RICCARDI
. Famiglia di banchieri lucchesi. Taluni membri di questa casata diedero vita, nei primi del sec. XIII, a una compagnia mercantile, la cui attività si svolse in tutta Europa, contemporaneamente a quella della Magna tavola dei senesi Bonsignori. Infatti i R., che dall'esercizio della marcatura passarono ben presto a quello della banca, ebbero succursali in più parti d'Italia, in Francia, in Fiandra, in Inghilterra, in Irlanda, in Scozia, in Norvegia, nelle quali regioni, affiancandosi ad altre compagnie italiane, divennero dalla metà del secolo "campsores pape" e "mercatores regis": ossia depositarî delle decime pontificie, e finanziatori di principi per i molteplici bisogni della loro politica, che estendeva di giorno in giorno il campo d'azione. Un documento del 1277 fa conoscere che la compagnia Riccardi era stimata dai consiglieri papali come "maior et ditior et securior inter omnes": il che giustifica il fatto che da allora non soltanto partecipò alle più grandi operazioni finanziarie, ma prese addirittura a dominare il mercato europeo in tutti i settori dell'attività affaristica. Tale posizione di primo piano si protrasse fino quasi alla fine del Duecento, quando più circostanze concorsero insieme alla rovina. Già nel 1291 i R. erano stati duramente provati dal sequestro dei beni e delle persone effettuato nei riguardi di tutti i mercanti italiani da Filippo il Bello: né valse a loro la protezione di Nicolò IV, che raccomandò i suoi "diletti e fedeli" banchieri al re francese. Due anni dopo, quel papa portò egli stesso un altro colpo alla società con la richiesta che fece ai "mercatores lombardi" di versare centomila sterline a Edoardo I d'Inghilterra a titolo di aiuto per la progettata spedizione in Terra Santa: alla quale somma i R. contribuirono con 35.570 marchi, riducendo le loro disponibilità in un momento in cui dovevano far fronte a vasti impegni contratti in più località. Proseguiva intanto la lotta fra Angioini e Aragonesi per la conquista della Sicilia, e la "questione della Guascogna" stava per aprire il secolare conflitto tra Francia e Inghilterra. Mentre la Curia intensificava gli ordini di pagamento per portare aiuto ai principi alleati della Chiesa, Edoardo e Filippo diffidavano di far prestiti al loro rispettivo avversario e impedivano così quel giuoco di trasferimento di capitali da un paese all'altro, nel quale era consistita la fortuna della società. Poco dopo, constatando l'infrazione del divieto, o movendo dal semplice sospetto di quella violazione, provvidero alla confisca dei beni della società di qua e di là della Manica. Ciò produsse il panico dei creditori; e quei mercanti, a cui per l'innanzi era bastato fare una richiesta per avere a disposizione somme ingenti nei banchi delle fiere della Champagne, non ottennero il fido neppure per quantità limitatissime di danaro. Come se ciò non bastasse, Bonifacio VIII nel 1295 pretese da loro 40.000 fiorini e nel 1296 altri 80.000, e al rifiuto ripeté i sequestri e le carcerazioni fatte già dai due ricordati sovrani. Sembrò che una sosta alla rapida rovina si verificasse nel 1298, quando uno dei soci più potenti e più abili, Labro Volpelli, eletto priore di Lucca, ottenne che il comune prendesse la difesa della compagnia, raccomandandola alla benevolenza del pontefice. Ma l'aiuto arrivava tardi: perché alle cause esterne della crisi si era ora aggiunto, ed era insanabile, il dissidio tra i compagni, tramutatosi addirittura nella disperata ricerca che ciascuno faceva di evitare la propria responsabilità, e di salvare i miseri resti del patrimonio personale. Non rimaneva che il fallimento, le cui operazioni si protrassero nel primo decennio del Trecento.
La direzione del mondo economico medievale si spostò da Siena e da Lucca a Firenze. In Inghilterra, che era stato il centro della maggiore attività dei R., si avanzò la compagnia dei Frescobaldi, che avrebbe preparato la successione, per ricordare soltanto le maggiori, alle compagnie dei Bardi e dei Peruzzi.
Bibl.: E. Re, La Compagnia dei R. in Inghilterra e il suo fallimento alla fine del sec. XIII, in Archivio della R. Società romana di storia patria, XXXVII (1914), pp. 87-138; G. Arias, Studi e documenti di storia del diritto, Firenze 1901; H. Whitwell, Italian Bankers and English Crown, in Transaction of the Royal Historical Society, n. s., XVII (1903), pp. 175-233; E. Jordan, De mercatoribus Camerae Apostolicae saeculo XIII, Rennes 1909.