RIPAMONTI, Riccardo
RIPAMONTI, Riccardo. – Nacque a Milano il 1° ottobre 1849 da Giuseppe e da Maria Moretti.
Il padre, abile intagliatore, lo indirizzò alla scultura. Nel 1864 risultava iscritto alla scuola di figura a Brera, dove continuò la sua formazione sotto il magistero di Pietro Magni. Partecipò alla campagna dei garibaldini nel 1866, a testimonianza di come la sua coscienza civile fosse viva sin dalla più giovane età. Dopo questa esperienza terminò gli studi artistici e nel 1876 partecipò all’Esposizione scolastica di Brera, presentando una statuina in marmo intitolata Contro la forza l’intelligenza.
Sin dal suo esordio Ripamonti prese le distanze dalla maniera degli epigoni della scuola di Milano, la cui scultura rappresenta l’ultima fase di quel romanticismo lombardo del quale Magni fu uno dei campioni.
Ancora giovane, Ripamonti si distinse per una certa particolarità dei modi, poco accademici e per certi versi vicini alla disinvoltura di Giuseppe Grandi, lasciando subito intuire un temperamento originale.
Nel 1877 presentò a Brera il Rabott (Pizzajuolo), una scultura di genere in cui è evidente la propensione per quel naturalismo spicciolo e disinvolto, spinto a toni quasi caricaturali, tipico di molta della produzione giovanile dell’autore, caratterizzata da modi corsivi e poco composti, tanto da risultare per molti versi arditi, come nel caso delle due sculture in marmo che Ripamonti espose a Brera nel 1878, una Figuretta e Il patito. In quello stesso anno partecipò all’Esposizione universale di Parigi con un lavoro di maggior impegno, in termini sia formali sia di concetto: Dies Irae, un gruppo in gesso che espose poi a Milano nel 1887 e ancora a Parigi nel 1889.
Con quest’opera si inaugurava un filone che poi sarebbe stato molto praticato dall’artista e che gli avrebbe dato la maggior fama, quello della scultura d’impegno civile, quando non più espressamente sociale.
Negli anni Ottanta Ripamonti realizzò e presentò al pubblico una serie di opere nelle quali affrontava temi di un certo spessore, con un linguaggio sempre incline al verismo, ma capace di una maggiore magniloquenza. Pensiamo a Robespierre (Milano, Esposizione della Reale Accademia di belle arti, 1880), a Chi per la patria muor (Torino, Esposizione nazionale, 1880; Milano, Esposizione nazionale di belle arti, 1881), ad Amor nazionale (Torino, Esposizione nazionale, 1880) e soprattutto al gesso intitolato Caligola, che Ripamonti presentò a Brera nel 1888. Nel corso di quel decennio si fece anche intensa l’attività espositiva dello scultore, presente con continuità alle mostre annuali milanesi di Brera e della Permanente, ma anche all’Esposizione di belle arti in Roma nel 1883, a Torino, oltre che nel 1880 all’Esposizione italiana del 1884, e a Londra nel 1888, nelle sale della «Italian Exhibition», dove portò un ritratto in marmo del 1883, Ninetta.
Nel 1885 Ripamonti realizzò al cimitero Monumentale di Milano il monumento per Carlo Borella, un gruppo scultoreo di impianto allegorico; sarebbe tornato in seguito a lavorare nel cimitero milanese realizzando la sepoltura di Carlo Brioschi (1910).
Accanto alle sculture dalle tematiche di impegno civile, Ripamonti continuò a licenziare opere di minor tenore, realizzate in bronzo e caratterizzate da un verismo più minuto, vicino al gusto del bozzetto di genere, ma spesso animate da una certa disinvolta freschezza nella fattura: Rabotto e Rabotta (1879), Gill (1880), Pattinatrice (1882), Alfonsino (1883), Venditore di pesci, Al mercato, Fresca e bella (1884), Gennaio, Amore materno, Il riposo (1885), La preghiera (1886), Post prandium (1888), e la più nota L’acqua per il pane, presentata alla I Triennale milanese nel 1891, all’Esposizione italoamericana nel 1892 a Genova e all’Esposizione annuale della Permanente di Milano già nel 1887, però con il titolo A Monopoli (l’acqua pel pane).
Dai primi di giugno del 1883 Ripamonti soggiornò lungamente a Lugano, poiché era stato incaricato del collaudo di alcune statue realizzate nella città svizzera, all’interno del tempio dei Premi del tiro federale inaugurato proprio in quell’anno.
Si trattava di un incarico prestigioso, che provocò malumori e rimostranze da parte di alcuni artisti svizzeri, tanto che intervenne Vincenzo Vela a garantire le doti di Ripamonti, ritenendolo adatto a tale compito. Ciononostante, egli visse con rammarico la situazione, rifiutando anche alcune commissioni per non acuire il malcontento che lo circondava.
Di salute cagionevole, sin dalla giovane età Ripamonti aveva l’abitudine di passare l’estate in villeggiatura in compagnia della moglie Ida, detta Ninina. A partire dai primi anni Ottanta trascorse lunghi periodi in varie località della Lombardia: Blevio, Groppino, Lanzo d’Intelvi, Olmo al Brembo, Travedona, Vendrogno e San Giovanni Bianco, dove dimorò più stabilmente a partire dall’ottobre del 1910. Durante questi soggiorni, era in contatto diretto con l’amico fraterno Achille Alberti, con il quale condivideva lo studio in via Stella 39 a Milano.
