AQUINO, Rinaldo d'
Visse nella prima metà dei sec. XIII.
È da escludere che possa essere identificato con il Rinaldo d'Aquino, valletto e falcomere alla corte di Federico II, di cui si trova notizia in una lettera dello stesso Federico ad Alessandro d'Errico, camerario in Basilicata, Capitanata, Terra di Bari e di Otranto datata 12 febbr. 1240. Costui è infatti il fratello di s. Tommaso, fatto uccidere, pare ingiustamente, dallo stesso imperatore. Il nostro, invece, rimatore della scuola siciliana, doveva essere di una generazione precedente, visto che la raccolta vaticana del codice 3793 e le sue corrispondenze poetiche lo pongono come contemporaneo di Iacopo da Lentini, di Ruggieri d'Anuci e dello stesso Federico. E' da escludere anche che possa essere identificato con il Rinaldo d'Aquino che figura fra i signori di Terra di Lavoro ribelli all'imperatore Arrigo VI nel 1197. Rispetto a questo, il nostro Rinaldo dovrebbe appartenere a una generazione successiva. È probabile, quindi, che sia nel giusto il De Bartholomaeis quando identifica il poeta con un Rinaldo d'Aquino nominato nel testamento del cavaliere Roffrido de Monte da San Germano rogato il 7 maggio 1238 e aperto, dopo la morte del cavaliere, l'11 ag. 1242. Nel testamento, trattando dei beni di sua moglie, Roffrido afferma di averle già dato, in acconto sulla sua parte, ventinove once d'oro e che testimoni di ciò sono Filippo d'Aquino e suo fratello Rinaldo. Confermerebbe tale identificazione il fatto che la famosa canzone di Rinaldo e Giammai non mi conforto" allude direttamente all'imperatore (che può esser solo Federico II), a una grande spedizione in Terra Santa (che può essere solo la crociata mancata dello stesso Federico) e a un periodo di pace in Italia (che può riferirsi solo al periodo immediatamente precedente quella crociata). La canzone, quindi, ci porterebbe al 1227.
Indipendentemente da tale identificazione, appare verosimile che l'attività poetica dell'A. si sia sviluppata tra il secondo e il terzo decennio del sec. XIII, contemporaneamente a quella di Iacopo da Lentini e di Pier della Vigna, cioè della prima generazione di poeti siciliani. Sotto il suo nome vanno un sonetto e una dozzina di canzoni, ma di questi componimenti solo una parte è da considerare autentica. Fra le rime certamente sue vi sono, tuttavia, alcune delle liriche più belle dell'antica poesia. A parte il lamento per la crociata che abbiamo ricordato, forse anche troppo famoso (la critica romantica credette di trovarvi un tono e una immediatezza tutta popolare, non valutando quanto di cortigiano e di stilizzato fosse in esso) e tuttavia non privo di fascino e di musicalità, il meglio dell'A. va trovato nella canzone "Amorosa donna fina". Il tema è il solito: l'innamoramento, gli effetti dell'amore, la sua forza. Ma il tema non conta. L'attenzione del poeta è tutta presa dalla rappresentazione visiva del fuoco d'amore: un fuoco irreale che si muove e cresce attraverso tutta la canzone, prima appena accennato ("che l'amor m'infiamma in foco"), poi sempre più dilagante ("quello bascio m'infiammao"), finché tutto il mondo circostante si trasforma in un paesaggio sconfinato, polare ("tutto esto mondo è di nieve"), reso quasi allucinante dal fuoco invisibile, che pur nasce sulla neve e la incendia e si consuma tra il ghiaccio ("e con foco che non pare - che la neve fa 'llumare; - ed incendo tra lo ghiaccio"). Da ricordare anche, come non priva di pregi poetici, la canzone "In amoroso pensare" e soprattutto quella citata da Dante, "Per fin'amore vao sì allegramente".
Bibl.: O. J. Tallgren, Les pofties de Rinaldo d'Aquino (edizione critica), in Mém. de la Soc. Néophilologique de Helsingfors, VI(1917), pp. 175-303 (su questa edizione cfr. L. Spitzer, in Neuphilologische Mitteilungen, XIX[1918], pp. 6-9 e XX [1919], pp. 3 s. e la risposta del Tallgren, ibid., pp. 4-14); F. Torraca, Studi sulla lirica italiana dei Duecento, Bologna 1902, pp. 102-10 e 185-203; G. Bertoni, Il duecento, Milano 1939, p. 104; V. De Bartholomaeis, Ricerche intorno a Rinaldo e Yacopo d'Aquino, in Studi Medievali, n. s., X (1937), pp. 130-67; C. Salinari, La poesia lirica del Duecento, Torino 1951, pp. 140-59; M. Vitale, Poeti della prima scuola, Arona 1951; B. Panvini, La scuola poetica siciliana, Firenze 1957, 1, pp. 19-51; e infine G. Contini. Poeti del Duecento, Milano-Napoli 1961, pp. 111-14.