RICHARD
– La famiglia Richard, ugonotta e di conseguenza riparata dalla Francia in Svizzera dopo la revoca dell’editto di Nantes (1685), partecipò alle migrazioni imprenditoriali legate alla porcellana spostandosi da Nyon a Carouge, poi a Torino e infine nella Milano austriaca. La vicenda imprenditoriale di questa famiglia accompagnò così la trasformazione di un settore produttivo dall’alchimia settecentesca fino alla produzione in serie per un mercato di massa, dalle piccole manifatture artistiche e artigianali ai grandi impianti e alle concentrazioni industriali, dalle imprese familiari alle società per azioni.
Jacques-Francǫise-Louis-Étienne (nato a Nyon nel 1787 da Jean-François) sposò il 26 febbraio 1809 a Céligny Nanette Duvillard. Dal loro matrimonio nacquero Benjamin-Louis (1809-1863), Jeanne-Antoinette-Marthe (1811-1880, coniugata con Pierre-Henry Moreillon, 1790-1874) e Jules Richard (Giulio, nato a Nyon, nel Canton Vaud, in Svizzera il 9 ottobre 1812).
A Nyon i Richard iniziarono a interessarsi alla produzione della porcellana, intessendo relazioni d’affari con la famiglia Dortu, anch’essa di origine ugonotta. Jacob Dortu, infatti, fu fra gli ultimi arcanisti europei: lui aveva portato la ricetta dell’oro bianco dalla manifattura berlinese di Federico II a Marsiglia, a Marieberg, in Svezia, e infine a Nyon, dove si stabilì nel 1781.
Con l’impresa di Nyon ci troviamo di fronte, come fu poi per quelle dei Richard, a un’iniziativa privata in un settore che fino ad allora, per gli elevatissimi costi e il mercato ristretto, era dominato da manifatture di corte. Difficilmente tali imprese, almeno fino alla metà dell’Ottocento, riuscirono a prosperare a lungo, pur producendo servizi e pezzi apprezzabili per la qualità artistica della fattura. Lo sconquasso che l’epoca napoleonica portò a tutte le regolamentazioni economiche, in particolare alle misure protezionistiche e quindi ai flussi di commercio europei, sicuramente non rese più semplice la vita dei mercanti manifattori, particolarmente svizzeri.
Come molti altri imprenditori svizzeri e tedeschi, Dortu decise di delocalizzare la produzione per aggirare il blocco continentale. Si trasferì così nella cittadina di Carouge, sulle sponde del fiume Arve, nelle immediate vicinanze di Ginevra. Lì prese in affitto la manifattura Herpin, diretta, fin dal 1803, dall’erede della rinomata faïencerie Baylon di Nyon. L’interesse per la piccola cittadina di Carouge derivava dall’annessione all’impero di Francia seguita alle vicende napoleoniche. Jacques-François Richard accompagnò Dortu da Nyon a Carouge come direttore amministrativo della nuova manifattura. Di lì a poco, però, la fine dell’impero napoleonico prima, con la conseguente annessione di Carouge al cantone di Ginevra, e la morte del decano Jacob Dortu, avvenuta nel 1819, convinsero i giovani impegnati nell’impresa, Henri Veret e i coetanei Frédéric-Louis Dortu e Jacques-François Richard, a cercare un altro luogo protetto per continuare la propria attività imprenditoriale. Lo trovarono facilmente nel Piemonte savoiardo con cui avevano da sempre rapporti commerciali, rafforzatisi dopo l’immigrazione a Carouge, città dei Savoia fino al 1792. Fu proprio Othon-Laurent-François de Pougny de Guillet barone di Monthoux a sollecitare l’iniziativa, proponendosi non solo come tramite con la corte sabauda, ma anche come azionista della nuova società. La supplica al re di Sardegna venne dunque presentata nel marzo del 1823.
Le richieste dei futuri gerenti della società non lasciavano dubbi sul potere contrattuale che essi avevano nei confronti del governo piemontese. Riguardavano soprattutto la possibilità di importare le materie prime, le macchine, gli utensili e finanche i mobili e gli effetti personali necessari agli operai della manifattura in esenzione ai dazi correnti. Inoltre, si auspicava un aumento dei dazi sull’importazione di vasellame di terra da pipe e, di converso, la concessione di facilitazioni per l’esportazione dei propri prodotti. Naturalmente la manifattura avrebbe dovuto avere il titolo di Fabbrica regia e con esso la privativa per la produzione di maioliche fini per dieci anni in tutto lo Stato.
