pontificato, rinuncia al
pontificato, rinùncia al. – Alle 11.27 dell’11 febbraio 2013 l’agenzia Ansa raccoglieva e batteva una notizia destinata a fare il giro del mondo e a suscitare grandi stupore ed emozione: l'annunzio al collegio cardinalizio da parte di Benedetto XVI della propria rinuncia al ministero petrino, con decorrenza dal 28 febbraio. Il Codice di diritto canonico vigente, al canone 332, prevede che il papa possa rinunciare liberamente al proprio ufficio, senza che nessuno debba accettare o vagliare questo gesto. In questo privilegio (non dover sottomettere ad alcuno la sua decisione per validazione o per consiglio) sta una delle peculiarità della Chiesa di Roma, una delle pochissime della Chiesa latina che ancora elegge il proprio vescovo, l’unica il cui pastore non debba presentare ad una scadenza prefissata le dimissioni, come fanno invece i vescovi diocesani che devono presentare la loro rinuncia al papa e alla sua congregazione per i vescovi, lasciando a loro il compito di decidere sulla efficacia di quel passo. Il vescovo di Roma uscente ha curato con estrema attenzione il cerimoniale di questo gesto senza precedenti moderni: non si dimetteva da vicario di Cristo – un titolo teologico che fino ad Innocenzo III usavano tutti i vescovi – ma da successore di Pietro. Lo comunicava davanti ad una parte del collegio cardinalizio che si riunisce a ritmo continuo per tutti gli atti solenni e che quando siede in concistoro (il papa ha scelto un concistoro di beatificazione perché è quello al quale vengono invitati tutti i porporati del mondo, anche se di norma vi assistono solo quelli residenti nell’urbe) rappresenta la Chiesa di Roma, e lo faceva alla presenza del decano del collegio, il cardinale Angelo Sodano, uno dei pochissimi ad essere preavvertito e che veniva investito di una funzione di guida all'interno del prossimo conclave, che si presenta come certamente singolare. L’andamento dei quasi otto anni d’episcopato romano che Joseph Ratzinger chiudeva il 28 febbraio non era stato così dissimile da quello dei quattro anni che aveva vissuto a Monaco: un sommarsi di personalismi e situazioni ambigue dalle quali si ritraeva, senza cercare persone nuove per gli alti ranghi della curia. In una situazione estremamente difficile, fallita anche la riconciliazione con i lefebvriani che avevano ottenuto concessioni senza nulla concedere e con la curia paralizzata nelle decisioni sulle finanze vaticane da resistenze e interessi, il papa annunciava le sue dimissioni. I precedenti storici di un gesto simile sono lontani: riguardano eretici e monaci, non un uomo che nel precedente conclave aveva enunciato in modo nettissimo un programma pontificale di lotta ideologica al relativismo e che si era candidato a guidare una Chiesa di cui era una personalità importantissima e di cui denunciava storture e debolezze. La sua rinunzia apriva un percorso pieno di strettoie procedurali, di anomalie cerimoniali e di insidie per il primo conclave che, dopo secoli, si apriva non per la morte del pontefice bensì per la rinuncia di un titolare dell’ufficio petrino, che annunciava di voler vivere sì nella preghiera ma in Vaticano.