MALASPINA, Ricciarda
Nacque nel 1497 dal marchese di Massa, Alberico di Iacopo, dei marchesi di Fosdinovo, e da Lucrezia, figlia naturale di Sigismondo d'Este.
La coppia generò solo figlie femmine: Eleonora, Taddea, Ricciarda e Lucrezia. La primogenita Eleonora fu data in moglie a Scipione Fieschi di Genova, ma morì nel 1515; allora Alberico si adoperò per far sposare al genero la M., per la quale si era profilata l'ipotesi di un matrimonio con Giuliano de' Medici. Pagando una imprecisata ma assai cospicua somma, Alberico ottenne dal papa Leone X la dispensa necessaria al matrimonio tra cognati; inoltre nominò la M. sua erede nel Marchesato di Massa, specificando che le sarebbero succeduti i primogeniti generati da lei o dalla sua stirpe. Dall'unione tra Scipione Fieschi e la M. nacque Isabella, che sarebbe stata maritata nel 1533 a Vitaliano Visconti Borromeo con dote di 12.000 scudi.
Tra il 1519 e il 1520 morirono sia Alberico, sia Scipione Fieschi. Leone X insieme con il cardinale Innocenzo Cibo decise allora di combinare le nozze tra la M. e Lorenzo di Francesco Cibo, conte di Ferentillo, fratello del porporato. L'accordo fu sottoscritto il 14 maggio 1520 da Ercole d'Este, zio della M. e suo procuratore. Dall'unione nacquero Eleonora (1523) e Giulio (1525); Alberico (1534), invece, era probabilmente figlio del cardinale Innocenzo Cibo, sebbene fosse considerato legittimo.
Negli anni successivi al matrimonio, la coppia si trasferì a Roma, dove la M. rimase fino a poco prima del sacco del 1527. Quando si ebbe notizia che le truppe imperiali si avvicinavano alla città, contravvenendo agli ordini di Clemente VII che vietavano ai notabili di abbandonare la città per motivi di ordine pubblico, scappò con i figli a Ostia, da dove raggiunse Civitavecchia, quindi Pisa e infine Massa.
Fin da questo primo soggiorno romano la M. seppe guadagnarsi l'amicizia di personaggi influenti, in grado di orientare le scelte dell'imperatore Carlo V sul Marchesato, che era feudo imperiale. Fu certo in virtù di appoggi di questo tipo che il 16 luglio 1529 Carlo V concesse, attraverso Sinibaldo Fieschi procuratore della M., l'investitura di Massa e Carrara a lei e ai suoi successori primogeniti maschi e, in mancanza di questi, femmine. Si trattava di un obiettivo a lungo preparato, che la M. aveva inseguito fin dal 1525, e fu il primo atto di un bellum diplomaticum che la oppose al marito fino al 1546. Se i primi anni trascorsero senza grandi dissidi nel lusso romano, dall'inizio degli anni Trenta i rapporti tra i coniugi peggiorarono. Grazie all'appoggio di Clemente VII, che era suo cugino, Lorenzo Cibo si era infatti rivolto segretamente a Carlo V per ottenere l'investitura di Massa e Carrara. Lorenzo Cibo in quegli anni andava realizzando una brillante carriera militare, chiamato a posizioni sempre di maggior prestigio come governatore di Spoleto (1524), capitano della guardia apostolica (11 nov. 1527), governatore perpetuo di Vetralla, Montegiove e Giano (1529). Partecipò alla cerimonia dell'incoronazione imperiale a Bologna, portando lo stendardo dei crociati. Qui il 21 marzo 1530 riuscì a ottenere da Carlo V un diploma, in cui venivano accolte le sue rivendicazioni sul Marchesato della Lunigiana: l'imperatore lo nominava infatti "compadrone" nel feudo, nonché successore della M. qualora le fosse sopravvissuto. Di lì a poco, inoltre, con bolla del 22 giugno 1530 divenne comandante generale delle milizie dello Stato ecclesiastico. Tuttavia la M. rispose all'iniziativa del marito e il 7 apr. 1533 ottenne di poter nominare il proprio successore senza tenere in conto l'ordine di nascita. La concessione le era stata ottenuta da Tommaso Carlo Bavastro, agente del cardinale Cibo, il quale aveva vinto con una certa fatica le resistenze opposte da un certo Mathias, un giurisperito consapevole delle difficoltà di redigere un atto che avrebbe contraddetto una disposizione testamentaria.
