COSTABILI, Rinaldo
Nacque a Ferrara nella prima metà del sec. XVI, probabilmente nel quarto decennio. Avviato alla pittura, avrebbe infatti studiato, non si sa presso quale maestro, insieme con Bartolomeo di Guido Cancellieri, un pittore la cui famiglia, oriunda di Pistoia si era trasferita a Ferrara nel 1550, e che è noto soltanto per aver dipinto a Parma i ritratti di Ottavio Farnese, Margherita d'Austria e del loro figlio Alessandro. Il C. e Bartolomeo avrebbero in seguito collaborato per opere che però non conosciamo.
La sua prima attività documentata è di "apparatore", in occasione dell'ingresso a Ferrara, il 26 nov. 1559, del nuovo duca Alfonso II.
Un addobbo ricchissimo venne allora predisposto a spese della Comunità: andava dalla porta prospiciente il Belvedere, dove doveva avvenire la consegna dello scettro da parte del "giudice de' savi", sino al duomo, dove la Comunità avrebbe prestato giuramento di obbedienza. L'addobbo consisteva soprattutto di molti archi trionfali configurazioni dipinte, statue e motti, detti "portoni", collocati sul percorso del corteo. Il C. collaborò agli apparati come "depintor", non sappiamo con quali responsabilità; è probabile che comandasse una squadra, ma certo il maggior peso dell'ideazione generale e della direzione dovette spettare ad altri più anziani maestri, che i documenti dicono presenti: Girolamo Bonaccioli, detto Gerolmetto e anche Gabrielletto (uno specialista del genere, come il padre Gabriele, che aveva già lavorato agli apparati per l'ingresso a Ferrara di Paolo III nel 1543), e i quasi illustri Battista Dossi e Camillo Filippi, anch'essi attivi nei precedenti apparati.
L'anno dopo, il C. era di nuovo all'opera come apparatore per l'ingresso a Ferrara della sposa di Alfonso II, Lucrezia de' Medici (27 febbr. 1560).
Anche in questa occasione furono allestiti quattro archi di trionfo "con armi, con battaglie, e con figure di stucco". Il C. collaborò ancora come pittore, avendo accanto Gerolmetto e Domenico da Treviso, nonché un "maestro Galasso, stampator delle figure a finto bronzo, servendosi di lenzuola stracciate, e di ritagli di carta per vestirle" (Cittadella, 1864, p. 220), che è certo il Galasso delle Maschere, che insieme col fratello Baldissero già aveva lavorato coi C. l'anno prima.
Sebbene le fonti non vi accennino, legittimo supporre che il C. abbia collaborato ad altri apparati che furono allestiti ancora in occasione di nozze ducali: nel 1565, per le seconde nozze di Alfonso con Barbara d'Austria, e nel 1579 per l'ingresso della terza moglie, la giovanissima Margherita Gonzaga, per cui furono alzati ben quindici archi.
Nel decennio 1560-70 il C. fu attivo soprattutto nel campo dello spettacolo, che ebbe in quegli anni a Ferrara una splendida e multiforme fioritura. Documentata sicuramente e particolarmente significativa risulta la sua opera di architetto e pittore di scene, collegata con un nuovo fortunato genere teatrale, il dramma pastorale, affermatosi a Ferrara con l'Egle (1545) di G. B. Giraldi Cinzio. Al C. spettano infatti gli "apparati" per la favola pastorale Aretusa di Alberto Lollio, rappresentata nel 1563 nel palazzo di Schifanoia a spese degli studenti di legge, con musiche di Alfonso della Viola, interprete Ludovico Betto.
Si deve probabilmente intendere, trattandosi di spettacoli che erano anche "feste di corte", che il C., oltre che allestire le scene, preparò gli addobbi della sala. Nulla sappiamo del genere di scena montata dal C., ma si può supporre fosse del tipo, ormai ben affermato, della scena "in profondità", con quinte successive e simmetriche, dislocate prospetticamente. L'Ughi (1804) definisce gli scenari del C. "dipinti con molto gusto e intelligenza".
