Riccobaldo da Ferrara
Nato a Ferrara nel 1245 o 1246, figlio di un Bonmercato (il nome Gervasio, il cognome Mainardi, la qualifica di canonico di Ravenna, sono equivoci eruditi di cui è stata dimostrata l'insussistenza, come la sua qualità di rimatore risale ai falsi settecenteschi del Baruffaldi). Fu notaio ed è ricordato col titolo di magister (in arti) e anche di dominus.
Si sa da documenti e da sparse testimonianze autobiografiche che era a Faenza nel 1282, a Reggio nel 1290 come vicario del podestà Obizzo II d'Este, a Padova nel 1293, probabilmente esiliato e vicino ad Aldobrandino d'Este, che si era inimicato con il fratello Azzo VIII. Esule si dice egli stesso durante la successiva dimora a Ravenna, testimoniata nel 1297-1300; a Ravenna compose la prima delle sue opere storiche, il Pomerium Ravennatis ecclesiae (il titolo allude alle fonti da lui trovate nell'archivio della chiesa di Ravenna, in particolare un codice antichissimo del Chronicon di Eusebio-Girolamo), dedicato a Michele arcidiacono della chiesa ravennate, scritto nel 1297-98 e in successive redazioni continuato fino al 1300 e al 1302. Riammesso a Ferrara forse nel 1308, vi dimorava nel 1310, quando il suo nome figura fra i cittadini che giurano fedeltà alla Chiesa romana. Poi fu a Padova, forse per un periodo non breve, e vi compose quel " magnum historiarum volumen " del quale parla nel proemio al Compendium Romane historiae.
L'opera, nella quale la materia del Pomerium era straordinariamente ampliata, sembra che avesse il titolo di Historiae e che fosse divisa in due volumi, il primo dei quali giungeva all'inizio della carriera politica di Cesare, il secondo al tempo della composizione (1308-1313 circa). Le pazienti ricerche degli studiosi hanno chiarito carattere e contenuto delle Historiae e ne hanno riconosciuto numerose derivazioni in cronisti e compilatori fino all'inizio del sec. XV: il domenicano bolognese Francesco Pipino, il Boccaccio nello Zibaldone magliabechiano, il codice di Trento (museo Nazionale 60), Benvenuto nel commento dantesco, G. Mussi nella continuazione del Chronicon Placentinum, Galvano Fiamma, Domenico di Bandino. Le derivazioni finora accertate, raramente esplicite, sono confermate dal confronto testuale di questi compilatori tra loro, e naturalmente con gli scritti di R. precedenti (Pomerium e altri minori) e seguenti (Compendium); ma aumentano il rimpianto per la scomparsa dell'intera opera maggiore di R.; recentemente è stato annunziato il ritrovamento di un manoscritto della prima parte delle Historiae (Hankey, p. 220), che pur non avendo la grande importanza di fonte storica contemporanea che certamente aveva la seconda, presenta notevole rilievo per la ricostruzione della cultura di R. e per il significato, che già s'intravvede, dell'aspetto ‛ umanistico ' della sua infaticabile laboriosità di ricercatore e di scrittore, forse non senza rapporti col circolo degli umanisti padovani.
Nella stessa tendenza a rielaborare continuamente la materia storica attraverso nuove acquisizioni di cultura e d'informazione rientrano altri scritti, quali la Compilatio chronologica, che arriva al 1312, e la Chronica parva Ferrariensis, del 1313-1317, a lui rivendicata dal Massèra, della quale si ha anche una versione volgare, e infine l'inedito Compendium Romanae historiae. Quest'ultima opera di R., conservata in due manoscritti e in un antico volgarizzamento, consente l'ipotesi che egli sia rimasto a Padova anche nell'ultimo tempo della sua vita, e ci dà la certezza che non morì prima del 1318, anno a cui giunge la narrazione. È dedicata a un amico non nominato, che lo aveva consigliato di scrivere un compendio del " magnum historiarum volumen ", non solo più breve ma in stile più dimesso, per venire incontro alle esigenze dei più poveri e dei meno dotti. Non è ancora la collocazione, nella produzione storiografica di R., della Istoria imperiale, pervenutaci nel tardo volgarizzamento di M.M. Boiardo e nel solo esemplare di dedica al duca Ercole d'Este (Ravenna, Classense 424), e pubblicata solo nell'ultima parte dal Muratori, che a torto la ritenne una falsificazione romanzesca. È stato detto che si tratta di un testo corrispondente al Pomerium, ma molto ampliato in fine (Hankey, p. 212 n. 22): dunque in qualche modo vicino alle Historiae. Non si deve dimenticare che la narrazione giunge a Ottone IV, ma che l'unico manoscritto è mutilo in fine, e che il Boiardo poteva a sua volta avere avuto davanti un testo mutilo o parziale. D'altra parte Domenico di Bandino cita la seconda parte delle Historiae come liber Caesarum o Caesarinus, titoli avvicinabili a quello di Istoria imperiale.