All'inizio del 1533 la M. si trasferì da Roma a Firenze, dove rimase fino al 1537, conducendo a quanto pare una vita lussuosa. Sappiamo che abitava insieme con la madre Lucrezia e la sorella Taddea nel palazzo dei Pazzi in via del Proconsolo, nonché nella villa appartenuta alla stessa famiglia e situata vicino a Soffiano, denominata la Loggia dei Pazzi. In realtà questi beni erano proprietà del marito Lorenzo, in quanto erede di Francesco Cibo, secondo il testamento del 1515. La casa delle Malaspina fu anche la residenza del cardinale Innocenzo Cibo, del fratello Giovanni Battista, arcivescovo di Marsiglia, e della sorella Caterina Cibo, già duchessa di Camerino, ed era frequentata da letterati come Francesco Berni. Sembra che fossero proprio le Malaspina a essere riconosciute su una delle prime carrozze che percorsero la città, in compagnia del Berni. Lo stesso duca Alessandro de' Medici non disdegnava la compagnia delle "marchesane". Nel 1535, proprio nell'ex palazzo dei Pazzi, Giovanni Battista Cibo, in occasione di uno degli incontri tra il Medici e la M., avrebbe tentato di uccidere il duca.
Per quanto ella risiedesse lontana da Massa, l'azione della M. era intesa a conservare il potere sul Marchesato nella sua esclusiva persona, e questo le fu possibile grazie all'azione di Innocenzo Cibo che da Carrara, dove si era ritirato nel 1537, governò Massa in sua vece. Negli anni successivi la M. si batté per l'esclusione del marito dal condominio di governo, contestando l'interpretazione del testamento del padre Alberico secondo la quale la cessione del governo del feudo al primogenito maschio della M. sarebbe dovuta avvenire appena costui avesse raggiunto la maggiore età e sostenendo addirittura la sua invalidità rispetto invece all'autorevole pronunciamento dell'imperatore che l'aveva investita nella sua persona. Inoltre la M. aveva protestato sostenendo che il marito Lorenzo Cibo non potesse accampare alcun titolo se non per l'esborso dotale pattuito, pari a 14.000 ducati (6000 di dote effettiva, i restanti di eredità paterna). Carlo V le dette ragione e con un diploma del 26 sett. 1541 abrogò il diritto concesso a Lorenzo di partecipare al governo di Massa. A un così importante successo diplomatico dovette contribuire, a detta di F. Musettini, l'aiuto di imprecisati autorevoli personaggi che da Roma, dove la M. si era trasferita nel settembre 1537, perorarono la sua causa presso l'imperatore. Tra questi vi fu certamente il marchese Giovan Ferdinando Manrique d'Aguilar, ambasciatore cesareo nell'Urbe e suo amante.
Eppure il successo della M. con gli uomini non sembra potersi attribuire a una bellezza memorabile. Carlo Arrighini, testimone al processo di Scipione Fieschi (il fratello di Gian Luigi che, coinvolto nelle vicende familiari successive alla congiura e a propria volta accusato nel 1552 di lesa maestà, tra il 1562 e il 1574 rivendicò per via giudiziale i beni di famiglia confiscati), così la descrive: "Ricciarda erat mulier mediocris staturae, alba, macra et formae etiam inter pulchram et turpem", mentre ad altri testimoni ella e la sorella Taddea sembravano "brutte come diavoli" (Staffetti, 1910, p. 364).
