SELVATICO, Riccardo
– Nacque a Venezia il 16 aprile 1849, da Ercole, possidente terriero, e dalla contessa padovana Luigia Cortesi. Ebbe due fratelli: Silvestro (1844-1937), scienziato e patriota, che aveva lasciato il Veneto austriaco per studiare all’Università di Torino e partecipare come volontario alla terza guerra di indipendenza, e Bianca (1854-1933), futura sposa dell’amico e stretto collaboratore Giovanni Bordiga.
Dopo aver completato il liceo Santa Caterina di Venezia, si trasferì a Padova per frequentarvi la facoltà di giurisprudenza. Partecipe del vivace clima culturale del tempo e del diffuso interesse per il teatro seguito all’Unità d’Italia, al caffè Pedrocchi si trovava a discutere con altri intellettuali.
Per l’amata Anna Maria Carolina Charmet, detta Nina (1848-1938), cominciò a comporre poesie già dal 1868 e agli stessi anni data la stesura di un testo teatrale, intitolato Filippo di Macedonia. Esordì il 25 giugno 1870 con l’opera teatrale Una condanna, rappresentata a Mira di Venezia e accolta con benevolenza dalla critica, anche per la giovane età dell’autore.
Frattanto a Venezia il nobiluomo decaduto Angelo Moro Lin dette vita a una compagnia veneziana per riproporre le opere più note di Carlo Goldoni e altre tradotte nel dialetto lagunare. Selvatico gli consegnò la sua commedia intitolata La bozeta de l’ogio, che andò in scena il 27 febbraio 1871 al teatro Camploy, con un successo immediato.
Si parlò allora di rinascita della grande tradizione teatrale veneziana, sebbene del tutto diversa fosse la realtà che Selvatico aveva rappresentato: non c’era più l’operosa borghesia mercantile di settecentesca memoria, ma poveri ambienti domestici di «impiraresse», le infilatrici di perle, e gondolieri. Tuttavia la vivacità e il ritmo incalzante dei dialoghi permisero a La bozeta de l’ogio di essere accolta con favore nei teatri italiani, spingendo il giovane commediografo Giacinto Gallina a seguire la stessa strada.
Il 19 ottobre 1871 Selvatico si unì in matrimonio a Venezia con l’amata Nina: dall’unione nacquero l’anno seguente Ercole, detto Lino, e, nel 1873, Luigi. Nello stesso anno conseguì la laurea in giurisprudenza presso l’Università di Padova. Proseguì l’impegno in campo teatrale componendo in lingua italiana e collaborando con diverse compagnie. A mosca cieca risultò un insuccesso, mentre La contessa Elodia fu apprezzata dal pubblico fiorentino e romano, ma non da quello veneziano.
Il 4 aprile 1876 al teatro Goldoni di Venezia portò una nuova commedia in veneziano I recini da festa, di ambientazione popolare, con personaggi caratterizzati da maggior spessore psicologico e una trama più articolata: si parlò subito di capolavoro.
Mentre si susseguivano le recite dei Recini da festa, si tenevano quelle di La contessa Elodia, con cui a Roma Selvatico consolidò la fama di autore teatrale. Suoi differenti testi venivano rappresentati contemporaneamente in varie città, interpretati da alcune delle personalità teatrali più impegnate, come Alamanno Morelli e Luigi Bellotti Bon o, in campo dialettale, da Emilio Zago oltre ad Angelo Moro Lin.
Al lavoro di autore, Selvatico affiancò quello di uomo di teatro a tutto campo; in contatto con Giuseppe Giacosa già dagli anni Settanta, nel 1884 aiutò Giovanni Verga nella rappresentazione della Cavalleria rusticana. Fu di quel periodo anche l’idea di gestire in prima persona un teatro, di fronte alla necessità di ripensare gli edifici e l’attività gestionale, in conseguenza della nuova legislazione in materia di sicurezza.
Nel 1882 iniziò la stesura di Un logheto in campagna e, dopo aver scritto parecchie scene, la completò a quattro mani con l’amico Gallina, mutandone il titolo in Pesci fora de aqua. Vi si rappresentava la proverbiale incapacità dei veneziani a vivere in terraferma, sottesa la difficoltà a connettersi con il presente. Sullo sfondo il ricordo goldoniano della villeggiatura, ma il pubblico non apprezzò.
