DELL'AQUILA (de Aquila), Riccardo
La data e il luogo di nascita del D. non sono noti; presumibilmente, egli discendeva dall'omonima famiglia normanna, originaria di L'Aigle nell'attuale dipartimento francese di Orne. Pare che egli sia stato il primo membro di questa famiglia a stabilirsi in Italia, e precisamente nel Lazio meridionale. Qui, il suo nome venne chiaramente inteso come cognome e non come toponimo, come dimostrano espressioni quali "Richardus, qui vocor de Aquila" o anche "Richardus, cui cognomen de Aquila indutum est". Il nome comunque non ha ovviamente nulla a che vedere con la città italiana dell'Aquila.
Il D. è ricordato per la prima volta in una notizia della cronaca di Montecassino, secondo la quale egli, insieme con i consoli di Fondi, Leone e Girardo, agli inizi degli anni Settanta dell'XI secolo, avrebbe donato all'abate Desiderio di Montecassino la chiesa di S. Onofrio, sita a nord di Campodimele (ora in prov. di Latina). Durante tutta la sua vita, il D. ebbe stretti contatti con la vicina Montecassino: intorno al 1090 sembra aver prestato giuramento di vassallaggio all'abate Oderisio per il castello di Suio, posto sul corso inferiore del Garigliano. L'anno seguente, donò allo stesso abate quattro monasteri posti nella provincia di Frosinone. Nel documento di donazione, che risale all'aprile dell'anno 1091, il D. si qualifica come "comes de castello Pica"; si tratta della località di Pico, posta a circa 10 km ad ovest di Pontecorvo (ora in provincia di Frosinone). Il documento è datato secondo gli anni di governo del signore feudale, il principe normanno di Capua Riccardo (II), redatto a Pontecorvo e sottoscritto dal signore del D., Rainaldo Ridello, ex duca di Gaeta e signore di Pontecorvo.
Il 1091 fu un anno di crisi per il dominio normanno nel principato di Capua: un'insurrezione loágobarda nella capitale costrinse Riccardo (II) e i normanni del suo seguito a ritirarsi ad Aversa, la loro antica sede, da dove poterono fare ritorno a Capua soltanto tre anni dopo. Nello stesso periodo, anche gli abitanti di Gaeta avevano cacciato Rainaldol il secondo duca della dinastia dei Ridello; dopo alcune titubanze si erano sottomessi a un certo dux Landenolfo, che pare, appartenesse alla dinastia locale soppiantata dai Normanni. I Ridello trasferirono allora la loro residenza nell'entroterra a Pontecorvo, dove l'ultimo rappresentante della famiglia, Gualgano, morì poco dopo il 1095. Soltanto a partire dal 1102, con Guglielmo de Blosseville, ritroviamo a Gaeta un duca normanno.
Il dominio normanno nel principato di Capua, tuttavia, non fu minato soltanto dalle insurrezioni della popolazione locale, ma anche dalle continue lotte tra gli stessi cavalieri normanni. Nel 1104, Roberto, fratello minore del principe Riccardo (II), si ribellò al suo legittimo signore; tra i suoi seguaci c'era probabilmente il duca di Gaeta, Guglielmo de Blosseville. Il D., diventato a sua volta duca di Gaeta prima del settembre 1105, sembra invece essersi alleato con Riccardo. In un documento non datato, risalente presumibilmente al 1105, il D. infatti, qualificato come "Rychardus de Aquila, Dei gratia consul et dux Kaietanus" e Roberto, "filius lordanis principis", come capi di due opposti partiti, promisero al vescovo Alberto di Gaeta di risparmiare, durante i loro combattimenti, le chiese, i monasteri e i possedimenti vescovili. Nello stesso anno, il D. donò al vescovo Alberto due mulini a Suio e contemporaneamente dispensò l'abate Guarino del monastero di S. Lorenzo in Aversa, di cui la famiglia del principe aveva il giuspatronato, da tutti i tributi e i servizi dovuti per le grandi proprietà terriere site nel territorio del suo ducato. Questo documento è sottoscritto, oltre che dal D. stesso e da suo figlio Andrea, anche da tre altri membri della famiglia Dell'Aquila. Tra questi, Goffredo potrebbe essere un figlio del D., mentre Rainaldo e Gualtiero erano forse suoi fratelli, cugini o nipoti. Il D., evidentemente, aveva attorno a sé un nutrito gruppo di familiari.
Oltre al ducato di Gaeta, la cui estensione territoriale non può essere ricostruita per quegli anni, il D. teneva anche la contea di Sessa (Sessa Aurunca) e ricevette inoltre in feudo, dal monastero di Montecassino, Suio e numerosi castelli nella zona orientale della contea di Pontecorvo. Per questi ultimi nel 1107 prestò giuramento di fedeltà all'abate Ottone con la consueta promessa di proteggerlo contro tutti i suoi nemici, tranne contro il papa, il principe Roberto di Capua e il suo signore feudale, il conte Ugo del Molise. Questi, approfittando della situazione di anarchia nel principato di Capua, era riuscito ad espandere il proprio dominio verso Occidente fino a Pontecorvo. Il D. dimostrò la sua fedeltà al papa quando, nella primavera dell'anno 1109, represse una sommossa accesa nel Lazio meridionale dal conte di Tuscolo e scortò Pasquale II fino ad Albano. A difficile stabilire quanto fossero solide le basi del dominio del D. nella stessa Gaeta. Nel i i og vi emise una sentenza in una lite tra il monastero di S. Erasmo di Formia e un autorevole cittadino di Gaeta, ma, a quanto pare, i duchi normanni non erano soliti intromettersi nella vita interna e negli affari della città marinara allora in piena espansione.
Il D. morì nel 1111. Il figlio maggiore Andrea gli successe nel ducato di Gaeta, ma mori poco dopo, intorno al 1113, a quanto pare senza lasciare discendenti. Dopo la sua morte il ducato di Gaeta tornò al principe di Capua, che vi insediò un suo parente minorenne, di nome Gionata, e in seguito lo zio di questo, il conte Riccardo di Carinola. La vedova del D., Rangarda, sposò in seconde nozze un conte Alessandro non altrimenti noto, e lottò ancora alcuni anni per tutelare i diritti dei suoi figli minori, ma nessuno di loro recuperò il ducato di Gaeta. Dei figli del D. e di Rangarda, viene un'unica volta citato, mentre era ancora in vita il padre, Pellegrino. Il già ricordato Goffredo, che sposò Adelicia, figlia del conte Rao di Teano, divenne conte di Sessa Aurunca, Fondi e Itri. Morì il 14 o il 15 genn. 1148 e viene ricordato sia nel necrologio della chiesa di S. Matteo di Salerno sia in quello di Montecassino, contro il quale aveva combattuto durante tutta la vita. Un quarto figlio, Riccardo, molto probabilmente fu investito da Ruggero II, tra il 1139 e il 1143, della contea di Avellino.
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