ORESTANO, Riccardo
– Nacque a Palermo il 26 maggio 1909 da Francesco e da Sofia Travaglia.
La sua formazione fino agli anni dell'adolescenza si svolse privatamente, con l'ausilio di precettori e sotto la direzione del padre, professore di filosofia (accademico d'Italia dal 1929). Durante gli studi universitari nella facoltà di giurisprudenza di Roma, i suoi interessi si orientarono verso le materie storico-giuridiche, dopo aver ascoltato casualmente, nel dicembre 1931, la prolusione di Salvatore Riccobono, insigne studioso di diritto romano. Con lui si laureò nel 1932, discutendo una tesi sulla cognitio extra ordinem, il processo civile nell'età dell'impero, un tema poco trattato in quegli anni, di cui Orestano studiò i presupposti politici e istituzionali.
La ricerca sul passato, la scrittura teorica, l'insegnamento divennero il filo conduttore della sua biografia. Dal 1932 al 1935 fu assistente nell'Ateneo di Roma, dal 1935 al 1937 professore incaricato di istituzioni di diritto romano e di diritto romano nell'Università di Camerino. Cominciò in quegli anni la lunga frequentazione con Giuseppe Capograssi, filosofo del diritto di orientamento cattolico e di acuta sensibilità per la storia giuridica, allora professore e rettore nell'Università di Macerata.
I suoi primi lavori furono: La valutazione del prezzo nel fedecommesso e nel legato di “res aliena” e nella “fideicommissaria libertas”, in Annali della facoltà di giurisprudenza dell'Università di Camerino, X (1936), pp. 225-256 (la materia dei fidecommessi fu tra le prime cui Augusto applicò la cognitio); La durata della validità dei privilegia e beneficia nel diritto romano classico, in Studi in onore di Salvatore Riccobono, Palermo 1936, III, pp. 473-487; Gli editti imperiali (contributo alla teoria della loro validità ed efficacia nel diritto romano classico), in Bullettino dell'Istituto di Diritto Romano, XLIV (1936-37), pp. 219-331; Il potere normativo degli imperatori e le costituzioni imperiali, Roma 1937 (vi sono sviluppate le riflessioni sull'auctoritas); Augusto e la cognitio extra ordinem, in Studi economico-giuridici dell’Università di Cagliari, XXVI, 1938, pp. 153-191 (questi lavori sono ora ripubblicati, assieme a tutti i contributi non monografici, in Scritti, I-IV, Napoli 1998, rispettivamente alle pp. 35-66, 67-84, 99-213; 215-308, 515-555).
Orestano analizzò il mutamento di regime realizzatosi con il principato augusteo: l'auctoritas (prestigio e forza militare) gli appariva come un ‘potere di fatto’, mutevole, non riducibile a rigidi schemi giuridici; e riscontrava nell'impero una ‘costituzionalità al seguito dei fatti’, un potere personale non inquadrabile entro sicuri tratti teorici.
L'accuratezza storiografica teneva distinti questi scritti dalle suggestioni autoritarie, amplificate dalla cultura fascista e dominanti tra i ceti intellettuali negli anni Trenta (come il paradigma di un potere indiviso, che unifica dall'alto la comunità), suggestioni che invece lo indussero a scrivere tre testi di propaganda (Eutimia italica, in Universalità fascista, VIII [1936], pp. 473-477; Vittoria secondo diritto, ibid., pp. 529-531; Intorno al problema storico-politico del Mediterraneo, Siena 1942; ora ripubblicati in Scritti, cit., pp. 85-91, 93-98, 705-725), con qualche enfatico richiamo all'antica Roma. Testi che non ebbero seguito, da lui stesso successivamente mai citati e di scarso rigore argomentativo.
Nel 1937 vinse il concorso a un posto di professore straordinario di istituzioni di diritto romano nell'Università di Cagliari. La vittoria fu accompagnata da polemiche e da una relazione di minoranza, eco di contrapposizioni vivaci che dividevano la romanistica italiana. Orestano non era un seguace del metodo interpolazionistico (che in base ad analisi formali andava alla ricerca di alterazioni nei testi utilizzati dai compilatori bizantini, distinguendo due sistemi giuridici: uno classico, dalla repubblica al principato, e uno giustinianeo). Questo fu un primo motivo di contestazione. Inoltre vi era una prevalenza di argomenti di diritto pubblico, anch'essa non era apprezzata, e l’estratto anticipato in tema di ius singulare (Ius singulare e privilegium in diritto romano: Contributo storico-dommatico, Tolentino 1937, in Scritti, cit., pp. 309-513), pur trattando temi privatistici, non rispondeva ai canoni del pensiero sistematico.
