CAMPEGGI, Ridolfo
Nacque a Bologna nel 1565 dal conte Baldassarre e da Livia Martinenghi di origine bresciana. Si hanno scarse notizie per quel che riguarda la sua giovinezza, gli studi e la preparazione culturale. Dovè comunque seguire in città buoni maestri di grammatica e di retorica, poiché tale è la cultura che dimostra di possedere nel campo delle letterature classiche e in quello della poesia in volgare. Fu in Bologna accademico dei Gelati col nome di Rugginoso e fu censore dell'accademia nel 1598 e nel 1614. Fu anche aggregato all'Accademia degli Incogniti di Venezia e a quella degli Umoristi di Roma, allorché la sua fama di scrittore, soprattutto di poeta marinista, si diffuse dalla città natale ad altri centri. In data non precisabile, ma sicuramente in giovane età, sposò la nobile Pentesilea Cattanei, dalla quale non ebbe figli. Sembra che si sia interessato, oltre che di letteratura e di filosofia, secondo la generica accezione seicentesca del termine, anche di diritto, coltivando pure quella scienza cavalleresca che costituiva ancora il patrimonio culturale di certa vecchia nobiltà di origine feudale e che accreditò il C. a dirimere questioni e controversie sorte fra i suoi contemporanei su questo terreno. Partecipò inoltre alla vita pubblica cittadina ricoprendo magistrature minori, cui egli adempì, a ricordo dei coetanei, con dignità e zelo.
Morì il 28 giugno 1624 e fu sepolto nella chiesa bolognese dell'Annunziata.
Vasta e significativamente articolata nei generi letterari più in voga dell'epoca fu la sua produzione. Esordì pubblicando a Bologna nel 1605 una favola pastorale, IlFilarmondo, il cui successo dové essere notevole dal momento che di essa si tirarono cinque stampe in poco più di due anni, l'ultima delle quali (Bologna 1608) annovera anche L'Aurora disingannata, una favola pastorale destinata a diventare materia di "intermedi" musicali. Ancora la critica arcadica del Quadrio e del Crescimbeni lodava l'invenzione dello scrittore bolognese e il suo apporto positivo al genere più acclamato del teatro tardo rinascimentale, lamentando soltanto qualche eccessivo preziosismo nell'elocuzione e una certa arditezza nei concetti. Seguì una tragedia per musica, Andromeda, pubblicata a Bologna nel 1610 e, con musica di Girolamo Giacobbi, sontuosamente rappresentata nella sala del podestà di Bologna il 23 febbraio dello stesso anno, in occasione del carnevale. Il Tancredi è invece un testo tragico destinato alla recitazione: dedicata al cardinale Scipione Borghese e pubblicata a Bologna nel 1614, l'opera venne rappresentata al teatro dell'Accademia dei Gelati nel 1615 e il resoconto della sfarzosa messa in scena, dovuta a Paolo Antonio Ambrosi, fu stampato nello stesso anno a Bologna in un libretto a parte. L'opera deriva la trama dalla celebre novella del Decameròn che non dispiacque ad altri drammaturghi dell'età barocca. Con il Reno sacrificante (Bologna 1617) il C. tornò al fortunato genere del dramma per musica, ma è opera sciatta e dilettantesca, laddove appare frutto di una maggiore responsabilità letteraria il poema Le lacrime di Maria Vergine, pubblicato a Bologna nel 1619 in "sedici pianti" secondo la tradizione del genere che risaliva nel Cinquecento ai modelli del Tansillo e di Erasmo di Valvasson. L'impegno letterario traspare anche dalla veste con cui venne presentato il poema, preceduto com'è nell'edizione da un "Parere" di Melchiorre Zoppio, da un "Discorso" di Girolamo Preti, da un elogio dell'autore e da varie poesie encomiastiche dovute alla penna di scrittori contemporanei. Del resto il C. aveva provveduto nel 1609, a fornire un'anticipazione dell'intero poema pubblicando Quattro pianti delle Lagrime di Maria Vergine, e l'opera nella forma definitiva sarà ristampata ancora a Bologna nel 1615 e nel 1643: sicura testimonianza di un successo di cui ancora si rendeva interprete, a oltre un secolo di distanza, il Crescimbeni.
