RICCOBALDO da Ferrara
RICCOBALDO da Ferrara. – Nacque a Ferrara verso il 1245, nulla si sa della famiglia di origine, eccetto il nome del padre, Bonmercato, forse un notaio ferrarese (Compendium, 1984, p. XVI).
Anche la data di nascita potrebbe essere spostata in avanti di qualche anno, considerando che, riferendosi ai funerali di Azzo VII d’Este, celebrati a Ferrara il 17 febbraio 1264, Riccobaldo dichiara che vi partecipò «adolescens» (Chronica parva, 1983, p. 189).
Pochissimo sappiamo degli anni giovanili, trascorsi nella città natale; nel 1251, ancora bambino, aveva assistito al passaggio in città e alla predicazione di papa Innocenzo IV. La morte di Azzo VII nel 1264 e la successiva conquista del potere da parte di Obizzo II sono gli eventi decisivi in questa fase della sua vita, anche se non abbiamo elementi di valutazione sui rapporti che la sua famiglia aveva all’epoca con i signori d’Este.
Nella prima maturità, tuttavia, acquisito il titolo di notaio, Riccobaldo lavorava negli ambienti di corte, come sembra dimostrare la sua presenza, nel dicembre del 1274, alla promulgazione di uno statuto cittadino. Nel 1282 è attestato a Faenza e nel 1290 a Reggio, dove prestava la sua attività di notaio per il vicario di Obizzo II, che da quell’anno aveva disteso anche su Reggio, con la carica di podestà, la sua rete di potere. Alla morte di Obizzo, assassinato nel 1293, si deteriorarono irreparabilmente i rapporti di Riccobaldo con la famiglia signorile, o quantomeno quelli con la fazione vincente, legata al primogenito Azzo VIII, nominato dalle autorità cittadine successore di Obizzo. In quell’occasione, infatti, Riccobaldo si rifugiò in esilio a Padova, forse al seguito del fratello di Azzo, Aldobrandino (Hankey, 1996, pp. 2 s.). Parrebbe suggerire questa ipotesi il fatto che, nelle opere della maturità, il cronista attribuisse agli altri figli, sostanzialmente lo stesso Azzo, la responsabilità dell’assassinio di Obizzo, scagionando appunto Aldobrandino e ispirando in questo senso anche il racconto dantesco di Inferno, XII, 110-112 (Zanella, 1991, p. 166).
In ogni caso, dal 1297 Riccobaldo fu stabilmente a Ravenna, dove strinse eccellenti rapporti con gli ambienti arcivescovili, tanto da poter rogare atti per l’arcidiacono della cattedrale (Massera, 1913-1921, p. 455), esercitando dunque l’attività notarile, il che era normalmente impossibile per i forestieri. Nei confronti dell’arcidiacono ravennate Michele, Riccobaldo riconobbe poi, nella dedica del Pomerium Ravennatis ecclesie (I, 5), un profondo debito di riconoscenza, soprattutto per la libertà che gli fu concessa di accedere ai tesori dell’archivio dei canonici: esperienza decisiva per la sua vita e per la sua vocazione di studioso. Quelle letture, e in particolare l’incontro con il manoscritto lacero e quasi illeggibile del Chronicon di Girolamo, avrebbero indirizzato in modo radicale il successivo ventennio del cronista (1297-1318).
Già nel giugno del 1298 Riccobaldo aveva terminato la prima stesura del Pomerium, opera poi ripresa e condotta a una seconda redazione nel 1300 e a una terza nel 1302. Negli stessi anni la sua esuberante attività storiografica si era espressa anche in un’opera più breve, la Chronica de septem aetatibus, ancora di impronta enciclopedica e profondamente debitrice delle fonti conservate dalla ricchissima biblioteca ravennate (Zanella, 1991, p. 170). All’alba del nuovo secolo Riccobaldo era dunque felicemente radicato a Ravenna, anche se non si può escludere che già nel 1300 fosse per qualche tempo a Verona, come sembrano suggerire i riferimenti all’Arena presenti nel Pomerium e nel De septem aetatibus (Hankey, 1996, p. 4). Nel 1303, tuttavia, forse anche a seguito della morte del suo patrono Michele, Riccobaldo lasciò Ravenna per tornare a Padova, dove stabilì o forse riallacciò rapporti umani e culturali decisivi anch’essi per la sua vocazione letteraria, per certi versi anzi ancor più importanti, perché gli aprivano prospettive del tutto inedite e curiosità nuove indirizzate verso gli autori della tradizione classica. Dal clima culturale e dalle letture degli anni padovani (1303-08) nacque l’Historia Romana, in cui abbondano i riferimenti a Tito Livio, Cesare, Svetonio e altri autori classici (Zanella, 1991, p. 174).
