RICCARDO da Saliceto
RICCARDO da Saliceto. – Nato a Bologna verso il 1310, era figlio di Pietro di Bencivenne e sposò Cola Albiroli.
Ebbe due fratelli, Iacopo e Bencivenne. Quest’ultimo non ha lasciato tracce, mentre da Iacopo nacque il celebre Bartolomeo. Il contesto familiare fu rappresentato anche da giuristi di minore fama, come Roberto di Riccardo, Andrea di Roberto, Iacopo di Bartolomeo, Giovanni e Ludovico di Iacopo.
Fu allievo di Iacopo Bottrigari senior. È plausibile che l’autorevole maestro gli abbia facilitato l’accesso ai più esclusivi circoli accademici e politici di Bologna. Ebbe rapporti personali e professionali con Giovanni d’Andrea, Giovanni Calderini, Paolo dei Liazari. Fu sodale di Taddeo Pepoli, signore della città. Partecipò alla politica locale e italiana: membro del Consiglio degli Anziani e dei Sapienti, ambasciatore alla Curia pontificia (1335), a Napoli alla corte di Roberto d’Angiò, a Firenze (1350), a Milano (1351 e 1353).
Era in cattedra negli anni 1331-32 quando disputò due quaestiones. Nessuna notizia per gli anni precedenti. Il suo insegnamento di ius civile, a Bologna, è invece documentato per gli anni 1335, 1337-38, 1342-47, 1350-53 e forse insegnò ius canonicum nel 1337. Si sa poco per il periodo fra il 1354 e il 1362. Fu comunque professore a Padova nel 1357 e nel 1361 e secondo incerte congetture avrebbe insegnato a Vercelli e a Pavia.
Dal 1362 al 1366 insegnò a Firenze ius civile, in modo inusuale per l’intero Corpus iuris civilis, con un’esorbitante retribuzione annua di 800 fiorini d’oro a fronte dei 300 di Baldo degli Ubaldi e dei 25 di un dottore di medicina. Ma per il suo trasferimento a Firenze la città natale inflisse il bando «in personis et bonis» a lui e al figlio Roberto. Tornata Bologna nel potere del papa, la protezione romana gli consentì il ritorno nella città natale nel 1366. Ritroviamo Riccardo in un atto accademico nel 1369, e negli anni 1370-71 come lettore del Codex, ordinarie e de mane, con lo stipendio di 400 fiorini. Dopo un’ambasceria a Gregorio XI nel 1371 e per i molti privilegi ricevuti (licenza di costruire un mulino «cum quattuor rotis», una pensione di 200 fiorini da aggiungere allo stipendio), Riccardo era all’apice delle sue fortune politiche, accademiche e finanziarie, mentre il figlio Roberto, familiaris papae, otteneva la licenza di costruire un altro mulino e l’opportunità di scegliere fra il «vicariatus Butri vel Castris S. Ioannis aut Galetiae» (in Bellomo, Roma 1998, p. 76). Ad Andrea di Roberto, inoltre, era promessa una «castellania vel officium», e anche la podesteria di Imola «si vacet vel cum vacaverit» (ibid.).
Dal 1371 al 1376 Riccardo visse a Bologna. Seguirono anni di torbide vicende e scontri di piazza in cui egli fu coinvolto in quanto membro di un Consiglio di sedici Anziani eletto per mettere ordine. Ma nel 1377 il popolo in rivolta «ivit ad domum domini Richardi de Saliceto et domini Roberti, sui filii, causa robandi eos et ardendi domos suas» (in Bellomo, 1998, p. 78). Per il prestigio e il rispetto goduti Riccardo superò il momento avverso e continuò a insegnare, ma Roberto dovette abbandonare la città.
Morì i primi di gennaio del 1379 nel corso di una missione a Piacenza.
