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RISCHIO

di Giovanni DEMARIA - Enciclopedia Italiana (1936)
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RISCHIO (fr. risque; sp. riesgo; ted. Risiko; ingl. risk)

Giovanni DEMARIA

Il termine rischio abbraccia due concetti categoricamente differenti: il rischio statico e il rischio dinamico. Il primo è dato da eventi futuri ma legati a stati o ad azioni presenti, che sono aspettati con sufficiente certezza (e pertanto sono economicamente prevedibili) per grandi collettività, e che producono maggiori costi, o in genere perdite di utilità, o anche benefici, o in genere guadagni di utilità, a singoli individui, senza tuttavia che sia possibile dire a priori quale sarà l'individuo che sarà soggetto all'evento favorevole o sfavorevole. Esempî di rischi statici sono gli eventi connessi con il giuoco o soggetti ad assicurazione e, in genere, gli eventi della natura della probabilità matematica (v. assicurazione; probabilità, calcolo delle).

Sono invece dinamici quei rischi, che non possono essere previsti in via assoluta a priori, sebbene di regola vengano misurati dopo il loro accadimento. Tali sono gli eventi connessi con l'azione economica svolgentesi nel tempo, la quale porta, in un avvenire più o meno remoto, alla realizzazione di certi costi e di certi prezzi e in genere a certi redditi. Tali sono pure gli eventi legati a fenomeni tellurici, a condizioni atmosferiche, a guerre, congiunture sociali, epidemie, progresso, disoccupazione.

La teoria dei rischi statici e dinamici è passata per tre linee di sviluppo fondamentali, le quali si sono svolte sostanzialmente in modo indipendente. La prima è soprattutto in connessione con la letteratura filosofica e matematica, e si trova fondamentalmente nelle opere dei classici prima (D. Bernouilli, P.-S. Laplace, P. L. Tchebicheff, A. A. Markov) e poi degli attuarî che applicarono la teoria matematica del rischio considerata come derivazione del calcolo delle probabilità (e in genere del calcolo normale basato sulla legge di Gauss), ai fenomeni assicurabili. A questa tendenza si riallacciarono in questo e nel secolo passato certe elaborazioni del concetto di rischio economico dovute in gran parte ad alcuni economisti inglesi (F. Lavington, A. Marshall, A. C. Pigou) e italiani (F. Chessa), i quali considerarono il rischio in relazione alla statica dell'economia negli aspetti della capitalizzazione, dell'impresa, della proprietà, della produzione e dei fenomeni bancarî.

La seconda e la terza linea di sviluppo nella teoria del rischio riguardano soprattutto i rischi dinamici. Con esse si cercò infatti di separare dapprima il concetto di rischio in genere da quello di incertezza (concepita questa come un rischio non misurabile né a priori né statisticamente), per poi distinguere la trattazione del rischio dinamico a seconda che esso sia comesso volontariamente alla speculazione (e in genere all'attività di imprenditore); oppure sia congiunto necessariamente ad atti umani legati al tempo, come nel caso degl'individui economici i quali sopportano inevitabilmente certe alee in genere, mentre gl'imprenditori e gli speculatori corrono volontariamente alee particolari, accettandone le conseguenze. Queste ultime tendenze sono rappresentate variamente dalle scuole americana (E. A. Ross, J. Haynes, J. B. Clark, F. B. Hayley, A. H. Willet, F. H. Knight) e inglese (che ha, in particolare, trattato l'incertezza del risultato economico come una probabilità matematica, con A. C. Pigou), e da alcuni scrittori tedeschi e italiani (v. profitto).

I rischi statici si possono anche rilevare in una società economica progressiva, sempreché la loro legge sia riconoscibile a priori. Portano diminuzione o aumento di redditi e movimenti in genere di prezzi per effetto di cause naturali e dovute all'azione umana (come fortuna, giuoco, incendio, naufragio, sottrazione, manipolazione, frode, malattia, infortunio, sopravvivenza a certe età, morte); pertanto si distinguono in naturali, personali, sociali, professionali, industriali, di produzione, di negoziazione, ecc.

