Rimini
Nelle Istorie fiorentine la storia basso-medievale di R. si identifica con le vicende dei Malatesta, famiglia attestata nel Montefeltro e in Romagna sin dalla prima metà del 12° sec., poi presente a R. dagli inizi del 13° sec. a capo della fazione guelfa. A Malatesta V detto Malatesta da Verucchio (m. 1312), de facto primo signore di R. dal 1295, succedette il figlio Malatesta detto Malatestino dall’Occhio (m. 1317), che perseguì la politica antighibellina del padre contro l’imperatore Enrico VII di Lussemburgo. Alla sua morte, il governo fu assunto dal fratellastro Pandolfo I (m. 1326) e poi dal figlio Ferrantino (m. 1353), che fu deposto dai cugini – figli di Pandolfo I – Malatesta detto l’Antico o il Guastafamiglia (m. 1364) e Galeotto I (m. 1385). Questi divennero signori di R., Pesaro e Fano per autorizzazione imperiale, concessa a coloro che «nelle terre della Chiesa erano tiranni» (Istorie fiorentine I xxx 2) in risposta alle usurpazioni ammesse e incoraggiate dal pontefice Benedetto XII su suolo imperiale. Nel 1334 i Malatesta riformarono gli statuti del comune di R., trasformandolo anche formalmente in Signoria. Questo scatenò la reazione della Santa Sede, che si concluse nel 1355, quando i due fratelli Malatesta si riconobbero vassalli della Chiesa. L’eredità passò quindi ai quattro figli maschi di Galeotto, Carlo I (m. 1429), Andrea detto Malatesta (m. 1416), Galeotto Novello detto Belfiore (m. 1400) e Pandolfo III detto il Grande (m. 1427) – insigniti nel 1391 da papa Bonifacio IX del titolo di vicari temporali della Santa Sede nei domini di R., Cesena, Fano, Senigallia e altre località minori –, e poi ai figli naturali di Pandolfo III, Sigismondo Pandolfo (m. 1468) e Domenico detto Malatesta Novello (m. 1465), assurti rispettivamente alla signoria di R. e di Cesena.
Abile condottiero, Sigismondo Pandolfo attuò una politica altalenante, caratterizzata da continui cambi di bandiera, che gli costarono la scomunica (1461) da parte di papa Pio II e la perdita, nel 1463, di tutti i domini malatestiani nelle Marche. Dopo la morte di Sigismondo Pandolfo le redini del potere riminese passarono dapprima al figlio naturale Roberto detto il Magnifico (m. 1482), qualificato dallo stesso M. «intra i capitani d’Italia nella guerra eccellentissimo» (Istorie fiorentine VII xxii 3), e in seguito al figlio naturale di questi, Pandolfo IV detto Pandolfaccio, che nel 1482, ancora bambino, fu investito, insieme al fratello Carlo IV, del vicariato malatestiano.
Fin dagli esordi Pandolfo esercitò il potere senza scrupoli, tanto da meritarsi, come detto, l’epiteto di Pandolfaccio; all’interno della città di R. l’opposizione al signore si tradusse nel gennaio del 1497 in un tentativo di congiura, noto come congiura degli Adimari. L’impresa fallì, ma causò la dura rappresaglia di Pandolfo, che ordinò l’uccisione di tutti i cospiratori e fece appendere i loro cadaveri ai merli della rocca.
Nel frattempo, le mire espansionistiche di papa Alessandro VI e del figlio Cesare Borgia, si estesero anche su R., debitrice di censi insoluti alla Camera apostolica: Pandolfo invocò allora l’intervento di Venezia, che saldò parte dei debiti arretrati. Le continue richieste di denaro, tuttavia, indussero la Serenissima a prendere le distanze da Pandolfo, che si vide allora costretto ad alienare numerosi beni precedentemente confiscati ai ribelli.
Come i signori di molti altri potentati italiani, anche Pandolfo si schierò dalla parte del re di Francia Luigi XII, nel tentativo di salvaguardare le proprie terre; nel 1499 recuperò l’appoggio di Venezia contro le mire espansionistiche di Cesare Borgia, che in un primo momento dovettero arrestarsi di fronte alle imponenti misure difensive adottate dal Malatesta. Ma quando Alessandro VI riuscì a staccare Venezia da Pandolfo, questi inviò la moglie Violante Bentivoglio e i figli a Bologna, e si rifugiò nella rocca cittadina. La capitolazione fu repentina, e il 10 ottobre 1500 R. fu consegnata al procuratore di Cesare Borgia, Roberto Pedroni; Pandolfo lasciò la città, ricevendo in cambio denaro, e da qui partì alla volta di Cervia, trovando infine ricetto a Bologna.
La morte di Alessandro VI (agosto 1503) e il declino di Cesare Borgia, tuttavia, favorirono il progressivo rientro dei signori nei loro antichi territori. Lo stesso Pandolfo fece ritorno a R., incontrando l’ostinata resistenza della popolazione: il ripristino della signoria malatestiana su R. assunse così toni non dissimili da una coatta restaurazione. Gli atti di Pandolfo aggravarono la condizione di profonda miseria e abbandono in cui versava lo Stato. Sordo agli appelli della moglie Violante, che lo invitava a una politica più morbida nei confronti dei sudditi e dei fuoriusciti riminesi, il Malatesta respinse ogni proposta di accordo e pacificazione. In vista di un tornaconto personale, cedette lo Stato alla Repubblica di Venezia (16 dic. 1503), come purae et irrevocabilis permutationis, in cambio di denaro, di un appannaggio annuo per i parenti più stretti e di una cospicua condotta militare per sé e per il fratello Carlo. A Pandolfo, inoltre, spettò anche Cittadella, nel Padovano. I due fratelli continuarono a condurre una vita militare molto attiva: combatterono con Venezia contro l’imperatore Massimiliano I d’Asburgo (e Carlo trovò la morte, nel 1508, proprio in battaglia). Pandolfo mantenne, nelle vicende successive, un comportamento ambiguo, alleandosi ora con una parte ora con l’altra, finendo così per essere inviso a tutti.
Nel 1509 il papa Giulio II rientrò nel pieno possesso di Rimini. I Malatesta, tuttavia, non si rassegnarono alla perdita dei loro domini, e dapprima (1513) Troilo, figlio di Roberto, poi (1521) Sigismondo, figlio di Pandolfo, tentarono di recuperarli. A una prima breve restaurazione malatestiana (maggio 1522 - marzo 1523), ne seguì una seconda nel giugno 1527, subito dopo il sacco di Roma. Ma dopo appena un anno, il 17 giugno 1528, i Malatesta dovettero lasciare definitivamente Rimini. All’ingresso delle milizie pontificie in città, Sigismondo si allontanò attraverso la porta di S. Giuliano, mentre iniziava per Pandolfo un penoso esilio, condotto miseramente a Roma, dove morì dieci anni dopo, durante l’inverno 1538-39.
Bibliografia: La signoria di Pandolfo IV Malatesti (1482-1528), a cura di G.L. Masetti Zannini, A. Falcioni, Rimini 2003, pp. 95, 109, 122, 126, 129, 132, 156, 161; A. Falcioni, Malatesta (de Malatestis) Pandolfo, in Dizionario biografico degli Italiani, Istituto della Enciclopedia Italiana, 68° vol., Roma 2007, ad vocem.