La sua geniale produzione scientifica fu presto dimenticata, superata dal successo e dalla fama del nipote Bartolomeo, figlio del fratello Iacopo, e per secoli è rimasta sostanzialmente ignota. Si sapeva poco di lui: secondo il Diplovataccio «nonnullos commentarios composuit et precipue super Codice […], quorum copia rara extat» (in Bellomo, 1998, p. 97). Singole quaestiones disputatae e repetitiones e pochi consilia venivano tramandati episodicamente in opere di Alberto Bruni, Giovan Battista Ziletti, Lapo dei Castiglionchi, Paolo di Castro, Flavio Torti. Tuttavia, in tempi recenti sono venute alla luce parti significative della sua produzione scientifica: frammenti di lecturae per viam additionum, consilia, repetitiones, sermones de doctorando. Di opere organiche, se mai ne compose, restano tenui tracce nei casus breves sul Codex. Fu però organico il suo pensiero.
Delle opere perdute sono state ritrovate nove Quaestiones disputatae, dodici in origine: un numero, il dodici, che dovette avere un preciso significato, se l’autore, o chi per lui, per non superarlo riunì in un testo continuo due Quaestiones in realtà distinte («Nunquid possessio possidentis», «Nunquid fuga infamati de furto»). Proprio nelle Quaestiones prese corpo la più organica e innovativa configurazione della moderna ‘categoria’ giuridica del contratto. Compare in esse la condanna della «vitiosa verborum et evitabilis superfluitas», alla quale va preferita la effectualitas, e vi è un uso frequente di modi arguendi: come, per esempio, nella quaestio «Locaverunt domini potestatem habentes», dove ricorre il modus «a partium enumeratione». Ma soprattutto è fortemente presente il problema della causa (figura, o categoria giuridica), rappresentata nelle sue essenziali articolazioni: «causa est duplex, essendi videlicet et fiendi»; a sua volta la causa essendi, come causa intrinseca, «est duplex, scilicet materialis et formalis», ed è anche duplice la causa fiendi, «scilicet efficiens et finalis», la quale peraltro, in opposizione alla prima, è extrinseca. La causa materialis, inoltre, ha propria qualitas e propria substantia, e la causa formalis non può mancare di una propria extrinseca solemnitas. Accanto alla causa comunque configurata esistono extrinsecae accidentiae. Esse non possono consistere in una odiosa artatio vel restringibilitas, e non alterano l’origo né la naturalitas dell’atto e variano nella incalcolabile molteplicità delle decisioni e delle azioni individuali, mentre sullo sfondo vi è sempre una materia remota, di per sé condannata alla consumptio, in considerazione della quale si innescano e hanno senso i meccanismi giuridici, come, per esempio, il grano in un contratto agrario. La materia remota è diversa dalla materia proxima, che dà vita alla causa materialis: perciò può dirsi che ogni contractus è materialis e formalis, e ciascuno appartiene a categorie che hanno propri nomina, o appellativi. E mai alcuna res prohibita può sostanziare una causa materialis.
La causa così configurata si rifrange in una pluralità di causae, specifiche per vari atti, marcate sempre dall’identica natura originaria.
Nell’interpretazione medievale si rinnovavano così le variae causarum figurae di Gaio, di età romana. Riccardo erigeva la causa a perno di un diritto che si fondava sulla volontà dei singoli e che esisteva per garantire l’ordine sociale attraverso azioni concordate e rimedi preordinati contro abusi ed eventuali violazioni. La raffinata teorizzazione comportava che lo schema negoziale, unilaterale o plurilaterale, avesse in sé, nel proprio ‘essere’ e nella propria ‘forma’, un’inesauribile capacità ripetitiva che mai si potesse consumare nell’uso, quali che fossero i temi, i luoghi, i tempi. Si definiva così la configurazione del contratto moderno, nella scuola con le quaestiones, nel processo con i consilia.