La morte di Azzo VIII d’Este, sopraggiunta il 26 gennaio 1308, riaprì a Riccobaldo le porte di Ferrara. Rientrò dunque nella città natale e vi rimase stabilmente fino al 1313. In quegli anni, a Ferrara, secondo Anna Teresa Hankey, Riccobaldo compose le sue opere forse più innovative in ambito storico e geografico: la Chronica parva Ferrariensis e il De locis orbis. Il rientro degli Estensi a Ferrara, nel 1313, lo ricondusse però, e questa volta definitivamente, al destino dell’esule: la prima meta fu ancora Padova, la seconda la corte di Cangrande a Verona, rifugio naturale, in quegli anni, per i fuggiaschi ghibellini di varia provenienza geografica e ideologica (Hankey, 1996, p. 5). Dell’ospitalità ricevuta a Verona, dei suoi debiti di uomo e di studioso nei confronti di Cangrande, Riccobaldo si dimostrò poi consapevole, negli ultimi anni di vita, sia dichiarando esplicitamente i propri sentimenti di devozione al signore, sia proponendo una lettura storica dei conflitti di quel periodo decisamente favorevole ai veronesi.
I primi anni dell’esilio, tuttavia, non furono dedicati alla storia; nel Compendium Romanae historiae, ultima fra le sue opere, composta in più versioni fra il 1316 e il 1318, Riccobaldo dichiarava di aver dedicato gli anni precedenti melioribus studiis, approfondendo dunque la sua conoscenza degli autori classici (Compendium, p. 1). Oltre a Cesare e Tito Livio affiorano, nella filigrana del Compendium, Cicerone, Orazio e Virgilio, per citare solo i maggiori, a dare spessore a un percorso culturale e a un pensiero politico di notevole interesse, sensibilmente evoluti, ed è altro elemento di rilievo, rispetto alle prime opere.
Secondo il copista del Compendium, che la Hankey ritiene in questo attendibile, Riccobaldo morì (forse a Verona e comunque lontano dalla città natale), nel 1318 o poco più tardi, mentre Zanella ritiene che la morte vada collocata in un anno imprecisato, ma successivo a quella data.
Come osservano, da punti di vista differenti, Gabriele Zanella e Anna Teresa Hankey, gli studiosi che più si sono occupati di lui negli ultimi trent’anni, l’importanza della figura di Riccobaldo nel panorama culturale dei suoi tempi non è stata ancora adeguatamente illuminata, ma lo sarà certamente man mano che la sua ricca produzione storica e geografica, in parte ancora inedita, sarà oggetto di studi approfonditi. Già oggi tuttavia è evidente come si tratti di una personalità molto significativa, sia nell’ambito della cultura preumanistica, grazie alla rete di amicizie e di letture che lo legavano agli ambienti padovani (Billanovich), sia in quello storiografico, per il contributo che diede allo sviluppo della cronachistica cittadina. In entrambe le prospettive, inoltre, è di assoluto rilievo il fatto che il suo percorso prenda l’avvio da un genere, all’epoca ormai già piuttosto obsoleto, come la Storia universale, raggiungendo, nell’arco di un ventennio o poco più, esiti del tutto imprevedibili.
