RIPARAZIONE PECUNIARIA
. La riparazione pecuniaria era un istituto di diritto penale sostanziale, secondo l'art. 38 del codice penale italiano del 1889.
Il giudice, per ogni delitto che offendeva l'onore della persona o della famiglia, ancorché non avesse cagionato danno, poteva alla parte offesa che ne avesse fatto richiesta, attribuire una somma determinata a titolo di riparazione, oltre le restituzioni e il risarcimento dei danni. Il codice di procedura penale del 1913 portò a ulteriore sviluppo il principio accolto dal codice penale, estendendo la facoltà del predetto articolo 38 in rapporto anche ai delitti contro la persona, la libertà individuale, l'inviolabilità del domicilio o dei segreti (art. 7). Tale riparazione fu considerata, più che risarcimento di danno non patrimoniale, come un'azione penale complementare, rivolta a compensare il leso per la menomata sicurezza nel godimento di un bene. Non essendo una pena, perché rimessa nella sua determinazione quantitativa all'apprezzamento del giudice, non poteva essere convertita in pena detentiva in caso d'insolvenza del condannato, e doveva essere richiesta dall'offeso. Si poteva irrogare indipendentemente dall'esistenza del danno, ma occorreva una condanna per delitto. Sostanzialmente completava la tutela giuridica nell'interesse esclusivo del soggetto passivo di determinati delitti, presentandosi come una figura mista di pena e di risarcimento.
Il nuovo codice penale del 1930 contiene nel titolo 7 del libro I una disciplina nuova e organica delle conseguenze non penali del fatto-reato, che incidono su rapporti di diritto privato, denominate sanzioni civili, in quanto, pur derivando da un illecito penale, si possono ricondurre nella più ampia categoria delle sanzioni giuridiche. Sotto questo profilo anche le sanzioni civili sono repressive; tendono, cioè, direttamente alla riparazione del danno patrimoniale e non patrimoniale, cagionato al singolo, e solo mediatamente concorrono alla difesa sociale contro il delitto. Le sanzioni civili annoverate nel nuovo codice penale sono: a) la restituzione (riparazione in natura nel più ampio significato); b) il risarcimento del danno patrimoniale (danno emergente e lucro cessante) e del danno non patrimoniale (art. 185). La legge parla di danno non patrimoniale e non di danno morale, perché quest'ultima locuzione non riesce a differenziare il danno morale puro da quei danni che, sebbene derivino da offese alla personalità morale, direttamente o indirettamente menomano il patrimonio. Sicché il danno morale che si avvera con detrimenti patrimoniali, è risarcibile come danno patrimoniale; mentre il danno morale che non riguarda in alcun modo il patrimonio, è risarcibile solo come danno non patrimoniale. Oltre al danno patrimoniale e al danno non patrimoniale non esiste altra specie di danno riparabile. Così il nuovo codice ha compreso nel risarcimento del danno non patrimoniale l'istituto della riparazione pecuniaria, trasformandolo nel senso che per il risarcimento del danno non patrimoniale occorre la prova del danno, almeno in via presuntiva, ed esso è dovuto anche se il reato sia estinto; c) la pubblicazione della sentenza di condanna, che funziona come mezzo di eliminazione di un danno morale in atto, e può concorrere col risarcimento del danno patrimoniale o non patrimoniale; d) il rimborso allo stato della spesa per il mantenimento del condannato negli stabilimenti di pena, cui (art. 188) il condannato stesso è obbligato, con tutti i suoi beni presenti e futuri.
Bibl.: A. De Marsico, Delle sanzioni civili, in Il codice penale illustrato, Milano 1932 segg., p. 771; N. Levi, Laparte civile, Torino 1925, p. 92; F. Carnelutti, Il danno e il reato, 2ª ed., Padova 1930; G. Paoli, Il reato, il risarcimento, la riparazione, Bologna 1924, pp. 195-202; P. Calamandrei, Il risarcimento dei danni non patrimoniali nella nuova legislazione penale, in Riv. it. dir. pen., IX (1931), p. 171; L. Coviello, L'art. 185 cod. pen. e la risarcibilità dei danni morali in materia civile, in Annali dir. e proc. pen., 1932, p. 609; V. Manzini, Trattato di diritto penale, III, Torino 1934, p. 171.