Nel giro di un anno, il 9 marzo 1824, le Regie Patenti vennero emanate e il 21 luglio venne formata la nuova società in accomandita Dortu, Richard & Prelaz. Gerenti erano Frédéric-Louis Dortu, Jacques-François Richard e César Prelaz, commerciante di Nyon. Il capitale assommava a 122.000 lire, diviso in 122 azioni. Di queste, Veret e Monthoux ne possedevano 20 ciascuno, mentre le restanti erano di proprietà di ditte ginevrine. Come sede della manifattura venne scelta la vecchia manifattura di ceramiche Giacinto Rossetti sullo Chemin de la Vigne de la Reine, oltre il ponte Borgo Po a Torino.
Nonostante i soci gerenti avessero fatto richiesta, e ottenuto, di estendere il loro privilegio anche alla porcellana, i prodotti sfornati dalla manifattura furono prevalentemente in terra di pipe. Così risulta dal tariffario di prezzi fornito nel 1825 da Dortu, Richard & Prelaz al Consolato per il Commercio per dimostrare la propria competitività rispetto ai prezzi della manifattura Baylon di Carouge. Tra i pezzi presentati nel marzo del 1827 alla Reale Accademia delle Scienze di Torino, presupposto anche questo per il mantenimento dei privilegi concessi, figuravano, tuttavia, anche alcune tazzine in porcellana, bianche e decorate.
La ditta ebbe vita travagliata nella sua compagine sociale. Nel 1829 César Prelaz, che non si era mai trasferito a Torino, lasciava la gerenza al barone Monthoux, non senza scambi di accuse reciproche e il commissariamento temporaneo della ditta. Nel 1834 si ebbe un’ulteriore variazione societaria: a Jacques-François Richard subentrò il figlio primogenito Benjamin-Louis (Luigi). Nello stesso anno la ditta si impegnò ad acquistare la manifattura, fino ad allora in affitto, e i connessi mulini a Vadocco. A tal fine i due gerenti rimasti, Benjamin-Louis Richard e Dortu si associarono con Antoine Seippel del Canton Vaud. Nel 1846, infine, la società, che aveva ragione sociale Dortu, Richard & C. (ma le maioliche erano comunque marchiate alla francese come Dortu Richard et Cie, accompagnate da un’ancora), si sciolse, per ricostituirsi il 19 giugno 1846 come Luigi Richard & C. Quasi sessantenne, Dortu si ritirava dalla ditta, lasciando i suoi ‘segreti‘ a Luigi Richard in cambio di una pensione. Infine, dopo mezzo secolo e un passaggio generazionale, la famiglia Richard aveva raggiunto l’obiettivo di gestire in proprio un’azienda di produzione di ceramiche. Nonostante la ragione sociale rimanesse invariata fino al 1867, tuttavia, dell’attività del primogenito di Jacques-François presto si perdono le tracce, mentre a gestire la manifattura furono gli eredi del suo socio capitalista e proprietario del deposito torinese Carlo Imoda. Nel 1863 Benjamin-Louis Richard morì e i forni della manifattura sulla strada di Villa della Regina furono spenti. La ditta continuò solo l’attività di commercializzazione delle merci precedentemente prodotte.
Il secondogenito di Jacques-François, Jules-François (Giulio), alla ricerca di una propria strada autonoma rispetto al fratello maggiore, si decise per il Lombardo-Veneto, dove Carlo Tinelli aveva grosse difficoltà a gestire la manifattura di porcellane del fratello Luigi, costretto all’esilio dalle sue attività cospiratorie e patriottiche. Giulio si propose a Tinelli quale socio gerente già nel 1840. Alla costituzione della nuova società in accomandita, però, si arrivò solo due anni più tardi. La Giulio Richard & C. vide la luce il 23 maggio 1842 con rogito del notaio Alberti. Gerenti risultavano Giulio Richard e il banchiere torinese Vittorio de Fernex, mentre il capitale di 300.000 lire era suddiviso tra i vecchi proprietari dello stabilimento di S. Cristoforo, Carlo Tinelli, l’avvocato Roveda e il marchese Visconti d’Aragona, i gerenti e altri soci torinesi e milanesi. Presto de Fernex si ritirò dalla gerenza, lasciando Giulio Richard a gestire da solo la nuova impresa.
