riforme e riformismo
La via pacifica al cambiamento e allo sviluppo sociale
Le riforme sono provvedimenti legislativi presi dalle classi dirigenti e dai governi al fine di introdurre trasformazioni atte a favorire lo sviluppo della società. Per riformismo si intende sia il concreto processo delle riforme sia una corrente ideologica che, in opposizione alle tendenze rivoluzionarie e al chiuso conservatorismo, sostiene la positività del metodo pacifico e gradualistico
Il riformismo ha avuto le proprie origini nel Settecento a opera per un verso di intellettuali che nell’età dell’Illuminismo facevano appello alla necessità di regolare la vita degli Stati e della società – sotto la guida dei ‘lumi’ della ragione in contrasto con tradizioni obsolete e opprimenti –, per l’altro di sovrani assolutistici, i quali, sensibili al messaggio di questi intellettuali e perciò definiti ‘illuminati’, operarono per rinnovare le istituzioni al fine di potenziare le basi dei loro Stati.
I principali tra questi furono Federico II di Prussia, Maria Teresa d’Asburgo, i suoi figli Giuseppe II e Pietro Leopoldo, Caterina II di Russia e Carlo III di Borbone re di Napoli e di Spagna. Il loro riformismo, in quanto espressione della volontà dei sovrani, si configurò quale un riformismo ‘dall’alto’, che ebbe come principali campi di applicazione la sottrazione alle Chiese di tutta una serie di compiti di carattere temporale, la limitazione dei privilegi del clero e della nobiltà, l’estensione dei compiti dello Stato in materia educativa, un inizio di emancipazione delle minoranze religiose oppresse, la razionalizzazione fiscale, riforme in materia penale.
Tra gli ultimi decenni del Settecento e la Prima guerra mondiale il mondo occidentale fu dominato dagli effetti del processo di industrializzazione. Le basi delle attività produttive e della loro organizzazione in rapida trasformazione richiedevano nuove risposte da parte delle classi dirigenti e dei governi. Le masse operaie, sotto la guida dei socialisti (socialismo) e dei sindacati, lottavano per migliori condizioni di lavoro, per vedere riconosciuti i propri diritti di organizzarsi, scioperare, partecipare alla vita politica e votare. Dal canto loro datori di lavoro e governi, interessati a impedire che le masse seguissero il verbo dei socialisti rivoluzionari e degli anarchici e quindi a rafforzare l’ordine costituito, furono indotti, superando le resistenze delle forze più conservatrici, a introdurre una serie di riforme. Il riformismo assunse due diversi indirizzi: uno fu quello messo in atto negli Stati parlamentari liberali, l’altro quello degli imperi burocratico-militari.
In Gran Bretagna nel 1824 fu riconosciuta la libertà di associazione, nel 1829 si ebbe l’emancipazione dei cattolici, nel 1832 un’importante riforma elettorale, nel 1833 furono varate leggi per fronteggiare la povertà e fu stabilita la giornata lavorativa di otto ore per i fanciulli, nel 1846 furono aboliti i dazi sul grano, nel 1847 fu fissata la giornata lavorativa di 10 ore per gli adulti, tra gli anni Sessanta e Ottanta furono introdotte nuove riforme elettorali, nel 1871 si giunse al riconoscimento legale dei sindacati (Trade unions), nel 1908 si ebbero misure in campo pensionistico e sanitario, nel 1911 furono limitati i poteri della Camera dei Lord, nel 1918 fu introdotto il suffragio universale maschile e nel 1928 quello femminile.
Quello inglese fu un riformismo tipicamente liberale e parlamentare, laddove un nuovo tipo di riformismo dall’alto fu promosso nella Francia di Napoleone III e nella Germania di Bismarck, dove le riforme ebbero lo scopo di rafforzare le basi conservatrici dello Stato. Nella Francia napoleonica, dove le associazioni dei lavoratori erano soltanto tollerate (i sindacati sarebbero stati legalizzati nel 1884 durante la Terza Repubblica), venne però concesso nel 1864 il diritto di sciopero. Bismarck, deciso a contrastare l’influenza socialista e cattolica tra le masse operaie, gettò le basi di una organica legislazione sociale nel corso degli anni Ottanta, con assicurazioni contro le malattie e gli infortuni sul lavoro, misure per l’invalidità e la vecchiaia.