Tuttavia il Cibo stesso aveva compromesso la propria posizione tentando, nel 1538, di impadronirsi del Marchesato con la forza. Riuscì a catturare il castellano e camerlengo Pietro Gassani, ma dovette desistere dal procedere oltre dietro consiglio del fratello cardinale, che evidentemente gli prospettò l'irrealizzabilità di un disegno lesivo della volontà imperiale e che alterava il delicato equilibrio raggiunto in una zona dai troppi confini.
Il legittimo pretendente al feudo era in realtà Giulio Cibo Malaspina, il figlio primogenito. Nonostante le provvisioni materne (cui contribuiva, piuttosto che il padre, lo zio cardinale, il quale aveva destinato a tal fine le rendite dell'abbazia romana di S. Saba), il giovane non riusciva a sostenere le spese che l'agognata carriera militare gli avrebbe imposto e, nel 1544, dopo la pace di Crépy, tornò in Italia. Nel 1545 la M., lasciata Roma, si trovava a Carrara insieme con il figlio Alberico e con il cardinale Cibo, che avrebbe ancora sostenuto la M. contro le istanze del fratello Lorenzo. Madre e figlio si incontrarono in occasione di un'indisposizione del cardinale, ma la circostanza non segnò un riavvicinamento, rendendo anzi ancor più tesi i loro rapporti. Fu probabilmente allora che Giulio decise di impadronirsi del potere con la forza. Grazie al sostegno di 20 archibugieri avuti da Galeotto Malaspina, marchese di Olivola, aiutato da alcuni dei numerosi ribelli del Marchesato e dal castellano Girolamo Ghirlanda, cercò di occupare il castello di Carrara il 28 ag. 1545. Entrato nottetempo con alcuni soldati nel maniero, a causa di una certa indecisione e all'azione del cardinale Innocenzo che vi risiedeva malato e che lo trattenne al momento dell'irruzione, Giulio non riuscì a catturare la madre: la M. ebbe infatti il tempo di asserragliarsi nella rocca di Massa da dove riuscì a sollevare i sudditi contro i rivoltosi. Per evitare di essere a propria volta accerchiati, Giulio e i suoi furono costretti a fuggire. La M. decise quindi di lasciare nuovamente il Marchesato per Roma, assegnando al figlio una provvigione maggiore che comunque lo lasciò insoddisfatto. Il giovane si dimostrò disponibile a passare al servizio di Cosimo I, che da parte sua guardava con interesse a Massa. Nella primavera del 1546, inoltre, riuscì a interessare alle sue sorti la potente famiglia Doria, con la quale pose le premesse di un matrimonio con Peretta di Tommaso, la nipote di Andrea Doria. Giulio fu allora in grado di spostare a suo vantaggio l'equilibrio delle alleanze. Forte di questo appoggio e del malcontento dei Massesi per la durezza del governo della M., nell'ottobre 1546 occupò con successo la città e la rocca, con il concorso del padre che aveva guidato le truppe, assunse il titolo di marchese e nominò amministratore Andrea Venturini detto il Moretto, un famoso bandito che da tempo scorreva la regione. Al colpo di mano contribuì tuttavia in maniera decisiva Cosimo I, che fornì a Giulio aiuti militari e finanziari, nell'intento di sottrarre il Marchesato all'orbita estense in cui gravitava.
La M., che temeva una mossa del genere, pochi mesi prima aveva scritto al fedelissimo camerlengo Gassani di non far entrare per ragione alcuna nella rocca Giulio, se non da solo e con un unico servitore, limitando il libero accesso soltanto al cardinale Innocenzo (21 maggio 1546): sospettava evidentemente che il figlio non avesse affatto desistito dalle sue ambizioni. Da Roma, poi, aveva dato istruzione di punire severamente i vassalli che fossero stati implicati nella congiura del 1545 insieme con il figlio Giulio. Tutto il potere era stato delegato al Gassani, con istruzioni precise per la conservazione del castello e l'autorizzazione a tenere il potere per Alberico qualora fosse morta.
Tuttavia la posizione di Giulio s'indebolì, soprattutto a seguito del brutale omicidio del Gassani e dei suoi due figli, per mano di A. Venturini e di suo fratello, nella notte tra l'8 e il 9 nov. 1546, di cui egli fu sospettato essere il mandante.
