Ricerche filosofiche (Philosophische Untersuchungen)
(Philosophische Untersuchungen) Opera (1958; trad. ingl. Philsophical investigations, 1953) di L. Wittgenstein. Rimasta incompleta, l’opera fu pubblicata dapprima in trad. ingl. a cura di G.E.M. Anscombe, e successivamente in lingua originale tedesca; è formata da due parti, la prima composta fra 1941 e 1945, la seconda fra 1947 e 1949. Nelle R. f. Wittgenstein affronta lo studio del linguaggio secondo un approccio alternativo a quello del Tractatus logico-philosophicus (➔) (1922); egli privilegia il ‘linguaggio abituale’ o ordinario, rispetto al ‘linguaggio ideale’, analizzato mediante modelli di tipo logico o matematico e inteso come calcolo. Nelle R. f. è centrale la riflessione sul significato come uso, ossia come impiego concreto del segno nelle proposizioni anche secondo forme non predeterminate dagli schemi della logica; tale tesi è sviluppata già nei taccuini preparatori per i corsi universitari tenuti fra 1933 e 1935 (The blue book; The brown book, 1958; trad. it. Libro blu e Libro marrone) ove l’uso è indicato come «la vita del segno». Centrale nella riflessione sul funzionamento del linguaggio è la nozione di «gioco linguistico»; il linguaggio è un processo simbolico in cui i significati non sono dati univocamente e definitivamente, in modo tale da potervi applicare i criteri di verità e le leggi della logica, ma si esplicano in maniera particolare e contingente secondo regole diverse a seconda delle circostanze e delle intenzioni dei parlanti, al modo in cui determinate carte da gioco assumono tale o talaltro valore (o significato), a seconda del gioco. I giochi linguistici variano in base ai contesti mutevoli in cui sono reciprocamente coinvolti gli usi e gli atti linguistici dei parlanti; da ciò sorge un modello che integra la normatività delle regole (da cui originerebbero modelli logico-matematici di linguaggio come calcolo) nell’uso contingente e pragmatico delle proposizioni («‘seguire una regola’ è una prassi»; 202), ove il significato assume i caratteri di una formazione pubblica e intersoggettiva («non si può seguire una regola ‘privatim’»). Le regole d’uso del linguaggio, però, spesso hanno un carattere (oltre che inespresso e inconsapevole) non rigoroso, in quanto il significato comporta molte possibili interpretazioni e continuamente il suo ‘uso’ evolve come adeguamento a prassi diffuse. L’eterogeneità dei diversi usi e ‘giochi linguistici’ è tale che essi sono riconducibili non a un unico concetto, ma a una sorta di «somiglianza di famiglia» (67). In tale prospettiva il ruolo della filosofia è limitato al prendere atto degli usi del linguaggio; essa «può, in definitiva, soltanto descriverlo» senza poterlo fondare, e lasciando «tutto com’è» (124). Si tratta tuttavia di un ruolo principalmente critico, in quanto nel descrivere gli usi e i giochi linguistici, secondo «diversi metodi», la filosofia presenta, al tempo stesso, «diverse terapie», mediante cui eliminare problemi causati dall’uso improprio del linguaggio («i problemi filosofici sorgono quando il linguaggio ‘fa vacanza’»; 38).