CASTRAVILLA, Ridolfo
Nato probabilmente entro il secondo quarto del XVI sec., l'autore che si nasconde sotto tale presunto pseudonimo appartenne all'ambiente senese anche se rimase sconosciuto alla maggior parte dei contemporanei che leggevano manoscritto il Discorso di M. Ridolfo Castravilla nel quale si mostra l'imperfettione della "Commedia" di Dante contro al "Dialogo delle lingue" del Varchi, composto a partire dal 1570, anno in cui uscì postuma l'opera del Varchi.
Una lettera di Belisario Bulgarini, scoperta di recente nel suo carteggio, conservato inedito nella Biblioteca comunale di Siena (ms. D VI 8, c. 108), ci fa sapere che lo stesso Bulgarini avrebbe aiutato il C. a correggere il suo opuscolo. Questo documento, per quanto si sa fino ad oggi, rende vane, del resto, le varie ipotesi, talvolta azzardate, formulate nel corso di quattro secoli dagli studiosi che si sono posti il problema dell'identificazione del personaggio che si sarebbe celato sotto il nome del Castravilla. Celso Cittadini e Pier Antonio Serassi, per primi, in epoche diverse, pensarono a Gerolamo Muzio quale possibile autore del Discorso;quindi il Quadrio e il Fontanini facevano il nome di Ortensio Landi; lo Zeno pensava al Bulgarini stesso, infine Mario Rossi, alla fine dell'800, ritenne di avere "smascherato" il C. interpretando una serie di indizi in modo tale da poter dimostrare che l'autore dell'opuscolo contro Dante era Leonardo Salviati. Si tratta invece, verosimilmente, di cognome e nome autentici, anche se per quest'ultimo alcuni codici attestano i nomi di Anselmo, Pandolfo, Giorgio.
Nel 1608 il Bulgarini pubblicò per la prima volta a Siena il Discorso del C. insieme con le sue Annotazioni ovvero chiose marginali sopra la prima parte della difesa fatta da M. Iacopo Mazzoni, per la "Commedia" di D. Alighieri... Aggiuntovi il Discorso di M. Ridolfo Castravilla (il quale Mazzoni, che fu il primo a reagire al C., intervenne poi ripetutamente nell'annosa polemica). Dalla lettura di questa breve operetta è possibile ricavare alcuni elementi utili a delineare la figura di questo misterioso intellettuale del tardo Cinquecento. Intanto è chiaro che la sua formazione culturale di fondo è avvenuta sul testo canonico della poetica aristotelica, al di fuori di quel filone di pensiero municipalistico fiorentino che tanto consenso intorno a Dante aveva saputo organizzare anche nel corso del '500, e al di fuori anche di quell'altro ambiente letterario, sostanzialmente platonico, che di Dante aveva fatto l'esponente di una lingua rozza e disarmonica da contrapporre all'eleganza petrarchesca; Siena dunque può essere, come si è visto prima, il luogo privilegiato per il sorgere di questa e di altre (almeno del Bulgarini) posizioni antidantesche. Non si ha nessun elemento per supporre quale compito svolgesse e quali funzioni ricoprisse il C. in quell'ambiente, ma certamente doveva , avere scarsa propensione alla notorietà, una forte antipatia per il Varchi e per il campanilismo che egli esprimeva nel suo giudizio su Dante, oltre a una certa capacità di distacco, se è vero che seppe assistere allo scontro, anche violento nei toni, da lui suscitato tra gli intellettuali di mezza Italia, restandone semplice spettatore. Certo si può anche affermare che la sua educazione letteraria non fosse eccellente, stando non solo alle dichiarazioni di principio ("non volendomi supponere a regola alcuna di scrittura, o osservazione di questa lingua, della quale non curo di sapere oltre a quello che mi sia sufficiente a fare od esplicare i negozi miei": Discorso, ed. 1897, p. 20), ma anche osservando direttamente la sciatteria dello stile, la mancanza di elaborazione formale della frase, la casuale scelta del linguaggio.