Nel maggio del 1567 il C. avrebbe allestito le scene per una seconda favola pastorale, lo Sfortunato di Agostino Argenti, rappresentata anch'essa al palazzo di Schifanoia, con musiche di Alfonso della Viola, e della cui messinscena "ebbe cura" il celebre G. B. Verato "honore delle scene e specchio dell'Istrioni" (Baruffaldi, 1846, p. 391).
È però da supporre, da quanto afferma il già citato Ughi, che per quest'ultima rappresentazione si sia usata la stessa scena, già allestita dal C. nel 1563 e conservata "in dotazione" al palazzo di Schifanoia per successive recite. La scena infatti era allora ancora scena "tipica", secondo i canoni vitruviani, e non specifica per l'opera.
Il C. fu poi certo attivo, probabilmente con quegli stessi maestri con cui aveva collaborato nei ricordati addobbi trionfali, nell'allestimento di quei ben più complessi spettacoli all'aperto, allora in gran voga a Ferrara, che erano gli "abbattimenti (o tornei) con introduzione", su soggetti cavallereschi o fantastici o allegorici, in cui si fondevano forme drammatiche e cavalleresche e si trovavano combinati insieme recitazione, canto, balletto, pantomima e finti combattimenti.
La messinscena di questi spettacoli, dove accanto ad architetti e pittori non minore importanza avevano gli ingegneri, implicava effetti sorprendenti, di gusto già prebarocco, come apparizioni, metamorfosi miracolose di paesaggi, macchine volanti e natanti e via dicendo. La capitale estense, proprio nel decennio 1560-70, diede del genere alcune delle rappresentazioni più grandiose e celebrate.
Il 15 nov. 1575 il C. risulta pagato per un'ancona collocata nel duomo, che era stata commissionata per testamento da una certa Margherita Gillina (Cittadella, 1864, p. 55). È questo l'unico accenno concreto alla sua attività di pittore di cavalletto, ma l'opera non è stata ancora identificata.
Le fonti parlano anche di una più umile attività artigianale del C. al servizio della Compagnia della morte, per cui dovette allestire arredi funebri, e del Collegio dei condannati (tribunale); da parte di quest'ultimo sono documentati pagamenti nel 1577 per "mitere, et banderuolo per dare in mano ai prigionieri, et in testa a tre scovati [frustati]" (Cittadella, 1864, p. 255).
Il C. morì il 26 luglio 1585 a Ferrara e fu sepolto in S. Maria in Vado.
Come pittore il C. appartiene alla generazione di Bastarolo e Bastianino, ma nulla se ne può dire per la totale mancanza di opere conosciute. Certo in tale attività non dovette particolarmente emergere, e l'Ughi (1804) lo definisce un "bravo dilettante di pittura". La figura del C. ha invece maggior spicco come scenografo e apparatore e in questa veste dovette occupare un posto non del tutto secondario nella grande stagione teatrale di Ferrara sotto il governo di Alfonso II.
Fonti e Bibl.: L. A. Muratori, Delle antichità estensi..., Modena 1717, pp. 388 ss.; G. Baruffaldi, Le vite de' pittori e scultori ferraresi ... [1697-1722], II, Ferrara 1846, pp. 390 s. (cfr. A. Mezzetti-E.Mattaliano, Indice ragionato delle "Vite"... di G. Baruffaldi, I, Ferrara 1980, p. 99); C. Cittadella, Catal. istor. de' pittori e scultori ferraresi, Ferrara 1782, II, p. 205; A. Frizzi, Mem. per la storia di Ferrara, Ferrara 1796, p. 336; L. Ughi, Diz. stor. d. uomini ill. ferraresi..., Ferrara 1804, I, p. 143; L. N. Cittadella, Notizie relative a Ferrara, Ferrara 1864, I, pp. 54 s., 220, 255, 587; II, p. 118; A. Solerti, Ferrara e la corte estense nella seconda metà del sec. XVI, Città di Castello 1900, pp. 87, 90; Encicl. d. Spett., III, col. 1562; V, coll. 179 s. (s. v. Ferrara); U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, VII, p. 535.