RICCARDO
(Riccardo di Sanseverino). – Nacque attorno al 1220, da Tommaso e da Siffridina.
La storiografia e i genealogisti napoletani hanno a lungo dibattuto per identificare il casato di Riccardo. Una tradizione guelfa, risalente al Malispini e al Villani, accolta poi dalla Cronaca di Partenope, dal Collenuccio e da moltissimi studiosi fino a Bartolommeo Capasso e a Huillard-Bréholles, lo ha assegnato alla famiglia d’Aquino. Un’altra tradizione, risalente a Scipione Ammirato, e fatta propria da molti studiosi nell’Ottocento, lo ha ritenuto della famiglia Rebursa. Vi è stato, poi, chi ha pensato che fosse di origine francese; chi ne ha fatto un esponente della famiglia Ruffo, chi infine, introducendo ulteriori elementi di confusione, lo ha identificato con Giovanni Della Ratta conte di Caserta alla metà del XV secolo. Si deve a Giuseppe Tescione la definitiva dimostrazione che Riccardo fu un esponente della famiglia Sanseverino, del ramo dei de Lauro (Tescione, 1990)
Dopo l’espulsione dal Regno del padre Tommaso nel 1224, pur nella sua condizione di ‘ostaggio’ di Federico II di Svevia, gli fu attribuita la titolarità della contea, ridimensionata nella sua antica estensione, sotto la tutela della madre Siffridina. È documentato per la prima volta nel 1232, ancora sotto la tutela materna. Nel 1239 gli furono affidati il conte Manfredi di Cortenuova e Gabriele di Pietrasanta, caduti prigionieri nella battaglia di Cortenuova. Molto probabilmente in quest’anno avviò la costruzione al lato del castello di Casertavecchia del torrione cilindrico, che è nel suo genere tra i più grandi d’Europa. Nominato valletto imperiale nel 1240, fu tra i familiari di Federico II e compare nei documenti di tutti gli anni che vanno dal 1239 al 1250. Sposò Violante, figlia illegittima dello Svevo, prima del luglio 1246, quando in una lettera imperiale è chiamato «gener generosus» (J.L.A. Huillard-Bréholles, Historia diplomatica Friderici II, I-VI, 1852-1861, VI) Possedeva tre case a Foggia, dove Federico aveva costruito uno splendido palazzo facendone la sua residenza principale, e dove molto spesso erano attivi gli uffici centrali della monarchia.
Nel 1243 fu all’assedio di Viterbo. Nel settembre dello stesso anno venne nominato vicario generale della Tuscia papale e, dopo qualche mese, vicario generale della marca di Ancona e di Spoleto. Conservò questa carica almeno fino al 1246, quando, essenzialmente per sua iniziativa, fu scoperta la congiura, cosiddetta di Capaccio, contro l’imperatore. L’anno seguente, con il cognato Tommaso d’Aquino, comandò la spedizione contro i saraceni di Sicilia, che, arresisi, furono deportati a Lucera in Puglia. Riccardo fu tra i baroni chiamati da Federico a essere consiglieri di suo figlio Enrico Carl’Ottone, quando nella dieta di Terni del febbraio 1247, accingendosi a una nuova spedizione in Germania, lo nominò ad appena nove anni vicario imperiale di Sicilia, con il titolo regio. Riccardo, con il cognato Tommaso d’Aquino, fu anche delegato da Federico a consiliarius et coadiutor di Gualtiero di Manopello, capitano generale di Sicilia, e fu invitato, in una lettera indirizzatagli dal suocero, a comportarsi «senza falsità perché suo consanguineo» (J.L.A. Huillard-Bréholles, Historia diplomatica Friderici II, cit., VI). Nel 1248 fu nominato capitano generale della Sicilia, e all’inizio dell’estate dello stesso anno ricevette nell’isola Luigi, re di Francia, che si dirigeva verso la Terrasanta. Incaricato di una inchiesta sulla situazione del Regno nel 1249, non fu forse estraneo a quell’ambiente di Corte che portò alla condanna di Pier della Vigna.
Si potrebbe documentare che i due ebbero dei rapporti, sia pure indiretti, prima del 1246: tuttavia il testo della lettera consolatoria (presente nell’Epistolario) del notaio, scritta a nome dell’imperatore e indirizzata a Riccardo per la morte del fratello N. vescovo di Teate (Chieti), è tramandato da una dubbia tradizione manoscritta.
Riccardo fu tra i testimoni del testamento di Federico redatto nel dicembre del 1250. Dopo la morte dell’imperatore appoggiò Manfredi, e con Tommaso d’Aquino indusse i Capuani ad assalire la città di Sessa perché si schierasse contro Corrado, l’erede designato da Federico. Il 25 gennaio 1251 è ricordato in una lettera di Innocenzo IV da Lione indirizzata al legato pontificio nel Regno di Sicilia, affinché lo attirasse, con promessa di ricompense, nel partito pontificio. Il 27 gennaio lo stesso pontefice scrisse alla contessa Siffridina raccomandandole di indurre il figlio a tornare alla fedeltà della Chiesa. Il 17 giugno 1251 Riccardo era già passato nel partito del papa che, in tale data, gli confermò la contea di Caserta e i beni ricevuti dall’imperatore. Il 22 giugno 1251 Innocenzo IV, su sua richiesta, dette facoltà alle città di Napoli e di Capua di eleggere il podestà e dare statuti. Il 24 luglio lo stesso pontefice accreditò, tra gli altri, presso il conte di Caserta e sua madre un messo che aveva l’incarico di attrarre a sé Manfredi e il marchese di Hoenburg.