Anche nell’Italia liberale furono realizzate importanti riforme, tra cui l’introduzione nel 1912 del suffragio quasi universale maschile (cui sarebbe seguito soltanto nel 1946 quello universale anche femminile). Nella Russia zarista l’unica grande riforma, rimasta però senza gli effetti previsti, fu quella attuata nel 1861 da Alessandro II, che decretò l’abolizione della servitù della gleba.
In Gran Bretagna, fin dagli inizi il movimento operaio respinse la prospettiva rivoluzionaria. Non così nell’Europa continentale, dove nei partiti socialisti prevaleva la dottrina marxista (Marx, Karl), secondo cui le riforme erano insufficienti e la loro utilità relativa stava essenzialmente nello spianare la via alla rivoluzione contro il capitalismo. Sennonché negli ultimi decenni dell’Ottocento i partiti e i sindacati socialisti, pur in attesa della rivoluzione, lottavano per le riforme.
Alla fine del secolo il socialista tedesco Eduard Bernstein sottopose a una revisione radicale il marxismo, affermando che i socialisti dovevano abbandonare il mito rivoluzionario e sostenere decisamente la via delle riforme. Le posizioni di Bernstein, aspramente combattute nelle file del socialismo internazionale, furono all’origine di una teoria socialista del riformismo che all’interno del movimento operaio ispirò l’azione non soltanto dei riformisti dichiarati ma, seppure in via di fatto, anche di una parte notevole delle correnti rimaste fedeli al marxismo.
Negli Stati Uniti il riformismo conobbe uno slancio particolare nel ventennio precedente la Prima guerra mondiale durante le presidenze di Theodore Roosevelt e di Thomas Woodrow Wilson, e tra il 1933 e il 1945 quando fu al potere il presidente Franklin Delano Roosevelt. Th. Roosevelt e Wilson introdussero importanti riforme sia attinenti all’amministrazione pubblica sia dirette a riconoscere i diritti dei lavoratori, a promuovere una nuova legislazione sociale, a combattere lo strapotere del capitale monopolistico. Reagendo agli effetti della catastrofica crisi economica del 1929, nel quadro del New deal («nuovo patto») F. D. Roosevelt attuò incisive riforme volte a garantire un sistema organico di tutela delle masse lavoratrici, attribuendo al governo federale un ruolo centrale di intervento nella regolazione degli affari economici e sociali.
Anche in Europa gli effetti della crisi economica scoppiata nel 1929 indussero i governi ad assumere misure riformatrici. Particolarmente incisivo fu il riformismo nei paesi scandinavi, dove i governi socialdemocratici gettarono negli anni Trenta le basi del Welfare State («Stato del benessere»), il cui scopo era di dar luogo a una legislazione in grado di combattere la miseria e di assicurare un’organica rete protettiva agli strati sociali più deboli e ai lavoratori. Dopo la Seconda guerra mondiale il Welfare State trovò le sue maggiori attuazioni per opera dei governi laburisti e socialdemocratici in Gran Bretagna, Svezia e Germania federale.
Il Welfare ha avuto come presupposti un crescente intervento dello Stato e un alto livello di tassazione. Ma negli ultimi tre decenni del Novecento è andata emergendo una forte reazione neoliberista, favorevole al rilancio dell’iniziativa privata e alla drastica riduzione del ruolo economico dello Stato. Questa reazione partita dai governi conservatori in Gran Bretagna e repubblicani negli Stati Uniti, è andata estendendosi a tutto il mondo capitalistico, ricevendo un grande impulso dal crollo del comunismo alla fine degli anni Ottanta.
Le tendenze rivoluzionarie si sono pressoché estinte, assicurando così la piena vittoria del riformismo, quali che siano i contenuti che a esso si diano concretamente.