Hare, Richard Mervyn
Filosofo inglese (Blackwell 1919 - Ewelme, Oxfordshire, 2002). Fu prof. di filosofia (dal 1947) e poi di filosofia morale (1966-83) all’univ. di Oxford, dal 1983 docente all’univ. della Florida. H. si è dedicato all’analisi dell’uso del linguaggio ordinario e, in particolar modo, delle espressioni morali e dei termini del discorso etico. Identificando i giudizi etici con prescrizioni universalizzabili, ha indicato una terza via rispetto allo scetticismo morale degli emotivisti e all’ottimismo degli utilitaristi. In contrasto con il naturalismo etico, H. sostiene, da una parte, che i giudizi morali non scaturiscono da premesse unicamente descrittive, e, dall’altra parte, che essi non condizionano o determinano l’assunzione di atteggiamenti o il compimento di determinate azioni, né esprimono emozioni o sentimenti. Riferendosi ai comportamenti, i giudizi morali si configurano come giudizi prescrittivi, volti a guidare scelte e decisioni. In tal senso, essi trovano il loro fondamento di validità nella libertà di volere propria dell’uomo, per cui si è liberi di scegliere un principio morale, ma, una volta scelto, si è vincolati ad accettarne le conseguenze. Queste ultime vengono dedotte e sviluppate dal ragionamento morale, attraverso il quale si intende giustificare in modo razionale e scientifico i principi e le regole morali. Da un punto di vista puramente formale, la caratteristica dei giudizi morali prescrittivi è l’«universabilità», ossia la loro validità per tutti; formulare un giudizio morale, sottolinea H., implica pertanto impegnarsi a riconoscerne la validità non soltanto per colui che lo formula e lo sceglie, ma per tutti senza eccezioni. Nel compiere un’azione, sostiene dunque H., si segue la deduzione propria dei sillogismi di tipo aristotelico, nella quale, da due premesse, delle quali l’una maggiore, costituita dal principio etico, e l’altra minore, identificata con l’affermazione dell’azione che si deve compiere, scaturisce una decisione di principio, ossia un giudizio, che si pone già come un giudizio di valore e presenta termini valutativi. I principi fondano dunque la loro validità sulle decisioni di principio e vengono giustificati attraverso la deduzione di tutte le conseguenze dell’agire sulla base di essi condotta attraverso il ragionamento morale. Da tutto ciò scaturisce la risoluzione di gran parte delle controversie etiche, nonché la composizione delle differenze e dei conflitti di interesse, che non risultano universalizzabili. Tra le sue opere: The language of morals (1952; trad. it. Il linguaggio della morale); Freedom and reason (1963; trad. it. Libertà e ragione); Essays on philosophical method (1971; trad. it. Studi sul metodo filosofico); Practical inferences (1971); Essays on the moral concepts (1972); Application of moral philosophy (1972); Moral thinking (1982; trad. it. Il pensiero morale); Plato (1982; trad. it. Platone); Essays on political morality (1989; trad. it. Sulla morale politica).