Per i rischi statici vale il principio dell'unicità del rischio, per cui le previsioni basate sulle conoscenze esistenti sono in genere tanto più sicure quanto più il gruppo di eventi (omogenei) considerati è numeroso; e ciò per un corollario della legge degli errori, che la previsime di una media è proporzionale alla radice quadra dcì termini che essa contiene (donde pure il concetto di minimo numero di assicurati legato al principio di stabilità, che vale per le assicurazioni). La natura del rischio statico spiega anche perché questo sia per altro sempre dinamico per gl'individui soggetti ad essere colpiti dall'evento sfavorevole (favorevole), mentre è indipendente dal tempo per la società di assicurazione, che li tratta come parte di un gruppo di rischi omogenei.

I rischi dinamici, che si distinguono in temporanei e di lungo momento, a seconda che siano legati a uno o a più cicli produttivi, si producono per effetto di cambiamenti dinamici del mondo in genere e della società economica in particolare; essi non sono né rigorosamente periodici né costanti nella loro legge di accadimentti, e sono la ragione della grande incertezza circa lo stato futuro delle variabili sociali, e cioè andamento delle curve di domanda e di offerta dei beni e servizî, andamento del reddito (quanta parte viene destinata a bisogni produttivi e quanta invece a bisogni ultimi), organizzazione economica e tecnica (onde il problema di cosa porteranno le presenti e le future invenzioni), infine frizioni e attriti all'azione economica. Il rischio dinamico è pertanto relativo a una impossibilità di previsione da parte degl'individui e non è perciò assicurabile. L'unica possibilità di conoscenza del rischio è quella offerta dall'intuito, ed è infatti da esso che l'imprenditore è guidato nella propria azione, sebbene non possa mai essere certo dell'effetto finale quale risulta dalla sua valutazione.

Nonostante tale impossibilità assoluta di previsione, i rischi dinamici sono soggetti a tre condizioni caratteristiche. La prima è che i rischi dinamici si muovono nel loro complesso nella stessa direzione del progresso. Per la seconda caratteristica, sebbene vi sia impossibilità di compensazione tra i rischi dinamici e le incertezze non valutabili, purtuttavia ogni impresa fortunata in certi rami d'affari rischiosi ottiene profitti eccezionali a compensazione delle perdite eccezionali delle imprese che falliscono (giacché altrimenti gli imprenditori di questo ramo ricaverebbero dalle imprese meno del profitto normale). Infine, esiste il fatto che, se ad esempio sono date cento persone che investono, e ognuna divide il proprio investimento tra cento imprese, l'ammontare complessivo di rischio del gruppo è minore di quello che ci sarebbe stato se ciascuna avesse investito in un'impresa soltanto; la quale caratteristica è il fondamento della teoria sugli investimenti. Se lo stato fosse tecnicamente un buon portatore di rischi, queste tre caratteristiche permetterebbero di enunciare anche per i rischi dinamici l'esistenza di un principio generale di unicità del rischio, sicché gl'individui, che oggi corrono o sopportano rischi dinamici, potrebbero, entro certi limiti, dividerseli, attraverso l'organizzazione statale.

I rischi, statici e dinamici, fluttuano nel tempo; e questo vale tanto per i rischi considerati nel loro complesso quanto rispetto alle particolari fonti di reddito cui sono connessi. Le fluttuazioni sono accidentali e di altra natura. Le prime danno generalmente luogo, nelle compagnie di assicurazione, alla formazione di speciali riserve rischi, ottenute per caricamento dei premî. Le altre, invece, sono, come regola, alte in tempi di rapida trasformazione e di grande progresso, e basse in altri tempi. Esiste per di più una generale tendenza (di lungo andare) verso la diminuzione dei rischi esistenti, ogni incertezza essendo tecnicamente capace di parziale correzione attraverso il controllo sempre più preciso delle cause e concause del futuro (migliore organizzazione sociale; maggiori informazioni; passaggio dei rischi a organi specializzati per assumerli, ecc.). Questa tendenza tuttavia non vale per i rischi nuovi (ossia di natura differente dai presenti) i quali, al contrario, vanno continuamente sorgendo: onde il fenomeno del rischio è fenomeno perenne e non transeunte.