Per costruire la categoria del contratto Riccardo si servì largamente della dialettica, tanto da motivare il giudizio lusinghiero che fu del nipote Bartolomeo e sarà dei posteri: «in speculatione non habuit parem» (in Bellomo, 1998, p. 104). Un giudizio, tuttavia, che forse ha concorso a eliminare dalla scena gli effetti più incisivi del pensiero di Riccardo. Il quale non è giurista che va isolato dai tanti che lo hanno preceduto e che lo seguiranno, in un impegno civile che era cominciato con Irnerio e che da tempo dava frutti continui. La speculatio senza pari di Riccardo apparteneva a un intero ‘sistema’ di iura (e a valle di leges) che esprimeva le esigenze di una nuova vita urbana e portava a un confronto conflittuale con il ‘sistema’ signorile e feudale, forte e diffuso nella campagna: un conflitto che divampava in special modo negli ambienti cittadini in forte espansione politica, sociale, economico-finanziaria.
Il primo, il ‘sistema’ dello ius commune, era capace di offrire efficaci e duttili strumenti operativi, certi, di piena garanzia per la libertà individuale, ritenuti immutabili in parallelo con i dogmi religiosi; il secondo, il sistema signorile e feudale, era ancorato alla cultura originaria, altomedievale, fondata sulla forza delle armi e orientata dall’arbitrio, ma dal XII secolo costretta a rifondarsi nelle realtà urbane in espansione, e a qualificarsi come presentabile nei nascenti ‘apparati’ politico-amministrativi locali (dal Comune dei consoli alla Signoria cittadina), prossimi a diventare apparati di potere nelle forme mutate e nelle strutture dei Principati e più ancora nelle varietà dei grandi regna europei.
Era in questo contesto che si levava, forte, autorevole, la voce di Riccardo. Sicché le sue dottrine, le sue raffinate speculazioni esprimevano la loro piena fertilità e incidenza non solo sul piano culturale e accademico, ma anche e soprattutto nel campo delle realtà politico-sociali ed economico-finanziarie del suo tempo. Le causae (le categorie giuridiche) da lui teorizzate – come dai grandi giuristi che lo avevano preceduto – furono i tasselli di un grande movimento corale che aveva il fine (seppure difficile da raggiungere) di sconfiggere il vecchio feudalesimo, ancorato nelle campagne e resistente nelle nuove città. Non è dunque esagerato pensare a Riccardo come a uno dei grandi giuristi della prima età moderna, vissuto e attivo in un tempo di profonde rifondazioni civili.
Gli scritti di Riccardo sono rimasti inediti a lungo. Solo sparsi consilia, quaestiones, repetitiones si ritrovano in opere a stampa di Alberto Bruni, Giovan Battista Ziletti, Lapo dei Castiglionchi, Paolo di Castro, Flavio Torti. La sua memoria resta nei manoscritti.
Fonti e Bibl.: Casus: Biblioteca apostolica Vaticana, Pal. lat. 759; Vat. lat. 2514. Edizione: G. Pace, R. da Saliceto. Un giurista bolognese del Trecento, Roma 1995, pp. 195-349; Consilia: Bologna, Collegio di Spagna, 126, 211; Escorial, Biblioteca Real, D.II.7; Firenze, Biblioteca nazionale, Magliabecchi XXIX.174; Foligno, Biblioteca Seminarile L. Iacobilli, A.V.17; Napoli, Biblioteca nazionale, I.A.16; Torino, Biblioteca nazionale, E.I.14, F.III.4 (868); Biblioteca apostolica Vaticana, Barb. lat. 1396; Capponi 290; Pal. lat. 759; Urb. lat. 1132; Vat. lat. 8068, 11605; Venezia, Biblioteca Marciana, Lat. V.II. Per un codice perduto di Consilia Ricardi de Saliceto, ex membranis in tabulis, posseduto nel 1475 dalla Biblioteca Vaticana si veda