Cominciarono frattanto a giungere a Selvatico riconoscimenti di varia natura. Il Comune di Pordenone gli conferì il 2 gennaio 1882 la cittadinanza onoraria per aver donato alla locale confraternita di carità i beni del commediografo e medico veneziano Antonio Molinari, lì trasferitosi e di cui Selvatico era stato nominato erede testamentario; nel medesimo anno fu nominato cavaliere dell’Ordine della Corona d’Italia, nonché socio residente per la classe delle lettere dell’Ateneo di Venezia. Nel 1886 divenne, inoltre, socio onorario della Società di mutuo soccorso fra i maestri elementari della provincia di Treviso.
Attorno al 1888 avviò la stesura di un nuovo dramma in veneziano, mai completato (I morti o Marcello, dal nome del protagonista): un lavoro dalla trama complessa che avrebbe dovuto portare in scena figure problematiche, dagli stati d’animo cupi e sfuggenti, sulla scia dei drammi di Giacosa e di modelli d’Oltralpe quali Henrik Ibsen e Anton Čechov.
Non databile la produzione poetica di Selvatico, per lo più giovanile, a eccezione del componimento La regata (1° agosto 1891). Rimasero inediti i testi in lingua e pubblicati postumi parte di quelli in veneziano, tra cui un omaggio a Venezia (Notte d’agosto); delicate scene domestiche (Nina-nana) e di tragedia materna (In morte di una bambina) o epitalami dedicati alla moglie (Prima e dopo; Dopo e prima). L’incanto della caduta della neve sulla città fu descritto nell’Arlecchinata, l’anima proletaria trionfante fu rappresentata con Le tabacchine, che con la loro giovinezza, all’uscita dalla manifattura, scuotevano per un attimo la città.
Nel 1888, su pressione di Antonio Fradeletto, divenuto in quell’anno consigliere comunale, Selvatico aderì al comitato per l’erezione del monumento a Paolo Sarpi, manifestando le sue posizioni anticlericali. L’anno successivo, su spinta di Sebastiano Tecchio, esponente della sinistra e direttore del giornale L’Adriatico, aderì al programma progressista e fu eletto consigliere comunale, con la nuova legge elettorale che aveva allargato il suffragio e stabilito la nomina del sindaco all’interno dello stesso consiglio comunale. La maggioranza risultante fu composta dai progressisti, vincitori delle elezioni, e da una parte dei moderati, dopo vent’anni di dominio politico e culturale conservatore. L’accordo programmatico fu ridurre la pressione fiscale ai ceti più poveri e avviare un piano di edilizia popolare. Il 19 novembre 1889 divenne sindaco il conte Lorenzo Tiepolo e Selvatico fu nominato assessore. Già il 6 aprile 1890, in seguito a rotture interne al fronte moderato e all’approvazione di un ordine del giorno presentato da Giovanni Bordiga che si contrapponeva alla linea del sindaco in carica, Tiepolo rassegnò le dimissioni. La crisi si risolse con la nomina a sindaco di Selvatico, che in quel momento si trovava a Milano e che fu raggiunto da un telegramma recante la notizia della nomina il 21 aprile 1890. Accettò solo dopo reiterate insistenze dei suoi sostenitori, tra cui Sebastiano Tecchio.
Il «sindaco-poeta», come venne definito in modo spregiativo, in realtà molto popolare per la sua attività culturale con cui aveva rilanciato il dialetto e l’anima veneziana, impresse una svolta significativa all’amministrazione di Venezia, superando anche lo scoglio di due elezioni parziali. In base alla legge elettorale allora vigente, infatti, ogni anno un quinto dei consiglieri veniva sorteggiato e doveva nuovamente sottoporsi al voto popolare, situazione che per Selvatico si verificò sia nel 1892 sia nel 1893. Molteplici i provvedimenti adottati, fra cui la riduzione delle imposte di famiglia, per la vendita al minuto oltre al costo dei traghetti. Selvatico contribuì al miglioramento della condizione economica dei maestri e degli edifici scolastici, erigendone a san Samuele e santo Stefano. Istituì la scuola professionale e riformò la serale e festiva. Fece ristrutturare e costruire case popolari, scavò rii e pavimentò campi. Si preoccupò di sostenere il commediografo Gallina in precarie condizioni economiche, con un vitalizio di 2500 lire concesso dalla giunta municipale nel febbraio del 1894.