Quanto alla valutazione dei rischi, essa viene fatta in modo quasi perfetto per i rischi statici; sempre, invece, incerta per quelli dinamici. Una misura di questi ultimi esiste nei profitti e nelle perdite che toccano agli imprenditori, sebbene si tratti di misura assai imperfetta perché il processo d'imputazitme del reddito presente e futuro ai fattori della produzione presenti è in parte dovuto a un giudizio puramente soggettivo sul significato economico delle quantità esposte a rischio.

Per i rischi statici esiste poi la teoria del rischio matematico, la quale, in sostanza, mira a determinare la funzione del rischio rappresentante le probabilità totali di profitti e di perdite derivanti dalle singole operazioni assunte da un'impresa di assicurazione, e formanti la massa totale dei suoi affari; profitti e perdite che sono dovuti alle variazioni casuali della mortalità, del saggio d'interesse, delle spese di amministrazione, ecc. Parimenti si potrebbe dire del rischio matematico di un'assicurazione individuale, che è la somma di tutte le perdite e di tutti i profitti possibili da parte dell'assicurato moltiplicati per le rispettive probabilità.

Per i varî metodi generali e particolari di determinazione di tali funzioni si vedano gli scritti citati nella bibliografia. Qui va soltanto osservato che esiste sempre una certa arbitrarietà nel determinare in concreto la funzione del rischio, essendo insufficiente il punto di vista puramente storico. In genere le compagnie cercano di diminuire il carico delle riserve necessarie a questo scopo, che cade sugli assicurati, stabilendo, nella misura del possibile, dei sistemi di partecipazione ai benefici.

Bibl.: Per la parte generale, v. A. H. Willett, Economic Theory of Risk and Insurance, New York 1901; F. H. Knight, Risk, Uncertainty and Profit, Boston e New York 1921; C. O. Hardy, Risk and Risk-Bearing, Chicago 1923; F. Lavington, An Approach to the Theory of Business Risks, in Economic Journal, 1925; C. A. Kulp, Casualty Insurance, New York 1928; F. Chessa, La teoria economica del rischio e della assicurazione, Padova 1929 (dove è contenuta una larga bibliografia); A. C. Pigou, Economia del benessere (trad. it.), App. i, Torino 1934. Per la parte speciale, matematica e attuariale, son fondamentali gli atti del VI congresso internazionale degli attuarî (Gutachten, Denkschriften und Verhandlungen des sechsten internationalen Kongresses für Versicherungswissenschaft, Vienna 1909, I, parte 1ª e 2ª). In questo congresso il rischio costituì uno degli argomenti ufficiali di discussione (si vedano sopra tutto gli scritti di P. Medolaghi, R. Rothauge, G. Bohlmann, A. Guldberg, P. Smolensky, A. Tauber, F. Zalai, W. P. Elderton, J. P. Gram). Cfr. inoltre, U. Broggi, Matematica attuariale, Milano 1906; P. Medolaghi, Di una nuova teoria del rischio, in Boll. Ass. Att. italiani, 1908 (notevole perché espone una teoria "ipernormale del rischio" abbandonando la legge "normale" di Gauss; v. anche a questo proposito: F. Insolera, Corso di matematica finanziaria, Torino 1923); G. Bohlmann, Théorie du risque, in Encyclopédie des sciences mathématiques poures et appliquées, Parigi-Lipsia 1911, p. 575 segg.; C. E. Bonferroni, Sui rischi lineari, in Annuario del R. Istituto superiore di scienze econ. e comm., Bari 1916; E. Czuber, Wahrscheinlichkeitsrechnung und ihre Anwendung auf Fehleraugsgleichnung Statistik und Lebenversicherung,Lipsia 1921: H. Cramer, On the Mathematical Theory of Risk, in Särtryck ur Försäkringsaktiebolaget Skandias Festskrift 1930; P. Mazzoni, Sulla formola di Hattendorf e il rischio medio, in Archivio scientifico del R. Istituto superiore di scienze economiche e commerciali, Bari 1934.

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