubrica e tipicità penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 2017, 1346 ss.
13 Sul tema, da ultimo, Fornasari, G., Argomenti per una riserva di legge rafforzata in materia penale, in Dir. pen. cont. – Riv. trim., 2018, fasc. 2.
14 Cass. pen., S.U, 26.6.2015, n. 31617, Lucci.
15 Cass. pen., S.U, 30.1.2014, n. 10561, Gubert.
16 Cass. pen. n. 31617/2015.
17 Per tutti, autorevolmente, Romano, M., Confisca, responsabilità degli enti, reati tributari, in Riv. it. dir. proc. pen., 2015, 1674 ss., che sottolinea come la confisca di valore, avendo ad oggetto beni equivalenti al profitto diretto del reato, costituisce una sorta di modalità di esecuzione della confisca diretta, ne svolge la medesima funzione “neutralizzante”, e non “ripristinatoria”, mutuandone altresì la natura giuridica di misura di sicurezza, allorquando l’ablazione del profitto non si espanda oltre quanto il reato vi abbia apportato.
18 Barcellona, M., Una prima questione posta dal d.lgs. n. 21/2018 sulla riserva di codice: inapplicabile il nuovo art. 570 bis c.p. all’omesso versamento dell’assegno di mantenimento al figlio, da parte del genitore convivente more uxorio, in Dir. pen. cont., 2018, fasc. 6.
19 Trib. Treviso, 17.4.2018, n. 554, in Dir. pen. cont., 12.6.2018. Diversamente, il Trib. Genova, 30.5.2018, n. 2269, in Dir. pen. cont., 8.10.2018, ha affermato l’applicabilità del nuovo art. 570 bis anche all’omesso versamento del genitore non coniugato.
20 App. Trento, 21.9.2018 e Trib. Nocera Inferiore, 26.4.2018, in Dir. pen. cont., 8.10.2018. Nel senso di un possibile profilo di eccesso di delega si era già espressa la Relazione tematica sull’introduzione dell’art. 570-bis cod. pen. (p. 11 ss.) elaborata dall’Ufficio del Massimario e del Ruolo il 23.4.2018.