Insegnò a Cagliari fino al 1939, quando fu chiamato all'Università di Siena, dove, passato ordinario, nel 1940 diventò preside della facoltà di giurisprudenza, ufficio che mantenne fino al 1942.
Negli studi successivi al concorso dedicò particolare attenzione alla storia delle idee giuridiche (Dal "ius" al "fas", in Bullettino dell'Istituto di Diritto Romano, XLVI [1939], pp 194-273; Elemento divino ed elemento umano nel diritto di Roma, in Rivista internazionale di filosofia del diritto, XXI [1941], pp. 1-40; i due i testi ora in Scritti, cit., pp. 559-640, 641-672). Tra il 1940 e il 1941 pubblicò sul Bullettino dell'Istituto di Diritto Romano le prime due puntate di un'ampia indagine sul matrimonio romano, in cui la ricerca sulle forme giuridiche del rapporto coniugale andava oltre il piano della fattualità, per cogliere il fondamento delle iustae nuptiae nel consenso socialmente oggettivato, nell'affectio intesa come vincolo reciproco e come dato spirituale.
Con la guerra si determinò una svolta profonda nella vita e nell'opera di Orestano. Catturato dai tedeschi nel novembre 1943, fu deportato in Germania, avendo rifiutato di aderire alla repubblica di Salò, come veniva offerto a tanti soldati italiani imprigionati dopo l'8 settembre, ed essendosi quindi sottratto al reclutamento militare al fianco dei nazisti, imposto da Mussolini.
Aveva cominciato ad allontanarsi idealmente dal fascismo nel 1938, dopo le leggi antiebraiche, vissute come una negazione del diritto, leggi che tra l'altro colpivano la moglie Rosanna Morpurgo e la sua famiglia di origine (cfr. Della 'esperienza giuridica' vista da un giurista, in Rivista trimestrale di diritto e procedura civile, XXXIV [1980], pp. 1173-1247, in partic. p. 1178). Ora – nell'autunno del 1943 – di fronte all'attacco tedesco, arrivava il momento di uscire allo scoperto, assumendo una piena responsabilità e schierandosi contro il fascismo nelle sue ultime e più tragiche forme. Trascorse due anni di internamento nei campi, tra fatiche e umiliazioni: due anni che furono anche di dolorose riflessioni sugli orrori del totalitarismo. «Anni duri, aspri, difficili in ogni senso e per ognuno» avrebbe scritto molto più tardi (ibid.) «anni che per molti ... segnarono l'inizio di una svolta. Diverse le direzioni, diverse le manifestazioni, diverse le reazioni: per molti – tantissimi – 'nulla dopo uguale a prima'. Qualcuno, di certo, lo aveva già detto, lo aveva testimoniato, lo aveva 'patito' prima; ma non quanti se ne vantarono 'dopo'. Per me il tempo della svolta fu allora». Fu allora la scelta antifascista. Solo scegliendo la deportazione, era divenuto libero.
Partecipò all'attività di resistenza nei campi di concentramento tedeschi. Dopo il ritorno in Italia, fu tra i fondatori dell'Associazione nazionale ex internati in Germania, della quale continuò a essere, fino alla morte, il presidente onorario.
Negli anni successivi alla prigionia e alla liberazione, riprese l'insegnamento a Siena. Le sue prospettive di ricerca cambiarono profondamente e accanto al lavoro storiografico divenne più intenso l'impegno teorico, con il determinante influsso di Capograssi. Basta leggere le Ventotto pagine necessarie, introduzione scritta nel 1950 a La struttura giuridica del matrimonio romano dal diritto classico al diritto giustinianeo (Milano 1951), un saggio che contiene un programma di lavoro. Il dover essere che le norme enunciano appare in queste pagine come il prodotto di un'opera di astrazione e generalizzazione; ma lo storico deve squarciare lo schermo delle astrazioni, deve ripercorrerne l'itinerario formativo: andare oltre gli ‘istituti’ (coi quali si concettualizza il dato-norma), per mettere a fuoco le ‘istituzioni’, che comprendono in sé valori, situazioni empiriche, vita concreta. Erano già visibili, in queste immagini, gli elementi costitutivi del concetto di esperienza giuridica, che Orestano prendeva da Capograssi e che usava come schema per la descrizione storica: fusione di realtà sociale, norme, idee giuridiche. Il soggetto preponderante era la scienza, intesa nel senso più vasto, come intelligenza delle cose e costruzione normativa, secondo il messaggio di un'opera di Capograssi del 1937, Il problema della scienza del diritto.