M. Bellomo, Per un profilo della personalità scientifica di R. da Saliceto, in Studi in onore di Edoardo Volterra, V, Milano 1972, pp. 251-284, ora in Id., Medioevo edito e inedito, III, Roma 1998, p. 97 n. 3; Lecturae (frammenti): a) sul Digestum Vetus: Fulda, Hessische Landsbibliothek, D.23.a; Leiden, Bibliothek der Rijksuniversiteit, BPL 11.D; München, Bayerische Staatsbibliothek, Clm 3503, Clm 6201, Clm 28176; Torino, Biblioteca nazionale, E.I.4, E.I.15; Biblioteca apostolica Vaticana, Urb. lat. 172; Vat. lat. 1408, 1409, 1411, 1425; Venezia, Biblioteca Marciana, Zan. lat. 200; b) sull’Infortiatum: Vat. lat. 2514; c) sul Codex: Karlsruhe, Badische Landesbibliothek, Augiense memb. 7; London, British Museum, Arundel 439; Mantova, Biblioteca comunale, V.V.5; Milano, Biblioteca Ambrosiana, D.533.inf., E.25.inf.; New York, Pierpont Morgan Library, M.A. 447; Paris, Bibliothèque national, lat. 4530, 4533; Stockholm, Kungliga Biblioteket, B.682; Torino, Biblioteca nazionale, E.I.14, E.I.16; Biblioteca apostolica Vaticana, Barb. lat. 1462; Palat. lat. 757, 758, 759; Vat. lat. 1429, 1430; Vicenza, Biblioteca civica Bertoliana, 15.2.8; d) sul Volumen parvum: Biblioteca apostolica Vaticana, Vat. lat. 1436; Oppositiones et quaestiones: Escorial, Biblioteca Real, V.I.6; Quaestiones: Biblioteca apostolica Vaticana, Archivio S. Pietro A.29; Chigi E.VIII.245; Venezia, Biblioteca Marciana, Lat. V. CXVII (= 2458). Edizioni: la quaestio Nunquid possessio possidentis tamquam suam in M. Bellomo, Per un profilo della personalità scientifica, cit., pp. 93-128; nove quaestiones in Id., Due ‘Libri magni quaestionum disputatarum’ e le ‘quaestiones’ di R. da Saliceto, in Studi senesi, XVIII (1969) pp. 256-291, ora in Id., Inediti della giurisprudenza medievale, Frankfurt a. M. 2011, pp. 245-277; Repetitiones sul Codex: Paris, Bibliothèque Mazarine, 1434 (488); Paris, Bibliothèque national, lat. 4590; Biblioteca apostolica Vaticana, Urb. lat. 1132; Vat. lat. 2514, 11605; Sermones: Paris, Bibliothèque national, lat. 9634.
Riferimenti vari alla vita e all’opera di Riccardo da Saliceto ricorrono in una vasta letteratura che prende le mosse nel Cinquecento dal Th. Diplovatatii Liber de claris iuris consultis (I, a cura di H. Kantorowicz - F. Schulz - G. Rabotti, in Studia Gratiana, X [1968]), pp. 311 s., prosegue fino all’Ottocento con autori vari e trova una consacrazione d’alto profilo in F.C. Savigny, Geschichte des römischen Rechts im Mittelalter, VI, Heidelberg 1850 (rist. anast. Bad Homburg 1961) pp. 261, 263, 497. Per un’analitica rassegna di tale risalente storiografia sulla vita e l’opera di Riccardo vedi M. Bellomo, Per un profilo della personalità scientifica di R. da Saliceto, cit., pp. 95-97. Altre notizie in Id., Una famiglia di giuristi: i Saliceto di Bologna, in Studi senesi, XVIII (1969) pp. 387-417, ora in Id., Medioevo edito e inedito, cit., III, pp. 61-92; Id., I fatti e il diritto fra le certezze e i dubbi dei giuristi medievali (secoli XIII-XIV), Roma 2000, pp. 46 s., 113-155, e ad ind.; Id., Quaestiones in iure civili disputatae. Didattica e prassi colta nel sistema del diritto comune fra Duecento e Trecento, Roma 2008, ad ind.; G. Pace, R. da Saliceto. Un giurista, cit., passim.
Per il giudizio su Riccardo nel senso accennato alla fine del testo, si veda: M. Bellomo, Elogio delle regole. Crisi sociali e scienza del diritto alle origini dell’Europa moderna, introduzione di P. Barcellona, Leonforte 2012, pp. 27, 48, 88 s.