La vecchia ipotesi di G. Baruffaldi di un'amicizia personale tra D. e R. è stata giustamente definita priva di fondamento, specie se riferita a Ravenna; tuttavia, per quanto sappiamo della vita di R., che si svolge tutta al tempo di D. tra Emilia e Veneto, e in posizioni personali e politiche spesso affini a quelle di D., una conoscenza personale non si può escludere. La possibilità è maggiore per la conoscenza o addirittura l'utilizzazione da parte di D. di qualcuna delle opere di R., sia perché esse sembrano avere circolato piuttosto largamente già vivo l'autore, sia per i riscontri che finora sono stati additati.
Manca un'indagine sistematica sull'uso dei primi scritti di R. da parte di D.; la possibilità si deve senz'altro ammettere almeno per il Pomerium. Ma la ricerca degli studiosi si è appuntata soprattutto sulle Historiae, e insieme si è fatta più complessa e problematica a causa della nostra conoscenza solo indiretta dell'opera e della cronologia relativa dell'Inferno, del Purgatorio e dell'opera di R.: i casi possibili sono enumerati dal Massèra (D. e R., pp. 189-190; per Michele Scoto, If XX 115-117, v. ora Hankey, p. 213 n. 25). Solo due sono veramente importanti. Il primo è l'accusa di parricidio ad Azzo VIII d'Este, figliastro di Obizzo (If XII 111-117, qualunque sia il senso da attribuire alla parola). La notizia appare solo in R., che fu esplicitamente citato da Benvenuto: infatti si trova nella Compilatio chronologica e certo si leggeva nelle Historiae (Massèra, pp. 168, 189). Il secondo, e più rilevante, è la narrazione del consiglio frodolente di Guido di Montefeltro a Bonifacio VIII (If XXVII 67-111, 115).
Entro quali limiti l'episodio sia storicamente attendibile, è questione variamente discussa dagli storici, che non interessa qui. Interessano l'esegesi dantesca due questioni, che importa distinguere nettamente: che cosa se ne diceva o si credeva di sapere al tempo di D., anzi, più precisamente, al tempo della composizione degli ultimi canti dell'Inferno; se la narrazione delle Historiae di R. possa essere considerata fonte diretta del testo dantesco.
Quanto alla prima domanda le Historiae ci assicurano che del consiglio frodolente correva allora un racconto sostanzialmente identico a quello di D., al quale mancavano solo alcuni elementi dovuti alla fantasia e alla violenza polemica di D.: l'invenzione dell'assoluzione preventiva e della conseguente schermaglia tra Francesco e il nero cherubino. Quanto alla seconda, gli esegeti moderni sono rimasti generalmente perplessi per l'incertezza e lo stretto margine della cronologia relativa dei testi. Anche qui importa esaminare separatamente se vi sia interdipendenza tra Inferno e Historiae e in quale direzione il rapporto si sia verificato. La ricerca fu avviata dal Massèra (1911), che credette di riconoscere nella Historia romana di R. la fonte di D. e della cronaca di Francesco Pipino (che fino allora poteva credersi invece un'eco di Dante). Più tardi, e dopo acute osservazioni del Parodi, il Massèra stesso, individuate varie derivazioni delle Historiae di R. in cronisti posteriori, poté concludere che da queste discendeva il racconto del consiglio di Guido che si legge in D., nella stessa Historia romana e nel Pipino (D. e R., pp. 190-193). Aitre numerose derivazioni sono state riconosciute dalla Hankey, una delle quali, Domenico di Bandino, interessa il caso di Guido di Montefeltro (p. 213). Si deve aggiungere che quella di Domenico di Bandino (De Viris claris, sub v. Guido de Montefeltro), sebbene contenga un'esplicita citazione di D. e sembri più libera, è tuttavia sicura, come conferma la derivazione più ampia sub v. Bonifacius octavus.
Non è stato notato finora che il confronto con tutti questi testi permette di riconoscere nella lunga, biografia di Bonifacio VIII che si legge in Benvenuto a If XXVII 85 una trascrizione, probabilmente assai fedele, delle Historiae di Riccobaldo.