Nel 1950 Orestano fu chiamato alla cattedra di diritto romano della facoltà giuridica di Genova. Aveva da poco intrapreso una ricerca più complessa, di cui fissò le linee nella prolusione genovese, il 16 dicembre 1950. Durante gli anni successivi pubblicò una serie di scritti, destinati a uscire dai confini romanistici: letti da molti giuristi e utilizzati nella comune ricerca di una storicizzazione e di un rinnovamento delle rispettive discipline. Mentre insegnava a Genova, divenne membro della Société d'Histoire di Parigi e fu direttore della Scuola centrale tributaria del ministero delle Finanze. Furono suoi allievi Luigi Raggi, Franca De Marini Avonzo, Giovanni Tarello.
Alcuni tra i lavori più significativi del periodo genovese sono: Diritto romano, tradizione romanistica e studio storico del diritto, in Rivista Italiana per le Scienze Giuridiche, LXXXVII (1950), pp. 156-264 (ora in Scritti, cit., pp. 879-989; Il diritto romano nella scienza del diritto, in Jus, II (1951), pp. 141-178 (ora in Scritti, cit., p. 991-1030); L'appello civile in diritto romano, Torino 1952 (II ed., 1953); Introduzione allo studio storico del diritto romano, Torino 1953 (punto d'arrivo delle ricerche sulla cognitio); Sociologia e studio storico del diritto, in Jus, VIII (1957), pp. 199-222 (ora in Scriti, cit., p. 1303-1328); 'Obligationes' e dialettica, ibid., X(1959), p. 145-157 (ora in Scritti, p. 1341-1356); Azione, in Enciclopedia del Diritto, IV, Milano 1959, pp. 785-829 (ora in Scritti, p. 1357-1400); Diritti soggettivi e diritti senza soggetto. Linee di una vicenda concettuale, in Jus, XI (1960), p. 149-196 (ora in Scritti, cit., pp. 1401-1450).
I lavori degli anni Cinquanta ruotavano dunque intorno a tre questioni centrali: anzitutto, la distinzione tra diritto romano e tradizione romanistica, da cui scaturirono varie linee d'indagine sul pensiero che va dal Rinascimento all'Ottocento; in secondo luogo, il rapporto tra le categorie ‘dogmatiche’ moderne e lo studio del diritto romano; infine, il contributo specifico che lo studio storico poteva dare alla scienza del diritto. Il primo obiettivo degli studi romanistici era allontanare il proprio oggetto dal presente, riportare l'antico ius alla sua effettiva storia, rifiutandone ogni attualizzazione. Un'affermazione così recisa costituiva una novità. Il concetto di tradizione romanistica serviva in questo ambito discorsivo a riassumere l'insieme dei processi di trasmissione culturale attraverso i quali si sono formati i diritti civili dell'Europa continentale, che hanno usato e interpretato materiali normativi provenienti dal Corpus iuris.
Stando all'analisi di Orestano, le culture giuridiche che hanno costituito la tradizione sono tutte segnate da una consapevolezza più o meno sviluppata della propria distanza dalle antiche leges. Vi è sempre perciò una tensione nelle dottrine che muovono dalla compilazione giustinianea. In nessun momento la scienza giuridica si limita a riesumare testi normativi del passato, il suo lavoro consiste sempre nell'aggiungere qualcosa, nel riformulare e nel trasformare i modelli.
Alla luce della discontinuità tra il diritto romano e la scienza moderna, Orestano definiva il rapporto fra astrazioni teoriche e studio storico. La storiografia giuridica – sosteneva – ha bisogno di concetti capaci di descrivere i diritti del passato. Non possono chiamarsi dogmi, poiché non sono indiscutibili e derivano da un'elaborazione problematica, condotta in base alla lettura delle fonti. Sono gli strumenti di questa lettura, forgiati nel confronto con i testi. Per quanto riguarda lo ius dei romani, non coincidono con gli schemi elaborati dagli antichi giuristi, sono creati dallo storico; ma non sono gli schemi in cui si usa sistemare i dati del presente.
