MONTEVERDE, Rinaldo da
MONTEVERDE, Rinaldo (Rinalduccio) da. – Fu il figlio naturale di Mercenario da Monteverde, signore di Fermo dal 1331 al 1340. Non si conosce l’esatta data di nascita né si dispone di notizie per gran parte della sua vita; le attestazioni documentarie si concentrano infatti sugli anni in cui fu signore di Fermo, dal 1376 al 1379.
Dopo l’uccisione del padre nel 1340, Rinalduccio si allontanò per molti anni dalla sua città per dedicarsi al mestiere delle armi in Lombardia. Qui riuscì a fare carriera e a entrare nell’orbita dei maggiori capitani di ventura al servizio dei Visconti: sposò infatti Villanella (Luchina), una delle figlie del condottiero Luchino Dal Verme. Forte della sua potenza militare, nel dicembre 1375 riuscì a imporre di fatto la propria autorità su Fermo, probabilmente attraverso un’occupazione armata della città. Non sono documentate né le circostanze dirette né la rete di alleanze politiche che gli consentirono il rientro nella città picena, ma si può arguire che il suo colpo di stato manu militari si produsse nella cornice di un più vasto conflitto che coinvolse in quegli anni l’Italia centrale: la guerra degli Otto santi che oppose la Chiesa a una Lega di città (fra cui Firenze, Bologna, Siena, Perugia), capeggiata da Bernabò Visconti. Fu proprio nel dicembre 1375 che gli Otto di Balìa, la magistratura fiorentina preposta alla gestione della guerra, accolsero la candidatura di Monteverde a capitano di ventura al servizio della Repubblica. Questi dovette pertanto approfittare del prestigio derivante dall’incarico per occupare la città di Fermo e indurla a ribellarsi all’autorità della Chiesa, come dimostra la coeva uccisione del podestà Gregorio de Mirte, evidentemente di parte guelfa.
Nel 1376 si registrarono i primi successi militari di Monteverde nella guerra contro la Chiesa. In marzo, alla guida di milizie inglesi e tedesche, condusse, assieme a Bartolomeo Smeducci di San Severino, l’assedio di Ascoli, ultima città della Marca rimasta fedele a papa Gregorio XI, invano difesa dal governatore pontificio Gómez de Albornoz. Qualche mese dopo, Coluccio Salutati, in carica come cancelliere della Repubblica fiorentina, inviò una lettera gratulatoria a Monteverde, compiacendosi per l’esito dell’impresa. Nello stesso anno Monteverde compì varie scorrerie armate nel territorio piceno: prese parte a un assedio di Ripatransone e depredò il territorio di Sant’Elpidio a Mare, provocando guasti.
L’alleanza fra la Repubblica fiorentina e Monteverde si rinsaldò nel 1377: in una missiva del 1° gennaio Coluccio Salutati lo blandì con l’epiteto formulare di «magnificus miles» e «dilectissimus noster» (Arch. di Stato di Firenze, Signori, Missive, I Cancelleria, I, 17, c. 82v), inneggiando alla comune causa della libertas dal giogo ecclesiastico. Non mancarono però episodi di tensione: nel marzo dello stesso anno il cancelliere fiorentino dovette adoperarsi per ricomporre un dissidio insorto fra Monteverde e Boffo da Massa, un capitano di ventura attivo nella Marca meridionale, ammonendo i due condottieri a collaborare a favore della Lega. Monteverde alternò costantemente l’attività mercenaria con reiterate scorrerie nel territorio piceno: nel settembre 1377, di concerto con il condottiero Lucio Wirtinguer di Landau, dilagò entro le mura di Sant’Elpidio, mettendo a ferro a fuoco il castello e perpetrando un efferato saccheggio. Nel novembre dello stesso anno, sempre con Lucio di Landau, pose l’assedio a Macerata, sede della curia rettorale della Marca (l’episodio è descritto nella novella CXXXII de Il trecentonovelle di Franco Sacchetti). L’assedio fallì per l’intervento delle truppe papali guidate da Rodolfo da Varano, ma la battaglia in campo aperto che seguì, combattuta nella piana del castello della Rancia, presso Tolentino, vide la vittoria delle forze ostili alla Chiesa, capeggiate da Monteverde, Lucio di Landau, Bartolomeo Smeducci di San Severino e Francesco Ottoni di Matelica.
A Fermo, formalmente dal dicembre 1376, Monteverde impose un regime monocratico, su cui disponiamo di scarse informazioni, essendo andata interamente distrutta la documentazione d’archivio per questo periodo. Si trattò di un regime autoritario fondato sul conferimento sistematico delle maggiori cariche ai suoi sostenitori e sull’eliminazione fisica degli avversari: la cronaca fermana di Antonio di Niccolò attesta infatti numerose esecuzioni pubbliche, ordinate dal signore. Il cronista descrisse il regime personale di Monteverde come brutale e mise in luce la forte ostilità del popolo fermano nei suoi confronti; un analogo giudizio traspare attraverso la coeva cronachistica romagnola. Fu proprio lo iato sussistente fra il signore e la cittadinanza a fomentare, il 25 agosto 1379, una rivolta popolare a Fermo. Per sfuggire alla minaccia Monteverde, insieme alla moglie e alle milizie a lui fedeli, si asserragliò nella cittadella del Girfalco, che dominava la sommità dell’abitato. Dopo che i Fermani, con l’aiuto armato dei comuni di Ancona, Ascoli, Recanati e di Rodolfo da Varano, riuscirono a espugnare il Girfalco, si diede a una rocambolesca fuga verso le roccaforti dell’entroterra, dove poteva ancora tentare di organizzare la resistenza. Si rifugiò dapprima a Montegiorgio, poi nel cassero di Montefalcone Appennino, dove il 31 maggio 1380, nel corso di un assedio, fu catturato a seguito del tradimento di alcuni uomini prezzolati dal comune di Fermo. Condotto a Fermo, il 2 giugno fu pubblicamente giustiziato, insieme ai suoi due figli maschi, nella piazza di S. Martino, di fronte al popolo in tripudio, in un rituale di festa collettiva narrato nei dettagli dal cronista Antonio di Niccolò.
