Burton, Richard
Nome d'arte di Richard Walter Jenkins Jr, attore cinematografico e teatrale inglese, nato a Pontrydyfen, un villaggio di minatori nel Galles, il 10 novembre 1925 e morto a Ginevra il 5 agosto 1984. Grazie alla sua notevole presenza scenica fu impegnato in ruoli carismatici in grandi produzioni a carattere spettacolare, seppure non sempre di grande livello artistico, come anche in prove di più intensa qualità espressiva nelle quali seppe dimostrare la finezza delle sue doti interpretative e un più ricercato studio dei caratteri. Fu attore di elevato spessore tecnico anche in virtù del timbro vigoroso della voce, qualità che espresse soprattutto sui palcoscenici inglesi con la celebre compagnia dell'Old Vic. Pur non avendo ottenuto riconoscimenti importanti (ma sette furono le sue nominations all'Oscar) raggiunse una grande popolarità anche in virtù del sodalizio sentimentale e artistico con Elizabeth Taylor, che suscitò interesse e clamore nel pubblico in forme quasi mai raggiunte precedentemente. Di estrazione proletaria, la sua precoce vocazione fu sostenuta dal suo insegnante di scuola, Philip Burton (di cui Richard prese per riconoscenza il cognome). Questi gli insegnò le tecniche di dizione e lo segnalò presso l'università di Oxford dove B. frequentò i corsi di recitazione. L'esordio sul palcoscenico avvenne nel 1947 a Liverpool con Druid's rest, seguito da quello cinematografico nel 1949 con The last days of Dolwyn di Emlyn Williams. Trasferitosi negli Stati Uniti, dopo una serie di interpretazioni in piccoli film e le tournée teatrali a Broadway, fu notato e messo sotto contratto per tre film a Hollywood dove ottenne immediato successo. Nel primo, My cousin Rachel (1952; Mia cugina Rachele) diretto da Henry Koster e tratto dal romanzo omonimo di D. Du Maurier (per il quale ricevette la prima nomination all'Oscar), è Philip Ashley, classico personaggio diviso tra dubbio e passione. Con gli altri due inaugurò felicemente i filoni interpretativi destinati a scandire la sua carriera: i kolossal storici e i drammi venati di intenso pathos emotivo. In The robe (1953; La tunica), sempre diretto da Koster e primo film girato in cinemascope, è un centurione romano alle prese con il dilemma religioso; in The desert rats (1953; I topi del deserto) di Robert Wise è un ufficiale della Seconda guerra mondiale in missione a Tobruk. Rimasto però fedele alla sua originaria passione per il teatro, tornò in Inghilterra rifiutando contratti favolosi da parte degli studios pur di recitare all'Old Vic. Il 1953 fu l'anno del trionfo in teatro, quando interpretò Amleto in una storica edizione diretta da John Gielgud al Festival di Edimburgo. Nello spettacolo, innovativo e di rottura, con gli attori in abiti contemporanei e la scena completamente spoglia, B. impose in modo prepotente una recitazione antitradizionale, sanguigna e vigorosa. In virtù di questa grande affermazione gli venne subito offerto negli Stati Uniti un soggetto da mattatore con Prince of players (1955; Il principe degli attori) di Philip Dunne, incentrato sulla vita di Edwin Booth, il celebre attore americano del 19° sec., ruolo che gli consentì un'immedesimazione totale, trascinante e, a tratti, sopra le righe. Fu questo però il primo di una serie di insuccessi in parte riscattati da Bitter victory (1958; Vittoria amara) di Nicholas Ray, nel quale B. poté profondere un temperamento drammatico più realistico e convincente. Qui, ancora una volta, è un ufficiale inglese, Leith, che muore stupidamente, a causa del cinismo del suo superiore, al ritorno da una missione in Africa del Nord durante il secondo conflitto mondiale, e di cui B. riesce a esprimere con estrema intensità lo smarrimento e il dolore di fronte alla brutalità inspiegabile della guerra. Così in Look back in anger (1959; I giovani arrabbiati) di Tony Richardson, interpretò un giovane, Jimmy Porter, tradito nelle sue aspirazioni dalle ipocrisie di una società che lascia penetrare la menzogna in ogni tipo di rapporto. Il film, tratto da un dramma di J. Osborne, rappresenta uno dei capisaldi del Free Cinema inglese e fu realizzato anche grazie al diretto interessamento di B. nella ricerca dei finanziamenti. Nella prima metà degli anni Sessanta l'attore conseguì le maggiori affermazioni. Nel 1963 fu al fianco di Elizabeth Taylor in Cleopatra, il kolossal diretto da Joseph L. Mankiewicz che per gli altissimi costi produttivi mandò in rovina la 20th Century-Fox. La coppia, le cui vicende venivano seguite con appassionato interesse dal grande pubblico, interpretò film nei quali, è stato osservato, si finiva per ricalcare gli eventi di quella turbolenta relazione sentimentale, conclusasi a distanza di dieci anni con due matrimoni e altrettante separazioni. Diversi per stile e per carattere, i due attori offrirono la loro prova migliore in Who's afraid of Virginia Woolf? (1966; Chi ha paura di Virginia Woolf?) di Mike Nichols, dall'omonima commedia di E. Albee, teatrale altalena dei conflitti tra due coniugi alla deriva. Nei film più significativi di questo periodo B. perfezionò un tipo di personaggio ambiguo ed elusivo che prende coscienza di sé fino al sacrificio, come nello storico Becket (1964; Becket e il suo re) di Peter Glenville, accanto a Peter O'Toole, e in The spy who came in from the cold (1965; La spia che venne dal freddo), una spy story diretta da Martin Ritt, dal romanzo omonimo di J. Le Carré. Su questi tratti si basò anche la variante ironica di The night of iguana (1964; La notte dell'iguana) di John Houston, rivisitazione di un dramma di T. Williams. Negli anni successivi, dopo essersi cimentato come regista con un film di ispirazione teatrale, Doctor Faustus (1967), da Ch. Marlowe, fu protagonista di opere incentrate sulla rievocazione e l'interpretazione di fatti e personaggi storici, come The assassination of Trotsky (1972; L'assassinio di Trotsky) di Joseph Losey, o di genere, come l'horror Exorcist II: the heretic (1977; Esorcista II: l'eretico) di John Boorman. Il surreale 1984 (1984; Orwell 1984) di Michael Radford, in cui è l'inquisitore-carnefice al servizio del Grande Fratello, figura quasi del tutto immobile la cui forza drammatica risulta concentrata nello sguardo, costituì la sua ultima interpretazione.
R.L. Sterne, John Gielgud directs Richard Burton in Hamlet, New York 1967.
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