Di fronte alla perdita del castello, la M. già in ottobre si era appellata al giudizio di Ferrante Gonzaga, governatore di Milano e capitano generale dell'imperatore in Italia. Carlo V in novembre aveva decretato di rimettere il feudo al Gonzaga stesso in attesa di definire la vertenza; nondimeno Giulio aveva ottenuto che lo Stato fosse affidato invece al cardinale Cibo e in dicembre sposò Peretta Doria. Cosimo I, il quale pure lo aveva appoggiato, non vide di buon occhio l'avvicinamento dei Doria al feudo di Massa, nel timore di un diretto intervento imperiale e, dopo aver convocato Giulio a Pisa, nel marzo 1547 lo fece addirittura imprigionare nella fortezza. Nell'insostenibilità della sua posizione il giovane acconsentì di rinunciare al Marchesato in favore del padre Lorenzo, che lo rimise al secondogenito Alberico. Di lì a pochi mesi i suoi partigiani dovettero abbandonare Massa, occupata da quaranta spagnoli, che Ferrante Gonzaga, per conto di Carlo V, aveva messo a disposizione della Malaspina. Dopo varie peripezie e un nuovo tentativo di occupare il Marchesato, Giulio fu arrestato a Pontremoli e, sospettato tra l'altro di aver tramato con i Francesi contro l'imperatore, venne decapitato a Milano il 18 maggio 1548.
La M. si adoperò presso l'imperatore per salvare il figlio dalla morte, anche se è difficile stabilire se abbia davvero tentato tutto il possibile. In una lettera scritta da Roma il 2 febbr. 1548, chiese a Carlo V la grazia non "per compassione né per amor che ella al presente li porta anzi gl'è nato tanta rabia contra di lui del'eror ch'egli ha tanto che abia auto pensamente di dar disturbo a la mente di V.M.tà che s'ella lo avesse in suo poter con le proprie mani lo afogaria, ma la gracia chela desidre li sia fata e per che non resti memoria che del corpo suo sia nato omo che abia meritato morire per giustizia" (Arch. di Stato di Massa, Malaspina di Fosdinovo, filza 11, cc. n.n.).
Alla decapitazione del figlio, seguì la morte del marito nel marzo 1549. In una lettera scritta da Massa il 5 del mese, la M. comunicava alla sorellastra Taddea l'avvenimento con parole emblematiche del suo carattere: "sorella mia cara, voi avereti inteso per altre mie la morte del signor Lorenzo e sapiate che chi mi avesi dito che ne avesi avuto dispiacere li averei sputato nel viso, però vi facio certa che la m'è doluta" (Arch. di Stato di Massa, Malaspina di Fosdinovo, filza 13, f. 8, cc. n.n.).
La M. tornò, dunque, a Massa, la cui fortezza le fu restituita nell'aprile 1549, e vi si trattenne fino al 1550, per poi stabilirsi a Roma. Nella rocca lasciava il nuovo castellano, Ricciardo Lombardelli, insieme con un manipolo di sedici soldati; ancor più sparuta era la guarnigione del vicino castello di Avenza, presidiato solo da quattro soldati.