Il diritto romano gli appariva pluralistico al suo interno e mutevole: non un ordinamento stabile, ma un insieme di vicende giuridiche che si comprendono solo ripercorrendo i contesti di cui sono partecipi. Lo stesso metodo vale per i concetti fondamentali della scienza moderna, come è evidente nella voce Azione (1959) e nell'articolo Diritti soggettivi e diritti senza soggetto (1960), lavori più volte utilizzati dagli studiosi di diritto processuale civile e dai civilisti. In quelle pagine Orestano mostrava come le categorie del diritto soggettivo e dell'azione, tra Ottocento e Novecento, avessero cambiato significato. Le sistematiche che ponevano al centro la nozione di soggetto e si ispiravano all'individualismo di origine giusnaturalistica erano tramontate, con la nascita di una nuova teoria d'impronta statualistica. Le sfere di libertà degli individui venivano concepite quali variabili dipendenti rispetto alle determinazioni normative e agli apparati di coercizione che ne garantivano l'efficacia. Dunque i concetti cambiavano significato con le vicende storiche. Nessuna geometria formale poteva sottrarsi agli accadimenti e alle ideologie. Proprio su questo punto, il suo insegnamento ebbe fortuna tra i non romanisti e soprattutto fra gli studiosi più giovani. Prospettava infatti l'osservazione delle esperienze particolari come unica via per individuare le concrete direttive dell'agire sociale. La conoscenza realistica era la base indispensabile di un'interpretazione del diritto alternativa alla tutela (consueta) degli interessi più forti.
La seconda edizione della Introduzione allo studio storico del diritto romano (1961) fu una conclusione degli insegnamenti svolti a Genova. Essa offriva per grandi squarci una storia degli studi romanistici, fino alle tendenze più recenti, e contemporaneamente una narrazione delle principali dottrine giuridiche europee. Il libro esercitò un'influenza profonda sulla scienza del diritto del secondo Novecento e su generazioni di studenti.
Nel 1960 Orestano fu chiamato alla facoltà di giurisprudenza dell'Università di Roma, dove insegnò dapprima storia del diritto romano. Le lezioni dei primi due anni, tornando ai temi pubblicisti, si indirizzarono verso l'analisi delle strutture del potere (e della produzione giuridica) nella Roma arcaica. Esse furono raccolte nel libro I fatti di normazione nell'esperienza romana arcaica (Torino 1967). Trascorso un biennio dalla chiamata, passò alla cattedra di diritto romano. Da allora fino alla fine degli anni Settanta adottò sempre come testo base l'Introduzione, alla quale si aggiunse Il problema delle persone giuridiche in diritto romano (in forma definitiva, Roma 1968), anche questo un corso che metteva a confronto le teorie moderne col pensiero romano.
Tra gli anni Sessanta e Settanta, Orestano tradusse nell'attività didattica i risultati delle ricerche, mentre la sua autorevolezza accademica si rafforzava. Assieme ad altri giuristi, in particolare alcuni che erano con lui nell'Ateneo romano, come Massimo Severo Giannini, Gino Gorla, Mario Nigro, fu promotore di un nuovo approccio allo studio del diritto, di impronta antiformalistica, aperto all'analisi dei fatti sociali e delle forme di vita. Si può parlare in proposito di un peculiare storicismo: una visione contrapposta al primato del sistema e teoricamente lontana dai modelli neo-idealistici, della quale Orestano fu il portavoce teorico più conseguente e che definiva ‘storicismo individualizzante’. I punti di riferimento erano costituiti soprattutto dalle intuizioni storicizzanti dell'Umanesimo, dal primo Savigny – con la distinzione tra elemento politico ed elemento tecnico nei fenomeni giuridici – e poi da Rudolf von Jhering, di cui condivideva una visione dinamica degli interessi e della lotta per il diritto.