Nel 1253 Riccardo era passato nel partito di Corrado, che nel febbraio lo dice dilectus sororius; ma dopo la sua morte (21 maggio 1254) tornò nel partito pontificio, e il nuovo papa Alessandro IV il 22 gennaio 1255 lo dice «dilectus filius nobilis vir Riccardus comes casertanus fidelis noster» (Capasso, 1874, p. 103). L’8 aprile dello stesso anno il pontefice pretese che nei patti con Edmondo d’Inghilterra per la conquista del Regno fossero esplicitamente confermate le concessioni pontificie al conte di Caserta. Dopo la vittoriosa reazione di Manfredi contro l’esercito pontificio, e la sottomissione di tutta la Terra di Lavoro, Riccardo si schierò nuovamente con il cognato, dal quale nel gennaio 1257 ottenne nuove concessioni. Dopo l’incoronazione di Manfredi a Palermo, è elencato in un interdetto di Alessandro IV del 1259 tra i nobili che, insieme al nuovo sovrano, non dovranno essere accolti dagli abitanti del Regno, pena la scomunica. Nel gennaio del 1264 il nuovo pontefice Urbano IV confermò questa disposizione del suo predecessore. Il 17 giugno 1263, nel progetto di trattato tra papa Urbano IV e Carlo d’Angiò per l’investitura del regno, fu prevista la cessione alla Chiesa della contea di Caserta. Nel 1265 Riccardo, fedele a Manfredi, nella sua qualità di capitano generale ‘di qua dal Faro’, apprestò le difese del regno in Terra di Lavoro nell’imminenza dell’invasione di Carlo d’Angiò. Il passo di Ceprano non venne fatto oggetto di particolare attenzione, e il 2 febbraio 1266 l’Angioino passò per il ponte di Ceprano, quasi sguarnito.
Un’antica tradizione, volutamente calunniosa, molto probabilmente originata negli ambienti guelfi, accolta nelle aggiunte al Tesoro di Brunetto Latini, in alcuni cronisti e nei ben noti versi di Dante «e l’altra il cui ossame ancor s’accoglie a Ceperan, là dove fu bugiardo ciascun Pugliese» (Inf. XXVIII, 15-17), riferisce del tradimento di Riccardo, motivandolo con un, invero improbabile, rapporto incestuoso di Manfredi con la sorella Violante, moglie di Riccardo, morta peraltro nel 1265. Certo è che nella battaglia di Benevento del 26 febbraio Riccardo lasciò il campo. Passato dalla parte dell’invasore, riconobbe il cadavere di Manfredi e, come fedele del nuovo re, nel giugno fu ricevuto – non senza diffidenza – da Clemente IV.
Morì prima del maggio 1267.
Il figlio Corrado ereditò la contea di Caserta e i feudi paterni, sotto la tutela dell’ava Siffridina, che aveva mantenuto buoni rapporti con la Curia pontificia. Il nuovo conte di Caserta e la nonna sostennero però subito dopo la causa di Corradino di Svevia, e furono per questo condannati da Carlo d’Angiò al carcere a vita. Siffridina morì nel marzo del 1279 nel castello di Trani. Corrado ottenne la clemenza del re dopo trentasei anni.
Le dispute erudite intorno alla famiglia di Riccardo, sopra menzionate, sono state accompagnate da una serie di argomentazioni volte ora a giustificare, ora a condannare il mutevole e ondivago comportamento di Riccardo dopo la morte di Federico, fino al tradimento a Ceprano e Benevento. L’atteggiamento di Riccardo è stato ulteriormente censurato e condannato dagli scrittori napoletani quando è stato giudicato tenendo presente le tragiche vicende della madre Siffridina e del figlio Corrado, due figure dalla incrollabile fede sveva e antiangioina. Le vicende dei conti di Caserta hanno finito per diventare argomenti di esercitazione retorica e letteraria sul tema della infedeltà e dell’incostanza dei napoletani, fino ad alimentare una tradizione popolare pervenuta fino ai nostri giorni.
La recente assegnazione di Riccardo al casato dei Sanseverino può aiutare a scoprire la motivazione fondamentale del suo comportamento. Riccardo, come tutti i Sanseverino, prima in età normanna e poi negli anni di Federico II, sostenne con forza una concezione policentrica ed egualitaria del potere, che trovava il suo fondamento nell’autonomia delle signorie territoriali nate con la conquista normanna. La nascita del Regno aveva instaurato una struttura unitaria, nella quale il potere dei signori della conquista aveva trovato un ridimensionamento e un limite nella organizzazione gerarchico-vassallatica con al vertice il sovrano. Dapprima i Sanseverino congiurarono contro re Ruggero appoggiandosi all’Impero. Poi, al tramonto della dinastia degli Altavilla, sostennero l’invasione staufica del Regno e la sua unione all’Impero. Quando però Federico, di ritorno dalla Germania nel 1220, emanò le disposizioni di Capua e impose la sua autorità ai feudatari del Regno, la famiglia Sanseverino, con Tommaso, padre di Riccardo, fu nuovamente in prima linea per rivendicare l’ampiezza delle giurisdizioni signorili. I ribelli, sconfitti, andarono in esilio lasciando in ostaggio i propri figli. Riccardo, prima ostaggio dell’imperatore, poi suo valletto e suo genero, fu anch’egli condizionato nel suo operato dai valori sostenuti dal padre e dai suoi antenati.
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