Lo spunto per la composizione del Discorso fu fornito al C. dalla volontà di rispondere all'affermazione del Varchi secondo il quale Dante sarebbe stato superiore ad Omero. Così il C. si attribuisce il compito di dimostrare, in base alle norme aristoteliche, ed applicando arbitrariamente lo strumento del sillogismo, che invece la Commedia non è un poema (dunque non può essere paragonata ai poemi omerici), che se lo fosse non sarebbe un poema eroico, che se fosse un poema eroico sarebbe un brutto poema eroico perché imperfetto nelle parti costitutive fondamentali di quel poema cioè nella favola, nel costume, nel concetto, nell'elocuzione. È chiaro che il C. non fa altro che porsi in termini espliciti uno dei principali quesiti della discussione intorno a Dante del secondo '500, cioè quello che si chiedeva se fosse possibile o no conciliare Dante ed Aristotele. La cosa che più caratterizza questo episodio culturale non sarà tanto la conclusione negativa a cui il C. giunge, quanto il fatto che la polemica accanita, da lui suscitata, non sposterà minimamente i termini della questione. Di qui lo scarso peso storico-critico degli scritti che nacquero dopo il Discorso del C. che, se da una parte condizionarono il giudizio su Dante di tutto il sec. XVII, dall'altra non contribuirono certo in modo notevole ad un reale progresso nella esegesi della poesia della Commedia. Per il C. Dante non è stato capace di imitare una azione ma semplicemente racconta un sogno; egli non ha creato un personaggio che abbia una sua vita autonoma ma ha narrato solo le proprie peregrinazioni: dunque la Commedia manca della favola. Il presunto poema poi non è eroico perché non è imitazione di eroi, alla maniera omerica, come li intendeva Aristotele, ma rispecchia sempre avvenimenti di uomini comuni. È comunque un brutto poema eroico perché l'invenzione non è originale, la favola non è verisimile, difetta di unità, non è drammatica, è troppo breve, è priva di peripezie e di agnizioni, manca dell'elemento meraviglioso, del terribile e dell'edificante (catartico). Il sapere contenuto nel poema è un miscuglio disordinato di nozioni non fatte proprie dall'autore. Inadeguata è, infine, l'elocuzione: limite, a detta del C., universalmente riconosciuto. La conclusione è la seguente: "Alla qual cosa [il giudizio negativo] niuna passione, niuno interesse, niuna affetione mi ha tratto; ma solo l'amor della verità" (ibid., p. 33).
Sulla data di morte del C. naturalmente non si hanno notizie ma è possibile supporre che sia avvenuta prima del 1608 perché il Bulgarini molto probabilmente non avrebbe pensato a pubblicare il Discorso, che l'autore aveva lasciato circolare inedito, mentre viveva il Castravilla.
Dopo l'edizione a cura dei Bulgarini il Discorso è stato ripubbl. a cura di M. Rossi-R. Castravilla-F. Sassetti, I discorsi contro Dante e in difesa di Dante, Città di Castello 1897.
Bibl.: F. S. Quadrio, Della storia e della ragione di ogni poesia, VI, Milano 1749, pp. 259-261; G. Fontanini, Biblioteca dell'eloquenza italiana, con note di A. Zeno, I, Venezia 1735, pp. 340-344; G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, II, 4, Brescia 1763, p. 2286; P. Colomb de Batines, Bibliographia dantesca, I, Prato 1845, pp. 416 ss.; G. Melzi, Dizionario delle opere anonime e pseudonime di scrittori italiani, I, Milano 1848, p. 184; F. L. Polidori, prefazione alle Vite di illustri ital.,in Arch. stor. ital.,s. 2, IV (1853), 2, p. XXXIV; G. Biagi, Giunte ined. allabibliogr. dantesca, Firenze 1888, pp. 146 s.; M. Barbi, Della fortuna di Dante nel sec. XVI, Pisa 1890; M. Rossi, prefazione all'ed. cit.; Id., Il C. smascherato, in Giorn. dantesco, V (1898), pp. 1-18; C. Trabalza, La critica letter.,II, Milano 1915, p. 198; E. Bonora, Il classic. dal Bembo alGuarini, in E. Cecchi-N. Sapegno, St. della letter. ital.,IV, Milano 1966, pp. 615-26; A. Vallone, Aspetti dell'esegesi dantesca...,Lecce 1966, pp. 61-73 e passim;N. Carducci, R. C., in Enc. dantesca, I, Roma 1970, p. 870; F. Agostini, B. Bulgarini, in Diz. biogr. d. Ital., XV, Roma 1972, pp. 40-43; B. Weinberg, A hist. of liter. criticism in the ital. renaiss.,II, Chicago 1961, adInd.