Grazie all’impegno di Giulio lo stabilimento di S. Cristoforo si trasformò in uno dei centri all’avanguardia della Milano manifatturiera di metà secolo. In lotta contro le ristrettezze del mercato lombardo, la mancanza delle materie prime, prima di tutto caolino e carbone, la scarsa qualificazione della manodopera e la necessità di importare dall’estero tecnici specializzati, Richard operò continue innovazioni tecnologiche, organizzative e commerciali. Alla porcellana prodotta da Tinelli affiancò subito quella che era la specialità della sua famiglia: la ‘terraglia dura’ alla maniera inglese che garantiva uno smercio molto più ampio. Per sopperire al costosissimo carbone inventò un forno di cottura alimentato con la torba che estraeva dai possedimenti dello stesso Tinelli. Nel 1856 la Società di incoraggiamento di arti e mestieri premiò il nuovo procedimento di cottura con una medaglia d’argento, dopo aver insignito già della medaglia d’oro i prodotti della manifattura negli anni 1845, 1847 e 1855. All’Esposizione internazionale di Bruxelles del 1856 Richard meritò una menzione speciale per il procedimento di sua invenzione atto a trasformare la torba in carbone e allo stesso tempo produrre un gas che poteva essere utilizzato per l’illuminazione. Grazie a questo continuo sforzo di innovazione tecnologica, Richard fu invitato a far parte delle giurie delle esposizioni internazionali di Parigi del 1855, di Londra del 1862 e di Vienna del 1873. Da ricordare come egli fosse anche riuscito ad ampliare il mercato dei prodotti in porcellana verso usi industriali, nel tradizionale e ricchissimo settore lombardo della seta con le nuove tavelle e i ganci a uso della trattura, ma anche in settori innovativi come la telegrafia e l’elettricità. Le maggiori testate milanesi, a partire dall’Eco della Borsa agli Annali Universali, lodarono la gestione Richard in numerosi articoli, additando l’imprenditore a esempio per l’intero ceto imprenditoriale lombardo e italiano. Egli stesso nel 1863 scrisse un articolo, per il Politecnico di Carlo Cattaneo, in cui analizzava il settore della ceramica, individuandone le direttrici di sviluppo in un continuo confronto costruttivo con la più avanzata produzione inglese. Nel 1873, rispondendo ai quesiti dell’inchiesta industriale, pur continuando a chiedere al governo italiano una protezione congrua rispetto ai prodotti inglesi, francesi e tedeschi, Richard ribadiva ancora come la concorrenzialità dei suoi prodotti dovesse derivare da un continuo sforzo di innovazione scientifica e dalla qualità artistica, mentre i salari, pur alti, riteneva dovessero aumentare ancora. La giusta risposta alla concorrenza, dunque, non era, per lui, da ricercarsi in un abbassamento delle condizioni di vita e di lavoro degli operai, quanto piuttosto nella tecnologia e nella bellezza dei prodotti.
Non minore di quello in favore dell’innovazione fu dunque l’impegno di Richard nei confronti dei suoi dipendenti. La manodopera di S. Cristoforo dai 120 operai del 1842 passava, nel 1847, a 250. Secondo i dettami di una gestione paternalistica, Richard fondò una società di mutuo soccorso, una scuola e un asilo che beneficarono l’intero sobborgo di S. Cristoforo. Quando scoppiarono i moti del 1848 Richard venne eletto a capo della milizia civica dei ‘corpi santi’ di Milano, ma ciò nonostante tenne aperta la manifattura perché vi potessero continuare a lavorare e trovare sostentamento gli operai più anziani e i ragazzi più giovani. Nel 1859 i dipendenti erano aumentati ancora arrivando a 350. Richard aveva, infatti, deciso di affrontare le difficoltà del periodo di transizione tra il 1848 e l’Unità d’Italia triplicando la produzione per poter diminuire i prezzi in maniera rilevante. Nel frattempo, alla società di mutuo soccorso si erano aggiunti un magazzino cooperativo e un corpo musicale, mentre agli operai venivano offerti nuovi alloggi dotati di forno e cucina comune. Per la formazione tecnica dei lavoratori specializzati, Richard aprì una scuola di disegno e una per modellatori. Nel 1867 ai 500 operai circa di S. Cristoforo corrispondeva un monte salari annuo di 152.000 lire. Le ore di lavoro erano dieci al giorno per gli artisti e dieci e mezzo per i giornalieri, con una paga che variava da un massimo di 8 lire al giorno per i più qualificati ai 35 centesimi dei fanciulli. «Il cav. Richard appartiene a que’ benemeriti fabbricanti – vantava il resoconto dell’Esposizione universale parigina – che il progresso dell’arte e l’utile personale non sanno concepire disgiunti dai miglioramenti fisici, economici, morali ed intellettuali de’ loro operai, cioè del popolo» (L’Italia all’Esposizione Universale di Parigi nel 1867, Firenze 1868, p. 83).
