TUPPUTI, Riccardo
– Nacque a Bisceglie il 17 marzo 1788, primogenito del marchese Domenico Antonio, originario di Andria, e di Nicoletta Fiori.
La sua infanzia fu segnata dalle conseguenze dell’attività politica del padre che, proprietario di importanti tenute in agro andriese e laureato in medicina a Napoli, aveva immediatamente abbracciato le idee della Rivoluzione francese animando i primi club repubblicani dell’Italia meridionale. Domenico Antonio Tupputi fu arrestato una prima volta nel 1794 per aver cospirato nel gruppo guidato dal canonico Ippolito Berarducci e condannato a quattro anni di carcere nell’isola di Pantelleria e, appena tornato in libertà, nel 1799 contribuì insieme al cognato Massimo Fiori a impiantare, animare e poi difendere le istituzioni repubblicane nel territorio di Andria. Fuggito con la famiglia a Napoli, scampando così alla strage sanfedista del 25 marzo, per difendere l’ultimo baluardo repubblicano, egli fu, dopo il 13 giugno, imprigionato dalla giunta di Stato e condannato a morte, pena poi commutata in esilio ventennale con confisca di tutti i beni; partì dunque, seguito dopo pochi mesi dai figli, per Marsiglia e poi per Parigi.
Arrivato in Francia all’età di undici anni, Riccardo dovette proseguire la propria formazione iniziata nelle Puglie e, insieme al fratello Ottavio (v. la voce in questo Dizionario) di un anno più giovane di lui, fu ammesso al Prytanée français, come in epoca rivoluzionaria era chiamato il liceo in precedenza noto come Louis le Grand. Al termine di questa formazione, spinto dal padre che nel frattempo era tornato ai propri interessi naturalistici, si avviò allo studio parallelo dell’economia e della chimica; per quest’ultima disciplina fu ammesso nel laboratorio del chimico, farmacista e saggista Louis Nicholas Vauquelin, assurto alla notorietà negli ultimi anni del XVIII secolo per la scoperta del cromo e del berillio, divenendone allievo e poi collaboratore.
Riccardo interruppe gli studi per intraprendere la carriera militare al seguito delle armate napoleoniche arruolandosi – insieme al padre e al fratello – nelle legioni italiane all’interno dell’esercito francese. In tale veste divenne dapprima maggiore e poi capo battaglione, fu distaccato sul fronte spagnolo nel 1808, dove ricevette una ferita alla testa tanto grave da fargli perdere permanentemente le funzioni di un occhio.
La nuova condizione di invalido spinse Tupputi a riprendere gli studi di chimica, ritrovando il proprio posto nel laboratorio di Vauquelin, dove si dedicò allo studio del tantalio, scoperto pochi anni prima, di cui intuì correttamente la differenza rispetto al niobio (all’epoca chiamato columbio dallo scopritore Charles Hatchett). Tali studi si concretizzarono in una lezione tenuta all’apertura annuale dell’Institut de France, probabilmente nel 1809.
Contemporaneamente, egli iniziò a dedicarsi allo studio dell’elemento cui avrebbe legato il suo nome di chimico: il nichel. Il giovane pugliese riuscì per primo, nel 1810, a separare questo elemento ‘per via umida’ dalla lega naturale chiamata speiss, costituita dallo stesso, dal cobalto e da altri metalli.
Dopo aver ottenuto l’elemento puro, riuscì rapidamente a determinarne il peso specifico esatto (8,38 N/m³) e lavorò sull’ossido e sui composti del nichel, provando oltretutto la velenosità di questi ultimi. L’insieme di questi studi confluì in un Mémoire sur le nickel pubblicato dapprima nel volume LXXXIX delle Annales de chimie e successivamente ripubblicato in italiano nel 1815.
La famiglia Tupputi, che non era tornata nel Regno di Napoli al momento della seconda fuga di Ferdinando IV di Borbone in Sicilia nel 1806, probabilmente in considerazione del fatto che i beni di famiglia erano stati definitivamente confiscati nel 1799, decise di muoversi nel 1813 al seguito di Ottavio, che aveva proseguito la carriera militare sotto le insegne napoleoniche, si era fatto notare da Gioacchino Murat durante la campagna di Russia e, su richiesta di quest’ultimo, era passato dall’armata dell’imperatore a quella napoletana.
Rientrato in patria, Riccardo fu accolto come socio onorario nell’Accademia napoletana delle scienze: in tale veste, in particolare, gli fu affidato l’esame di un’analisi chimica delle acque termali della provincia di Terra di Lavoro; non sembra, peraltro, che Tupputi durante il decennio si fosse segnalato per la propria partecipazione alla vita politica del Paese, a differenza del fratello, legato al sovrano da riconoscenza e grado militare.
Una simile scelta di vita ritirata è confermata dal fatto che, al ritorno dei Borbone dopo la sconfitta di Murat, mentre Ottavio subì un periodo di emarginazione in spregio a quanto stabilito dal trattato di Casalanza, Riccardo poté far valere le proprie competenze in materia di economia e amministrazione e nel 1816 ricevette la nomina di incaricato alla soprintendenza dei viveri e foraggi per la Sicilia. E l’anno successivo – avendo il suo lavoro ricevuto il plauso del sovrano per i risparmi che aveva reso possibile nel ramo militare – fu nominato membro permanente della stessa con nomina definitiva e dislocamento nei domini al di là del faro.