Fin dai primi anni in cui era divenuta marchesa, aveva governato il feudo con pugno di ferro, costringendo la più alta magistratura civica dei consoli e consiglieri del Comune alla sistematica rinuncia a ogni loro richiesta in favore degli interessi marchionali. L'imposizione fiscale era il motivo principale delle proteste dei consoli, di fronte alle quali la M. si mosse con astuzia consumata. Nel maggio 1543 invitò in maniera spiccia e autoritaria i consoli a rinnovare la condotta del medico di Massa. Tenne in ancora meno conto la supplica dei magistrati di essere esentati dal corrispondere il sussidio ecclesiastico per fortificare il Marchesato, richiesto nel marzo 1544: "al che dicemo che non vogliamo né dovemo per bon rispetto tentar tal cosa per adesso. E però voi farete conto di far senza questo sussidio" (Arch. di Stato di Massa, Malaspina di Fosdinovo, filza 11, cc. n.n.). Nel dicembre 1543 la M. aveva fatto ricadere la necessità delle imposizioni sull'inefficienza fiscale dei consoli, i quali, a sua detta, non erano stati capaci di attuare una ripartizione degli estimi che tenesse conto della nascita di nuovi fuochi e delle proprietà di recente formazione, obbligando la Comunità a un appesantimento degli oneri. Fu disattesa come "periculoso desiderio" (ibid., cc. n.n., 13 marzo 1546) anche la richiesta avanzata dai consoli e consiglieri di operare un alleggerimento del personale armato di guardia alle porte dei castelli, con l'obiettivo di contenere i costi. Secondo la M. il compito dei consoli si sarebbe dovuto ridurre a un'obbedienza incondizionata, avendo "sempre Cristo davanti agli occhi [(] altrimenti facendo Dio susciterà persona sopra di voi et al vostro governo che punirà li vostri presenti e passati peccati" (ibid., 7 genn. 1548). Dava ordine al cardinale Cibo di accorpare due case da lei possedute ad Avenza e adibirle per farne "una grossa osteria" (Arch. di Stato di Massa, Appendice al carteggio Cybo, Archivio del card. Innocenzo Cybo, b. 6, ins. 29). Fu abile a sfruttare la posizione strategica del dominio, trattando per esempio della vendita dei diritti di passo e di dogana del sale, in un primo momento proposti a Cosimo I e poi, con successo, al genovese Banco di S. Giorgio. La concessione quinquennale partiva dal 1550, come scrisse lei stessa in una lettera indirizzata a Cosimo I nel luglio 1552. Nel 1553 chiese al duca la concessione della licenza di libera importazione di 500 sacchi di biade necessari alla sopravvivenza dei cavalli suoi e del figlio Alberico, non trovando foraggi nel Marchesato. Inoltre ricercò ed ebbe l'appoggio di Cosimo I soprattutto nelle operazioni di reciproco intervento contro il banditismo endemico che travagliava i confini di Massa. In particolare chiese e ottenne l'allontanamento della banda di Andrea Venturini dalla vicina Pietrasanta, dove dopo varie peripezie si era rifugiata.
Al riavvicinamento a Cosimo I contribuì senz'altro la morte del cardinale Cibo (14 apr. 1550), colui che era stato il grande protettore della Malaspina. Da Roma la nobildonna ne dette personalmente notizia a Cosimo I, richiedendone l'aiuto per gli eredi del porporato. Alcuni dei figli del cardinale - Alessandro e Clemente, gli eredi designati, e Ricciarda ed Elena, tutti legittimati dal Cibo - erano anche figli della marchesa, che non a caso nel documento era nominata esecutrice testamentaria insieme con il cardinale Giovanni Salviati, a cui fu assegnato anche il ruolo di tutore. Significativamente nel testamento il cardinale Innocenzo nominava anche Alberico Cibo Malaspina, al quale lasciava le migliorie operate sui beni di Carrara dove in prevalenza Innocenzo aveva vissuto.
Nel 1551 la M., divenuta erede della tenuta di Agnano (presso Pisa) del marito Lorenzo, ottenne dal duca di Toscana l'esenzione relativa alla tassa di 3 lire imposta su ogni coppia di bestiame bovino ricadente sui coloni dei suoi possedimenti.
Nel febbraio 1552 fece sposare Alberico con Elisabetta Della Rovere, sorella del duca di Urbino. In questa occasione, fedele a una accorta politica dell'equilibrio e dell'alleanza con tutti gli Stati confinanti, ricordava al novello sposo di invitare alle nozze la Signoria di Lucca, nonché i gentiluomini particolarmente amici di casa Malaspina. Le accoglienze per gli ospiti erano del resto fatte a spese dei consoli di Massa, che dovettero trovare denaro anche per una circostanza così onerosa.