Nonostante la perdita del testo originale delle Historiae, è dunque possibile un confronto, anche testuale, col racconto dantesco. Si deve anzitutto dare rilievo alla circostanza, di solito non rilevata ma difficilmente casuale, che sia R. che D. introducono nella narrazione le battute dirette del dialogo che si sarebbe svolto tra Bonifacio e Guido; poi le innegabili corrispondenze formali: " Saltem me instruas quonam modo eos subigere valeam " (Compendium; così anche in Benvenuto, con la variante " quomodo eos subiicere possim "), " Doce me saltem hostes illos subiicere " (Pipino): a cui corrisponde in D. (If XXVII 101-102) e tu m'insegna fare / sì come Penestrino in terra getti; e più oltre: " Tum ille: Multa promittite, pauca servate de promissis " (Compendium; identico in Benvenuto, ibidem, forse più vicino alle Historiae nell'uso della seconda persona singolare: " Tunc ille: multa promitte, pauca serva de promissis "), " Tunc ille ait: Plurima eis pollicemini, pauca observate " (Pipino), corrispondente a If XXVII 100-111 E' poi ridisse / ... lunga promessa con l'attender corto / ti farà trionfar ne l'alto seggio.
Quanto alla cronologia, gli studiosi di R. hanno accertato per le Historiae una datazione, anche se prossima, per lo meno non più tarda degli ultimi canti dell'Inferno; d'altra parte sembra difficile capovolgere il rapporto e postulare un'utilizzazione del testo di D. da parte di R.; se non altro perché quest'ultimo non avrebbe omesso, tra altri, gli elementi fantastici dell'assoluzione preventiva. È dunque ammissibile che il racconto dantesco abbia per sua fonte unica o primaria quello delle Historiae di R. e che addirittura ne abbia tradotto alcune espressioni. Si può augurare che le ricerche, che certo continueranno, per la migliore conoscenza dell'opera perduta di R. possano chiarire ulteriormente la questione e condurre alla scoperta di altre derivazioni.
Bibl.-Edizione delle opere di R. in L.A. Muratori, Rerum Ital. Script. IX, Milano 1726, 105-191 (Pomerium Ravennatis Ecclesiae e appendici), 193-262 (Compilatio chronologica), 289-420 (Istoria imperiale, trad. Boiardo); e VIII (1726) 473-488 per la Chronica parva Ferrariensis; per le precedenti ediz. e altre notizie: A. Porthast, Bibliotheca historica medii aevi,² II, Berlino 1896, 972; è annunciata la pubblicazione dell'inedito Compendium Romanae historiae, a c. di T. Hankey, presso l'Istituto Storico Italiano per il Medio Evo.
Si veda inoltre: O. Holder-Egger, Bericht über eine Reise nach Italien 1885, paragr. Handschriften der Werke des Riccobald v. F., in " Neues Archiv. Geschichte fur Ält. deutsche Geschichtskunde " XI (1886) 277-287; P. Fabre, Sur un manuscrit nouveau du chroniqueur R. de F., in " Comptes-rendus Académie Inscriptions et Belles Lettres " s. 4, XIX (1897) 378-384; C. Frati, Volgarizzamento di un'opera storica inedita di R. da F., in Miscellanea di studi in onore di A. Hortis, II, Trieste 1910, 847-870; O. Holder-Egger, Der Schlussteil v. Ricobalds v. F. ‛ Historia Romana ', in " Neues Archiv " XXXVI (1911) 439-471; A.F. Massèra, Il ‛ consiglio frodolente ' di Guido da Montefeltro secondo una nuova fonte storica, Rimini 1911 (cfr. E.G. Parodi, in " Bull. " XVIII [1911] 266-270; C. Cipolla, Sulle tradizioni anti-bonifaciane rispetto a Guido da Montefeltro e alla guerra dei Colonna, in " Atti Accad. Torino " XLIX [1913-14] 805-822); ID., L'autenticità della ‛ Chronica parva Ferrariensis ', in " Archivio Muratoriano " I (1913) 549-565; ID., Intorno alla ‛ Historia Romana ' di R. da F., ibid., 607-609; ID., Studi riccobaldiani. I. L'autore della ‛ Chronica parva Ferrariensis ', ibid. II (1913) 239-244; II. Note per la biogr. di R. da F., ibid. (1917) 447-460; ID., D. e R. da F., in " Bull. " XXII (1915) 168-200; T. Hankey, R. of F., Boccaccio and Domenico di Bandino, in " Journal of the Warburg and Courtauld Institutes " XXI (1958) 208-226. Per l'Istoria imperiale: G. Bertoni, Nuovi studi su M.M. Boiardo, Bologna 1904, 216-219; G. Reichenbach, M.M. Boiardo, ibid. 1929, 187-192; S. Muratori, Un libro sul Boiardo e un codice Classense, in " Il Comune di Ravenna " V (1929) fasc. II; Hankey, cit., 212 n. 22.