Alla morte di Monteverde seguì una compiuta damnatio memoriae. Nelle due lettere inviate da Coluccio Salutati al Comune di Fermo nel corso del 1380, il cancelliere fiorentino si congratulò con i Fermani per aver abbattuto il tiranno, ormai caduto in disgrazia a Firenze dopo la fine della guerra degli Otto santi. A Fermo, nella piazza di S. Martino, nel febbraio 1381, vennero collocate le sculture in pietra delle teste del defunto tiranno e dei suoi figli, a perpetua e funesta memoria: un cartiglio posto sulla bocca di Rinaldo recitava: «Tiranno fui pessimo et crudele»; un altro, rivolto idealmente ai figli, recava l’iscrizione in rima: «Sol per mal far, di me e di Luchina/cari miei figli, pateste disciplina» (Cronaca fermana di Antonio di Nicolò, p. 8) . Lo statuto comunale di Fermo del 1383, promulgato dopo la restaurazione delle magistrature popolari, nel cassare tutte le disposizioni ordinate da Monteverde durante il suo regime, lo definì con gli appellativi di «secundus Nero» e «saevissimus tyrannus» (Statuta Firmanorum, rubr. II, 6 e 81); decretò inoltre che il giorno del 2 giugno, a memoria della sua esecuzione, venisse celebrato come festa pubblica e che s. Bartolomeo fosse annoverato fra i protettori della città per averla liberata dall’odiato tiranno (ibid., rubr. III, 5).
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Firenze, Signori, Missive, I Cancelleria, I, reg. 15, cc. 31v, 73v; reg. 17, c. 82v; reg. 18, cc. 32r, 115v-116r, reg. 19, c. 11r; Cronaca malatestiana del secolo XIV (aa. 1295-1385), a cura di A.F. Massera, in Rer. Ital. Script., 2a ed., XV, 2, pp. 48 s.; Cronaca malatestiana di ser Baldo Branchi (a.1474), ibid., p. 170; Annales forolivenses ab origine urbis usque ad annum 1473, a cura di G. Mazzatinti, ibid., XXII, 2, pp. 70 s.; Statuta Firmanorum, Venezia, N. Brenta e A. Bindoni, 1507, rubr. I, 6; II, 6; II 8; II, 81; III, 5; III, 36; A. Theiner, Codex diplomaticus dominii temporalis Sanctae Sedis, Roma 1862, II, p. 601; Cronaca fermana di Antonio di Niccolò notaro e cancelliere della città di Fermo dall’anno 1176 sino all’anno 1447, in Cronache della città di Fermo, a cura di G. De Minicis, Firenze 1870, pp. 6-8; Oddo di Biagio, Cronica de la edificazione et desctructione del cassero anconetano, in L. Bernabei, Croniche anconitane, in Collezione di documenti storici antichi inediti ed editi rari delle città e terre marchigiane, a cura di C. Ciavarini, I, Ancona 1870, p. 117; Lettere di stato di Coluccio Salutati: cancellierato fiorentino (1375-1406): censimento delle fonti e indice degli incipit della tradizione archivistico-documentaria, a cura di A. Nuzzo, Roma 2008, ad ind.; R. De Minicis, Cenni storici e numismatici di Fermo, Roma 1839, pp. 29- 52; G. Fracassetti, Notizie storiche della città di Fermo, Fermo 1841, pp. 31 s.; F.E. Mecchi, R. da Monte Verde signore di Fermo nel secolo XIV, Fermo 1864; R. Foglietti, Conferenze sulla storia medievale dell’attuale territorio maceratese, Torino 1885, pp. 385 s.; A. Ricci, L’assedio di Macerata del 1377, in Il Comune di Macerata. Ricordi della fondazione e dell’assedio del 1377, Macerata 1952, pp. 19-28; Fermo. La città tra Medioevo e Rinascimento, Cinisello Balsamo 1989, ad ind.; S. Virgili, R. da M., tiranno di Fermo (1375-1379), in Quaderni dell’Arch. storico arcivescovile di Fermo, 42 (2006), pp. 101-118; L. Tomei, Il comune a Fermo dalle prime origini fino al Quattrocento, in Istituzioni e statuti comunali nella Marca di Ancona, Dalle origini alla maturità (secoli XI-XVI), a cura di V. Villani, II, 2, Ancona 2007, pp. 451-453; F. Pirani, “Crudelissimo Nerone”: la memoria damnata di R. da M., signore di Fermo († 1380), in Studia picena, LXXVI (2011), pp. 83-110.