Alcuni provvedimenti adottati dall’amministrazione Selvatico assunsero un forte carattere simbolico in senso laico e anticlericale, come l’inaugurazione del monumento a Paolo Sarpi, avvenuta il 20 settembre 1892, e la circolare a firma dell’assessore all’istruzione Giovanni Bordiga del 15 novembre 1892 che, richiamando l’applicazione delle norme legislative in materia di insegnamento religioso, proibiva la recita della preghiera a scuola. All’ingresso ufficiale nel 1894 del patriarca Giuseppe Sarto in basilica di San Marco, la cui nomina fu ritardata di un anno dal governo Giolitti, nessun membro dell’amministrazione municipale fu presente. Sull’onda delle manifestazioni operaie e per garantire l’ordine pubblico, la giunta Selvatico attribuì alla neonata Camera del lavoro una sede provvisoria e un sussidio triennale di 10.000 lire.
L’idea più innovativa del sindaco Selvatico, maturata dai tavolini del caffè Florian, dove si trovava a discutere con gli amici artisti, e presentata in consiglio comunale il 19 aprile 1893, fu costituire una «istituzione di pubblica utilità e beneficenza» per ricordare il 25° anniversario di matrimonio di Umberto e Margherita di Savoia attraverso un’esposizione artistica. Dopo l’approvazione, avvenuta il 30 marzo 1894, il sindaco stesso, l’assessore competente Bordiga e Fradeletto, nominato segretario, realizzarono la grande Esposizione internazionale d’arte, inaugurata dai reali sovrani il 30 aprile 1895.
Lo straordinario successo dell’Esposizione, chiamata poi Biennale, e il completamento del programma di mandato non furono sufficienti a confermare la maggioranza che aveva sostenuto il sindaco Selvatico nelle elezioni del 28 luglio 1895. L’offensiva di clericali e moderati, alleati per l’occasione e sostenuti dalla capillare attività nelle parrocchie promossa dallo stesso patriarca Sarto, fece loro conseguire un’ampia maggioranza, anche se Selvatico fu confermato consigliere e per coerenza declinò la nomina ad assessore. L’8 novembre, a chiusura della Esposizione, Gabriele D’Annunzio ne celebrò la lungimiranza nel discorso ufficiale intitolato Allegoria dell’autunno.
Per Venezia si aprì allora la lunga stagione del sindaco Filippo Grimani, mentre per Selvatico iniziò la carriera parlamentare. Eletto deputato nel 1897, seguì i temi a lui cari, come la nuova legge sui maestri, una legge specifica per la laguna di Venezia e la questione tributaria, oltre alle successive Esposizioni d’arte di Venezia. Mantenne anche l’impegno come consigliere sia del Comune di Venezia sia di Roncade, rinunciando a ricandidarsi in Parlamento nelle successive elezioni.
Morì improvvisamente il 21 agosto 1901, rientrato nella villa di famiglia a Roncade, dopo una tumultuosa seduta del consiglio comunale di Venezia.
Opere. Nessuno fra i lavori letterari di Selvatico fu pubblicato lui vivente. Solo nel 1910 Antonio Fradeletto dette alle stampe i testi veneziani, con un’operazione fortemente selettiva che determinò la dispersione o l’oblio dei restanti materiali, alcuni dei quali furono parzialmente conservati allo stadio ideativo o redazionale nell’archivio privato di famiglia, per cui si veda R. Selvatico, Commedie e poesie veneziane, a cura di A. Fradeletto, pubblicato per i tipi di Treves (Milano 1910 e 1922), e quindi ristampato per Garzanti (Milano 1946).
Fonti e Bibl.: Venezia, Biblioteca del Museo Correr, Archivio privato Selvatico, di cui si veda il relativo inventario, a cura di M.G. Siet Casagrande, Venezia 1995; A. Scannapieco, Un sindaco a teatro (per una riconsiderazione storico-critica del teatro di R. S. (con un’appendice di documenti inediti), in Problemi di critica goldoniana, IX (2002 [ma 2003]), pp. 251-338; Venezia nell’età di R. S., a cura di T. Agostini, Venezia 2004.