Dal 1964 al 1972 fu presidente del Comitato per le scienze giuridiche e politiche del Consiglio nazionale delle ricerche. Svolgeva, al margine dell'impegno scientifico, anche l'attività professionale di avvocato al servizio di enti pubblici (così, dopo la nazionalizzazione dell'energia elettrica, assistette l'Enel assieme a Giannini e Nigro, nel contenzioso con le aziende espropriate).
Di fronte al movimento studentesco del 1968, alle richieste di modernizzazione degli studi e all'esigenza che l'università esprimesse una cultura non classista, non legata agli interessi dei ceti dominanti, assunse un atteggiamento di dialogo e di disponibilità al cambiamento. Fu tra i docenti riformisti che tentarono di mediare e creare le condizioni di un impegno comune tra l'istituzione universitaria e gli studenti. Il punto di incontro doveva essere la sperimentazione di nuove regole e nuove strutture organizzative dell'università, da decidere autonomamente entro gli atenei, con il contributo degli studenti e dei così detti ‘docenti subalterni’. La proposta fu avanzata in un documento del 1° marzo 1968, firmato da Giannini, Orestano, Giovanni Pugliese e da giovani studiosi, tra cui Stefano Rodotà e Sabino Cassese.
Orestano concluse l'insegnamento universitario con un'ultima lezione, tenuta il 19 maggio 1979, alla presenza di numerosissimi colleghi, allievi e amici e pubblicata con il titolo Lasciando la cattedra (in Il foro italiano, CII [1979], pp. 141 s., 149 s.; ora in Scritti, cit., p. 1731-1750).
In pensione dal 1984, fu nominato, con voto unanime della facoltà, professore emerito nel 1985. L’anno successivo divenne socio nazionale dell'Accademia dei Lincei (di cui era stato socio corrispondente dal 1974).
Scrisse ancora, negli anni successivi, saggi e libri, ove spiegava con linguaggio semplice la sua visione. In primo piano tra le opere dell'ultimo decennio di vita è una nuova edizione dell'Introduzione, con un titolo in parte mutato: Introduzione allo studio del diritto romano (Bologna 1987). Non vi era più bisogno – a suo avviso – di scrivere ‘studio storico del diritto romano’. Ormai considerava vinta la battaglia culturale intrapresa nel dopoguerra. Il diritto romano non poteva che essere studiato storicamente. Non conteneva regole valide per l'oggi, non era interpretabile come un diritto vigente, non era un sistema a cui attingere exempla fuori dal tempo. Sulla sua storicità e sulle cesure della tradizione continuò, fino agli ultimi anni, a meditare e a scrivere.
Morì a Roma l'11 novembre 1988.
Fonti e Bibl.: G. Tarello, Quattro buoni giuristi per una cattiva azione, in Materiali per una storia della cultura giuridica, VII (1977), pp. 145-167; M. Brutti, Storiografia e critica del sistema pandettistico, in Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno, IV (1979), pp. 317-360; A. Calore, La riedizione dei saggi di O., in Democrazia e diritto, I (1980), pp. 129-135; F. De Marini Avonzo, R. O. (1909-1988), in Studia et documenta historiae et iuris, XLIV (1988), pp. 555-567; A. Masi, R. O. (1909-1988), in Iura, XXXIX (1988), pp. 260 ss.; P. Grossi, Storia di esperienze giuridiche e tradizione romanistica (a proposito della rinnovata e definitiva 'Introduzione allo studio del diritto romano' di R. O.), in Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno, XVII (1988), p. 533-550; F. De Marini Avonzo - G. Crifò - A. Mantello, Sulla 'Introduzione', 1987, in Labeo, XXXIV (1988), pp. 209-230; M. Brutti, Antiformalismo e storia del diritto. Appunti in memoria di R. O., in Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno, XVIII (1989), pp. 675-728; A. Mantello, Nota di lettura, in R. Orestano, Scritti, Napoli 1998, pp. XV-XXI; Ricordo di R. O., introd. di G. Conso, in Atti della accademia nazionale dei Lincei. Classe di scienze morali, storiche e sociologiche. Rendiconti, s. 9, XX (2010) 4 (A. Mantello, O. 'par lui même' ; M. Bretone, La sua lezione); P. Grossi, Testimonianza per un maestro: R. O., in Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno, XXXIX (2010), pp. 919-928; M. Campolunghi, R. O., in Dizionario biografico dei giuristi italiani (XII-XX secolo), II, Bologna 2013, pp. 1461-1464.