La prima opera di rilievo, il Pomerium Ravennatis ecclesie, è un’amplissima compilazione storico-geografica in sei libri, i primi quattro dedicati alla Storia universale, dalla creazione al 1298, aggiornata nell’ultima redazione al 1302, il quinto libro alla descrizione geografica del mondo, l’ultimo contenente il catalogo dei papi, dei patriarchi e degli arcivescovi di Ravenna. L’impostazione enciclopedica tradizionale si intreccia dunque con il modello del Liber pontificalis, così come saldamente radicato nella cultura altomedievale appare il repertorio delle fonti esibito nel prologo: il Chronicon di Eusebio nella versione di Girolamo, la Cronaca universale di Prospero d’Aquitania, quella di Isidoro di Siviglia, Eutropio, Paolo Diacono, Orosio e così via (Pomerium, I, 6). Per le epoche più vicine, dagli anni di Federico II in poi, descritte con un raggio sempre più ristretto all’ambito regionale, l’autore ricorre in prevalenza a testimonianze dirette e all’esperienza personale, il che contribuì alla vastissima fortuna che l’opera conobbe fin dal XIV secolo presso cronisti, storici, eruditi: lo stesso Dante, probabilmente, conobbe il Pomerium e vi trovò una fonte preziosa per gli episodi emiliani e romagnoli dell’Inferno, ma anche per la rievocazione del ‘buon tempo antico’ del XV del Paradiso (Davis, 1988, pp. 109-133). Certamente ricchissima di informazioni sulle vicende ferraresi e su quelle venete e romagnole dei suoi anni, la prima opera di Riccobaldo è soprattutto, osserva Zanella, un grande atlante storico (Zanella, 1991, p. 168), mentre sul piano del metodo narrativo denuncia un consistente ritardo rispetto ai contemporanei cronisti veneti: l’ispirazione enciclopedica e la prospettiva universale e provvidenziale incombono sul Pomerium, che registra analiticamente gli eventi, con grande attenzione per i particolari aneddotici e le divagazioni miracolose e fiabesche, ma senza proporre approfondimenti né tantomeno connessioni logico-critiche fra le vicende narrate. Ben altra consapevolezza manifestano le opere della tarda maturità e in particolare, in ambito storiografico, la Chronica parva Ferrariensis. Mentre sulla data e sul luogo di composizione si registrano in merito alla Chronica significative distanze fra la Hankey, che la vuole composta a Ferrara fra il 1308 e il 1313, e Zanella, che la ritiene composta in esilio negli ultimi anni di vita, nessun dubbio può sussistere sul fatto che si tratti di un’opera di straordinaria importanza nel quadro della cronachistica medievale.
L’aspetto forse più innovativo della Chronica parva sta nella sua salda impostazione storico-geografica, frutto della sensibilità che Riccobaldo aveva dimostrato già nel Pomerium, e che gli consente di definire nell’ampia parte introduttiva del testo la vocazione economica della città e gli elementi strutturali del suo sviluppo storico. Come osserva Zanella, infatti, il Po con le sue ramificazioni e la morfologia del territorio, e gli altri aspetti ambientali cui l’autore dedica una descrizione estremamente particolareggiata (Chronica parva, pp. 115-141), costituiscono il primo elemento interpretativo della storia cittadina, che condiziona nel lungo periodo lo sviluppo urbano di Ferrara, ma soprattutto determina la sua limpida vocazione commerciale (Zanella, 1991, p. 177). Il secondo elemento unificante si può individuare, ed è l’altro aspetto di maggiore interesse dell’opera, nell’analisi del ruolo ricoperto dalla famiglia signorile. Un ruolo sostanzialmente negativo, dato che proprio al predominio degli Estensi e alle ingerenze commerciali di Venezia Riccobaldo riconduce le ragioni della decadenza della città (Chronica parva, pp. 177-185), con un’analisi però lucidamente politica e niente affatto moralistica del processo storico, che da un lato rende la Chronica di Riccobaldo un caso unico nel panorama storiografico e teorico-politico dei suoi tempi, e dall’altro spiega lo scarso successo che quel testo ebbe, fin quasi ai giorni nostri, fuori dai confini dell’erudizione locale (Zanella, 1991, p. 178).
Opere. Chronica parva Ferrariensis, a cura di G. Zanella, Ferrara 1983; Compendium Romanae historiae, a cura di A.T. Hankey, Roma 1984; De locis orbis, a cura di G. Zanella, Ferrara 1986; Compilatio chronologica, a cura di A.T. Hankey, Roma 2000; Pomerium Ravennatis ecclesie, ed. on-line a cura di G. Zanella, Cremona 2001.
Fonti e Bibl.: A.F. Massera, Studi riccobaldiani II: note per la biografia di R. da Ferrara, in Archivio muratoriano, II (1913-1921), pp. 447-459; G. Zanella, R. e dintorni. Studi di storiografia medievale ferrarese, Ferrara 1980; G. Billanovich, La tradizione del testo di Livio e le origini dell’Umanesimo. 1. Tradizione e fortuna di Livio tra Medioevo e Umanesimo, I, Padova 1981; Storia di Ferrara, V, Il Basso Medioevo, secc. XII-XV, a cura di A. Vasina, Ferrara 1987; C.T. Davis, Il “buon tempo antico”, in Id., L’Italia di Dante, trad. it. Bologna 1988, pp. 109-133; G. Zanella, R. da Ferrara, in Repertorio della cronachistica emiliano-romagnola, intr. di A. Vasina, Roma 1991, pp. 163-181; A.T. Hankey, R. of Ferrara: his life, works and influence, Roma 1996.