Simili riconoscimenti, tuttavia, non significarono un’adesione di Riccardo al restaurato regime borbonico: come l’anziano padre, marchese Domenico Antonio, che rientrato a Bisceglie era diventato maestro di una vendita carbonara e in seguito dei ‘greci in solitudine’, anche lui abbracciò probabilmente la via dell’opposizione clandestina appartenendo, se non a società segrete, per lo meno a circoli favorevoli alla fine dell’assolutismo nel Regno delle Due Sicilie.
Solo una posizione riconosciuta all’interno di almeno uno dei settori che contribuirono alla rivoluzione costituzionale del 1820, infatti, può spiegare il ruolo assegnato a Riccardo Tupputi nei giorni immediatamente successivi al moto di Nola: toccò a lui, sfidando un tentativo di arresto da parte della polizia borbonica, arrivare la mattina del 5 luglio alla caserma di cavalleria presso il ponte della Maddalena per recare a suo fratello Ottavio il segnale che avrebbe portato all’insurrezione del reggimento Dragoni Ferdinando e lo spostamento di questo e del gemello Regina Cavalleria verso Monteforte, dove erano accampati i primi seguaci di Morelli e Silvati.
Partito al seguito delle truppe, Riccardo giunse ad Avellino. ove aprì una ‘officina di contabilità’ e mise al servizio dell’esercito costituzionale l’esperienza amministrativa maturata in Sicilia venendo nominato direttore generale e ufficiale pagatore delle truppe ormai comandate da Guglielmo Pepe. In tale veste, egli dovette gestire le finanze e soddisfare i pagamenti dei «boni e borderò» che gli ufficiali costituzionali emettevano per sostentare i propri uomini nei giorni della proclamazione della costituzione.
Il settore del fronte politico cui i fratelli Tupputi appartennero durante l’ottimestre costituzionale fu certamente quello liberal-militare guidato da Pepe: in primis grazie al legame personale tra i membri delle due famiglie, tanto che le due coppie di fratelli condivisero l’appartamento napoletano sito al n. 4 di vico Freddo a Chiaia; in secundis perché nei mesi successivi, insieme al maggiore Vincenzo Pisa e al capitano Luigi Blanch – uomini appartenenti all’entourage del generale calabrese – Riccardo ebbe l’incarico di effettuare alcuni viaggi nell’Italia centrale e settentrionale per sollecitare il soccorso delle vendite carbonare marchigiane, romagnole e lombarde.
Questi incarichi, ancor più che il ruolo avuto nella giornata del 5 luglio, contribuirono ad aggravare la posizione di Riccardo di fronte alla Gran Corte speciale chiamata a decidere della cosiddetta causa di Monteforte, celebrata contro gli iniziatori del moto costituzionale, che spiccò contro di lui un mandato d’arresto il 24 settembre 1822.
Per lungo tempo l’alta polizia napoletana, non riuscendo ad avere lumi sulla latitanza di Tupputi, lo considerò espatriato insieme a molti altri condannati per la stessa causa e solamente la notte dell’ 8 agosto 1826 egli fu scoperto e arrestato mentre si nascondeva nei cunicoli sotterranei sottostanti una masseria in agro di Bisceglie. Tradotto a Napoli di fronte alla Commissione suprema pe’ reati di Stato, fu considerato uno dei principali cospiratori del 1820 e condannato a morte «col terzo grado di pubblico esempio» il 27 gennaio 1827, pena commutata – dietro supplica della madre del condannato – in quella dell’ergastolo dal nuovo re Francesco I tre giorni dopo, quando il detenuto si trovava già ‘in cappella’ in attesa dell’esecuzione.
La lunga latitanza in condizioni estreme, la condanna e l’attesa del patibolo avevano comunque minato definitivamente la mente di Tupputi che fu recluso nel manicomio criminale di Aversa, dove morì, folle, il 5 febbraio 1836.
Fonti e Bibl.: Collezione delle leggi e de’ decreti reali del Regno delle Due Sicilie. Anno 1818. Semestre I, Napoli 1818, passim; Giornale del Regno delle Due Sicilie, 27 gennaio 1827; P.E. Imbriani, Parole epicedie pel generale Ottavio Tupputi senatore del Regno, Napoli 1865; M. Manfredi, La missione Blanch, Pisa e Tupputi nel 1820, in Samnium, XXXVI (1936), pp. 23-38; G. Testi, L’opera scientifica e patriottica di R. T. chimico pugliese (1788-1836), in Rivista di storia delle scienze mediche e naturali, 1938, vol. 20, pp. 33-36; A. Lucarelli, I pugliesi nella causa di Monteforte, in Japigia, XVI (1945), p. 86-95; F. Schlitzer, R. T. nella rivoluzione napoletana del 1820-21, in Samnium, XIX (1946), pp. 67-95; A. Lucarelli, La Puglia nel Risorgimento, III, Trani 1951, pp. 121, 200, 220, IV, 1953, ad indicem.