L'opera che rappresenta al massimo grado la cultura letteraria del C. e insieme i suoi limiti artistici è la raccolta di Poesie che, divisa in due parti, fu pubblicata a Bologna nel 1620. La prima parte delle liriche contiene sonetti, canzoni, ottave, sestine, madrigali, odi, e nella varietà dei metri contempla la possibilità di una ispirazione varia e mutevole, oscillante da una tentazione idillico-descrittiva, che costituisce il settore meglio individuabile della raccolta e quello sicuramente più congeniale al C., a una disposizione sentimentale di schietta impronta marinistica; da un impegno descrittivo, che si rende particolarmente manifesto nella serie di ottave, al pronunciato autobiografismo, a volte satirico e scollacciato, delle terze rime. Anche per questa parte delle liriche l'autore aveva provveduto, come per le Lacrime, a una sapiente anticipazione di estratti poetici pubblicando nel 1609 un primo nucleo di Rime. Della seconda sezione delle Poesie fanno parte i drammi musicali già menzionati nonché alcuni idilli editi precedentemente dal bolognese nella raccolta intitolata Gli Idilli di diversi ingegni illustri del secol nostro nuovamente raccolti da Giovan Battista Biccelli, insieme aggiuntivi alcuni non più veduti, Milano 1718.
Bisogna infine ricordare, a completamento dell'attività lirica del C., L'Italia consolata. Epitalamio per le regali nozze di Vittorio Amedeo principe di Piemonte e di Cristina di Francia, sorella di Luigi XIII, pubblicato in edizione separata a Bologna nel 1619, nonché tre liriche che si leggono nella Raccolta di sonetti di autori diversi di Giacomo Guiaccimani da Ravenna, Ravenna 1621. Si tratta nel complesso di una produzione che non esorbita dai consueti canoni della poesia di tradizione marinistica e che anzi offre, su questa base, un'ulteriore testimonianza delle possibilità pressoché illimitate con cui tale retorica poteva invadere i campi di una ispirazione elegiaca e celebrativa, drammatica, pastorale e comico-descrittiva.
Si segnalano ancora del C.: La Nave. Panegirico per la sanità di N.S. papa Gregorio XV, Bologna 1621, e La distruzione di Gerusalemme, poemetto in ottave stampato postumo a Bologna nel 1628. Vero è che queste residue offerte liriche poco aggiungono a quanto l'autore era venuto esprimendo nella raccolta di Poesie del '20, la quale può dunque considerarsi come il più autentico contributo che il C. abbia dato a quella diffusione della lirica concettistica che concludeva, e in qualche modo esauriva, l'esperienza poetica del Rinascimento. Ai modelli del Tasso, del Guarini, del Tansillo e naturalmente del Boccaccio, filtrati attraverso il gusto "tragico" proprio del primo Seicento, lo scrittore bolognese si riconduce con una limitatezza di fini che tradisce, a parte il rigoglio delle forme, un orizzonte di cultura provinciale, e in questa ristrettezza di prospettiva, di ambizioni estetiche, la sua produzione documenta la sclerosi che mina in Italia tutta la cultura letteraria entrata in crisi dopo la morte del Tasso.
Bibl.: Memorie, imprese e ritratti dei signori Accademici Gelati di Bologna, Bologna 1672, pp. 373 ss.; G. Crescimbeni, Commentari della volgar poesia, II, Venezia 1730, pp. 283 ss.; F. S. Quadrio, Dell'istoria e ragione di ogni poesia, III, Milano 1742, p. 389 e passim; G. Fantuzzi Notizie degli scrittori bolognesi, III, Bologna 1783, pp. 62 ss.; A. Belloni, Il Seicento, Milano s.d. ad Indicem; C. Iannaco, IlSeicento, Milano 1963, ad Indicem; C. Varese, Teatro, prosa, poesia, Il Seicento, in Storia della lett. ital., a cura di E. Cecchi-N. Sapegno, V, Milano 1967, p. 550.