Tanta dedizione non poteva non riscuotere successo nell’improvviso allargamento del mercato interno seguito all’unificazione. S. Cristoforo fu una di quelle manifatture che più seppe giovarsi del cadere delle barriere doganali interne, andando a soddisfare una buona parte della domanda nazionale del nuovo Stato italiano. Nel 1870 Giulio Richard fu in grado di acquisire tutte le quote della sua impresa, divenendone unico proprietario. Trasformare un’accomandita in impresa familiare era punto di arrivo per ogni storia imprenditoriale sette-ottocentesca.
Fu grande merito di Giulio Richard capire come questa visione fosse oramai sorpassata dall’avanzare del nuovo capitalismo finanziario, perfino in un Paese economicamente arretrato come l’Italia di allora. Nel 1873 accettò dunque di trasformare la sua impresa in società per azioni, incorporando gli stabilimenti Picozzi localizzati a Sovere e Palosco, tra Bergamo e il lago d’Iseo. L’‘istromento pubblico’ venne rogato dal notaio Allocchio il 23 febbraio 1873. Cesare Picozzi divenne direttore generale della Società Ceramica Richard, mentre Richard stesso assumeva la carica di presidente. Il capitale sociale di otto milioni di lire fu sottoscritto dal cerchio parentale di Richard, ma anche dalle più importanti ditte bancarie e mercantili milanesi. Giulio sottoscriveva in proprio 4405 azioni, il genero Federico Mylius 2000 in proprio e 7425 tramite la Banca Industriale e Commerciale di Milano da lui promossa e fondata. La famiglia Cantoni sottoscriveva tramite la propria ditta, Angelo Cantoni, 1400 azioni e altre 1300 tramite l’anonima, appena fondata, Società di Commercio, Importazione ed Esportazione. Cesare Picozzi, per parte sua, sottoscriveva 1500 azioni. Altre partecipazioni spettarono a Carlo Sessa, Girolamo Chizzolini, Vincenzo Strambio, Giulio Merali, Giuseppe Savio, Eugenio Colorni, Leon David Levi, Pietro Marietti, Pier Giulio Armani, Enea Torelli, Samuele Segre, Cesare Finzi e Manfredo Camperio. Ulteriori sottoscrizioni furono quelle del conte Apollinare Rocca Saporiti e delle ditte Pozzi, Greppi e Compagni, Appiani Giuseppe, Horvazich e fratelli Gondrand. In questo senso la Società Ceramica Richard rappresentò un esempio tipico di quella prima ondata di anonime che l’élite mercantile milanese espresse tra il 1872 e il 1873, abbracciando per la prima volta una forma sociale che fino ad allora era stata, per sue proprie caratteristiche e per il contesto normativo, limitata per lo più a iniziative benefiche e al settore assicurativo. Una scelta che per Richard si sarebbe dimostrata vincente, permettendo, con i capitali effettivamente versati, quasi quattro milioni suddivisi in 25.600 azioni di 150 lire l’una, di aumentare e meccanizzare la produzione e procedere a un’oculata strategia di acquisizioni.
Morì a Milano il 2 aprile 1886, lasciando una numerosa progenie. Con la moglie Eugénie-Esther de Véjux Châtelain di Grenoble (1832-1901) aveva avuto dieci figli: Anne-Marie-Françoise Henriette (1851, coniugata Fréderic Henry Mylius 1838-1891); Louise Emilie (1854, coniugata il 31 ottobre 1874 con Stephen von Planta); Jules-August-Henri (1856); Leonie-Ierta-Louise-Marie (1862); Emile-François-Eugène (1858); Matilde-Antoinette-Jeanne-Henriette (1864, coniugata al barone Giovanni Napoleone di Prato, 1854-1899); Marie-Eugénie (1865); Giulio-François-Eugène-Octave (1867); Frédéric-George-Charles-Louis-Adrien Florent (1868); Albert-Riccardo-Pascal-Decimo (1870-1880).