Ai primi caldi del 1553, ormai in precarie condizioni di salute, la M. si recò ai Bagni di Lucca per le cure. In maggio le sue condizioni si aggravarono e il 15 del mese dettò le sue volontà al notaio Filippo Andreoni.
Nel testamento nominò Alberico successore e capostipite dei Cibo Malaspina; alla sorellastra Taddea concesse l'usufrutto delle sue residenze romane, il palazzo di Campo Marzio, ubicato allo sbocco dell'attuale via Tor Millina e piazza Navona, presso S. Agnese in Agone, e la vigna suburbana situata nella località detta Muro Clinato, oggi viale del Muro Torto, fuori della Porta del Popolo. Non dimenticò né le figlie legittime, Isabella, nata dal primo matrimonio, ed Eleonora, per la quale aveva combinato nel 1542 una sfortunata unione con Gian Luigi Fieschi conte di Lavagna, né i figli naturali: Elena riconosciuta e legittimata da Innocenzo Cibo, alla quale lasciò 5000 scudi d'oro, e Scipione figlio dell'Aguilar. Aveva dato inoltre da tempo istruzioni precise ad Alberico su come gestire il patrimonio romano, consigliandogli di prelevare i denari depositati presso Marc'Antonio Pannilini, per investirli in immobili o "in qualche altro luogo sicuro", secondo i consigli del banchiere fiorentino Tommaso Soderini.
La M. morì il 16 giugno 1553, molto probabilmente a Massa. Il figlio Alberico ne traslò i resti nel duomo di Massa componendoli insieme con quelli del padre Lorenzo e del fratello Giulio Cibo.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Firenze, Mediceo del principato (lettere della M. a Cosimo I), filze 331, c. 315r; 336, cc. 41r-42r; 337, cc. 98r, 132r; 343, cc. 222r-223r; 357, cc. 110r, 574r-575r; 392, cc. 245r-246r; 393, cc. 270r-271r, 317, 724r; 394, c. 143r; 395, c. 355r; 397, c. 82r; 397a, c. 1072r; 399, c. 569r; 400, cc. 124r, 412r; 401, cc. 452r, 656r; 409, c. 688r; 410, c. 575r (Cosimo I alla M.); 411, c. 200r; 413, cc. 106r, 943r; Arch. di Stato di Massa, Archivio ducale, f. 484, inss. 7 (eredità del cardinale Cibo), 8 (testamento della M.); Archivio dei Malaspina di Fosdinovo, ff. 6 (testamento di Lucrezia d'Este), 9 (inss. 5, 6, 8), 11, 12, 13; Appendice al Carteggio Cybo: Archivio del cardinal Innocenzo Cybo, bb. 1-3, 5, 6; L. Staffetti, Il "Libro di ricordi" della famiglia Cybo, in Atti della Soc. ligure di storia patria, XXXVIII (1910), ad ind.; L. Ariosto, Lettere dalla Garfagnana, a cura di A. Cappelli, Bologna 1977, ad ind.; G. Viani, Memorie della famiglia Cybo e delle monete di Massa di Lunigiana, Pisa 1808, pp. 22-24 e passim; F. Musettini, R. M. e Giulio Cybo, in Atti e memorie delle Rr. Deputazioni di storia patria per le provincie modenesi e parmensi, II (1864), pp. 147-186; A. Virgili, Francesco Berni con documenti inediti, Firenze 1881, ad ind.; L. Staffetti, Giulio Cybo-Malaspina marchese di Massa. Studio storico su documenti per la maggior parte inediti, Modena 1892; Id., Il cardinale Innocenzo Cybo. Contributo alla storia della politica e dei costumi italiani nella prima metà del secolo XVI, Firenze 1894, passim; F. Petrucci, Cibo, Lorenzo, in Diz. biogr. degli Italiani, XXV, Roma 1981, pp. 255-257; Id., Cibo Malaspina, Giulio, ibid., pp. 271-274; U. Burla, Malaspina di Lunigiana. Dalle origini sino alla fine dei feudi imperiali, La Spezia 2001, ad nomen.