Il momento più importante per la carriera di Ripamonti fu la partecipazione alla I Triennale milanese del 1891, la mostra che vide imporsi il verbo realista nella scultura. Egli espose, accanto alla più tradizionale L’acqua per il pane, il celebre Errore giudiziario, un gesso a dimensioni naturali nel quale lo studio psicologico si coniuga con un’attenzione minuziosa alla resa dei particolari. In armonia con la tendenza ormai predominante nella plastica lombarda, Ripamonti imboccò con decisione la via del realismo impegnato e in occasione della Triennale del 1894, allestita in seno alle Esposizioni riunite, presentò il gesso intitolato Ultimo Spartaco, una sorta di omaggio allo Spartaco di Vela, l’incarnazione di chi lotta per i propri diritti.
Errore giudiziario raccolse anche le lodi del re che, in occasione della sua visita all’esposizione del 1891, si intrattenne in un veloce dialogo con l’autore, chiedendogli come gli fosse venuta l’idea di quest’opera e complimentandosi per l’espressione profonda del lavoro. Questa scultura può essere considerata l’esito più significativo di tutta la precedente ricerca dell’autore, da sempre improntata a un vivo interesse per la realtà, tradotto poi in opera attraverso una modellatura spigliata e un linguaggio spesso declinato secondo intonazioni fortemente espressive. Insieme a Ultimo Spartaco – un muscoloso contadino che a differenza di quello di Achille D’Orsi non giace affranto e stremato, ma si ribella –, Errore giudiziario consacrò Ripamonti sin da quell’epoca come uno dei principali rappresentanti di quella corrente che Leone Fortis (1895) definiva «scultura sociale», cioè «quella scultura che – derivante in linea retta dal Proximus tuus di Achille D’Orsi – intende esprimere un concetto di rivolta, o qualche condizione dell’uomo che direttamente si riattacchi alle condizioni della società, ed ai problemi che la tormentano, ad esempio l’operaio senza lavoro o il contadino che si ribella e insorge o le conseguenze della guerra» (p. 63).
Nel 1897 Ripamonti partecipò alla III Triennale di Milano con D’ozii beato e di vivande, un impietoso ritratto a figura intera di papa Alessandro VI Borgia che fu al centro di vivaci polemiche. La statua, di un verismo quasi brutale, venne premiata dalla giuria del premio Canonica, ma rifiutata per immoralità dal consiglio accademico che impose all’autore di apportare alcune modifiche per renderla meno indecente. Questa vicenda, che provocò all’autore una grande amarezza, anticipò quanto accadde nella successiva edizione della rassegna milanese, quando a Ripamonti venne rifiutata la scultura Caino (1900), nel cui accentuato realismo, anche psicologico, si legge tutta quella tesa partecipazione dello scultore al dramma dell’uomo, quel sentimento che lo spinse a forzare espressivamente il linguaggio, pur nell’accurato naturalismo con cui restituiva sempre l’anatomia umana.
Nel giugno del 1902, su indicazione di Carlo Romussi, la Veneranda Fabbrica del duomo di Milano gli commissionò una statua a figura intera per un pilone interno della cattedrale: Tubalcain. Nel 1906 partecipò all’Esposizione internazionale di Milano, nota anche come Esposizione del Sempione, presentando Waterloo, un maestoso gruppo scultoreo che rappresenta Napoleone a cavallo, colto dopo la disfatta. Di fattura solida ed equilibrata, questo ritratto colpisce per l’intonazione decisamente antieroica.
Un’eco di questi modi si percepisce nell’ultima importante commissione cui lavorò Ripamonti: il monumento al generale Giuseppe Missori, inaugurato il 7 maggio 1916 nell’omonima piazza a Milano.
Ripamonti realizzò un gruppo il cui pacato naturalismo rifugge intonazioni accademiche e tentazioni retoriche, soprattutto nella figura del cavallo, che è uguale a quello del Napoleone di Waterloo.
Dopo questo importante lavoro, che ancora una volta non mancò di suscitare vivaci critiche, l’impegno professionale dell’autore si fece meno pressante ed egli si dedicò soltanto ad alcune non impegnative realizzazioni.
Morì a Milano il 15 settembre 1930.
Fonti e Bibl.: Milano, Archivio dell’Accademia di Brera; Archivio della Società per le belle arti ed esposizione permanente; Archivio dell’ospedale Maggiore - Ca’ Granda.
L. Fortis, L’arte alle Esposizioni Riunite di Milano, Milano 1895; E.A. Marescotti, Il monumento a G. Missori e lo scultore R. R., in Emporium, 1916, vol. 44, n. 259, pp. 72-78; A. Panzetta, Dizionario degli scultori italiani dell’Ottocento, Torino 1990; V. Vicario, Gli scultori italiani..., Lodi 1990; F. Fergonzi, Una pista per il nudo scultoreo. Da Enrico Butti a Francesco Messina, in La Città di Brera. Due secoli di scultura (catal.), a cura di G.M. Accame - C. Cerritelli - M. Meneguzzo, Milano 1995, pp. 106-139; C. Casero, La scultura di R. R. (1849-1930) tra impegno civile e protesta sociale, in Arte lombarda, 2009, n. 157, 3, pp. 88-95; Ead., La ‘scultura sociale’ tra il vero e l’ideale. Realismo e impegno nella plastica lombarda di fine Ottocento, Verona 2013, pp. 87-99.