Proprio a loro, nel suo testamento ricordava «che tutta la mia vita fu consacrata al lavoro e allo sviluppo della mia industria, sempre con lo scopo di offrire lavoro ed onesto guadagno al maggior numero di persone secondo i miei mezzi» (Martignone, 2001, p. 179).
Nell’impresa gli succedette il figlio terzogenito Jules-August (Augusto), nato nei corpi santi di Milano il 29 agosto 1856. Appena ventitreenne Augusto aveva assunto la direzione tecnica della Società Ceramica, divenendone l’ispiratore sia sul piano tecnico sia organizzativo. Solo due anni dopo, nel 1881, Giuseppe Colombo, scrivendo delle industrie milanesi, non poteva che lodare gli impianti di S. Cristoforo, in grado di sfornare, oramai, otto milioni di pezzi all’anno. La carriera di Augusto proseguì lineare: nel 1887 ottenne la procura generale per gli affari ordinari, nel 1888 fu nominato vicedirettore della società e nel 1896 ne assunse la direzione generale. Sotto la sua guida l’impresa conobbe un ventennio di apparente, inarrestabile, espansione. Nel 1887 la Società Ceramica acquisì la manifattura di S. Michele di Pisa di proprietà della famiglia Palme, nel 1896 lo stabilimento di Sesto Fiorentino del marchese Carlo Benedetto Ginori e nel 1897 la manifattura Musso di Mondovì. Anche la fabbrica di S. Cristoforo fu notevolmente ampliata nel 1895, aggiungendo ai circa 23.000 metri quadri originari un nuovo lotto di terreni di 95.590 metri quadri. Tanta era la distanza tra i diversi reparti che si rese necessaria una ferrovia Decauville in miniatura per spostare materiali e pezzi da uno all’altro. All’interno dei reparti, invece, operava un nastro di scorrimento sospeso. La produzione, alla fine della gestione Richard, comprendeva i prodotti più disparati, in porcellana e maiolica: dai classici servizi da tavola all’oggettistica per la casa, piastrelle, sanitari e prodotti per l’industria. Tra le tecniche utilizzate per la decorazione: l’incisione, la cromolitografia, lo stampo. La direzione artistica fu demandata da Augusto Richard a Luigi Tazzini, che introdusse tutte le nuove cifre stilistiche provenienti dall’Europa: prima l’art nouveau, poi, al passaggio del secolo, le tentazioni secessioniste viennesi. Grazie anche alla successiva direzione artistica di Gio Ponti, tra gli anni Venti e Trenta, nel campo delle ceramiche artistiche l’impresa si mantenne costantemente sulla frontiera innovativa.
La società Ceramica Richard, che all’atto dell’incorporazione Ginori assunse la denominazione Società Richard-Ginori, al 1911 impiegava 1500 persone e aveva un capitale di dieci milioni di lire. Non solo era la prima industria ceramica italiana, ma concorreva alla pari con le maggiori imprese europee del settore. Augusto Richard la diresse fino alla sua scomparsa, avvenuta a Milano l’8 novembre 1930, persistendo lungo le linee di indirizzo paterne: innovazione tecnologica, qualità artistica ed espansione della capacità produttiva e dei mercati di riferimento. Il fatto di aver scelto la forma sociale della società per azioni, tuttavia, pur avendo permesso la straordinaria crescita dell’impresa, impedì alla famiglia Richard di mantenerne il controllo.
Augusto aveva avuto dalla consorte Emma Clara Schniewind di Elberfeld (1865-1926) tre figli: Eugénie-Emilie-Henriette-Anna (1897, coniugata Max Karl Eduard Andreae), Augusta Clara Giulia-Léonie (1899) e Albert-Adolphe-Auguste-Giulio (1902). Dopo Augusto, però, nessun membro della famiglia fu più amministratore delegato della società e l’impresa seguì un cammino autonomo, deciso dai suoi azionisti.
Fonti e Bibl.: Documentazione sui Richard si trova in Archivio di Stato di Torino, Prima Sezione, Commercio; Milano, Archivio storico civico, Anagrafe; Archivio storico della Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura, Registro Ditte, ad nomen; Archivio dell’Ufficio del Registro Successioni; Archivio della Comunità protestante; Doccia, Archivio storico Richard Ginori e Manifattura; Lausanne, Archives Cantonales Vaudoises.
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