RICCARDI DI LANTOSCA, Vincenzo
RICCARDI DI LANTOSCA, Vincenzo. – Nacque a Rio de Janeiro il 9 febbraio 1829, primogenito di Leopoldo, che si era rifugiato in Brasile dopo il fallimento dei moti rivoluzionari piemontesi del 1821, e di Sara Cerroni.
A Nizza, dove la famiglia si era trasferita nel 1831, trascorse «tutta l’adolescenza, finché ebbe compiuto il primo anno degli studi legali (1847) in Nizza marittima, dove attese contemporaneamente ai classici studi delle Lettere latine, italiane e francesi, sotto la disciplina dei pubblici insegnanti governativi, e principalmente di suo padre», ufficiale di fanteria. Dal 1847 frequentò gli studi di legge all’Università di Torino e conseguì il grado accademico di «Bacelliere in Leggi» (Curriculum, c. 1v) per poi iscriversi alla facoltà di lettere e addottorarsi nell’agosto del 1854. In quello stesso anno iniziò la carriera di insegnante, che lo portò fino al grado di preside e poi di provveditore, con «Due anni di tirocinio gratuito nel Collegio nazionale di Torino» (Mazzoni, 1900, p. XIII), un quadriennio nel R. Collegio di Aosta e, a partire dalla fine del 1859, un anno a Pinerolo, dove insegnò «lingua Francese nel Collegio-Convitto» (Curriculum, c. 1v) e lingua, letteratura, storia e geografia alla Scuola normale maschile. A partire dagli inizi degli anni Cinquanta, Riccardi di Lantosca cercò di affermarsi nel milieu letterario torinese dispiegando un’assai vasta e varia attività culturale gravitante soprattutto attorno alla figura di Giovanni Prati.
Riccardi fu poeta pratiano, per sua stessa ammissione a Eugenio Camerini: «Il Prati è messo a contribuzione da uno sciame di versificatori; da me più che da ogn’altro. Ma colpa sua. Egli è ricco; paghi per chi è povero. È il suo dovere, non mi scuso del furto; e mi propongo di morire nell’impenitenza finale» (lettera del 1° gennaio 1858, Firenze, Biblioteca nazionale centrale, V.307.58).
Riccardi fu anche promotore dell’opera di Prati, con recensioni, presentazioni, apologie; a favore di Prati, e contro molti dei poeti a lui avversi, diresse il settimanale Satana (1856), che non durò che sei mesi e gli attirò non poche critiche. Collaborò alle più importanti testate pubblicistiche torinesi (Il gabinetto di lettura, Il mondo letterario, Il mondo illustrato, Il diritto, Monarchia nazionale) e a strenne, con recensioni, prose autobiografiche, poesie lirico-filosofiche, stornelli alla Dall’Ongaro, traduzioni dal francese, finte traduzioni dal portoghese e dal franco-provenzale (le umoristiche Cantilene valdostane apparse nella strenna Sul Po), rispettivamente con gli pseudonimi di don Luiz de Vasconcellos e Innocenzo di Luda. Non perse infine l’occasione della guerra di Lombardia per cimentarsi anche nella poesia patriottica, prontamente riunita in un volume nella primavera del 1860 intitolato Dall’Alpi all’Adriatico. La prima importante prova poetica di Riccardi nacque all’insegna della patria, nel canto risorgimentale, e segnò un primo scarto dalla scuola pratiana, al cui maestro l’allievo sottrasse comunque la benedizione nella lettera prefatoria. Tale distinzione si attuò in un contesto eccezionalmente favorevole a Riccardi, la cui inesperienza in questo specifico genere poetico, la necessità di inanellare i versi al ritmo degli eventi bellici e il più che moderato monarchismo, impedirono il ricorso spontaneo al modello pratiano dei Canti politici (1852) e degli inni del 1859. Ma dopo un decennio di perseverante e poliedrica attività, che gli aveva valso un certo riconoscimento, il nuovo assetto politico costrinse Riccardi di Lantosca a lasciare il Piemonte alla volta delle scuole del Regno d’Italia. Il 15 gennaio 1859 sposò a Torino Anna Borgna di Garessio (nata il 7 agosto 1826): il matrimonio fu accompagnato da una raccoltina d’occasione Per nozze di Vincenzo Riccardi con Annetta Borgna di Giacinto Marenco e Pier Alessandro Dardano. Nel 1861 Riccardi fu nominato professore di storia al liceo di Brescia, ma l’incarico non lo soddisfaceva. Fin dal gennaio del 1862 prese avvio l’intensa e contrastata amicizia con Angelo De Gubernatis, allora direttore dell’Italia letteraria, alla quale Riccardi affidò non pochi versi e una prosa, l’Arte militare. Dopo un periodo in cui, a causa di un decreto, si trovò «come sant’Antonio, contemporaneamente in due luoghi, a Brescia e a Bari» (lettera ad Angelo De Gubernatis, 28 giugno 1862, Firenze, Biblioteca nazionale centrale, DeG 102/2), sul finire del 1862 venne trasferito nel capoluogo pugliese. A Bari insegnò lettere italiane (Mazzoni, 1900, p. XIII) e fu membro, per la lingua francese, della commissione riunita «per esaminare i giovani aspiranti all’ammissione nei Collegi militari» (Curriculum, c. 2r).
L’impatto con il clima e la società barese fu dei più difficili e assunse nelle lettere coeve toni sprezzanti: «Qui non si vive; e io non ci voglio vivere, dovessi giocarmi l’ultimo cucchiaio del minestrone indigesto che mi passa il Ministero. […] In settembre giungerò, armi e bagagli, a Torino, e darò un assalto strepitoso alle rocche ministeriali. Se non mi ammazzano per rimandarmi qui in ispirito, no certo ch’io non ci torno co’ miei piedi» (lettera a Francesco Selmi, 2 gennaio 1863, Vignola, Biblioteca comunale F. Selmi, Fondo Selmi, b. 32, Lettere a Francesco Selmi, R, alla voce Riccardi di Lantosca, Vincenzo).
Così Riccardi, cresciuto tra Nizza e Piemonte, in una società consapevole del proprio ruolo dirigente nelle vicende nazionali, abituato alla vitalità e anche alla futilità culturale torinese, si vide proiettato in un’Italia di cui i giornali e il dibattito politico non avevano potuto tradurgli nella loro drammatica concretezza i conflitti, le miserie e le contraddizioni. La diretta esperienza dello stato di prostrazione e disordine in cui versava il decaduto Regno di Napoli alimentò una vena poetica nuova, che si tradusse nelle macchinose Fotografie napoletane, pubblicate nel 1863 sulla rivista torinese Il Marforio, poi in estratto.
Vi sono riprese le forme e i moduli dallongariani, già esperiti negli Stornelli abruzzesi (Il mondo illustrato, 3 novembre 1860, p. 303), ma per calarvi scampoli di realtà popolare ‘napoletana’. All’alba dell’Unità le Fotografie napoletane, pur con i loro notevoli limiti estetici, fornirono a Riccardi di Lantosca gli argomenti sui quali crebbe la sempre più profonda delusione delle aspettative risorgimentali.
Nel settembre del 1863 fu mutato a Milano, dove fu dall’ottobre 1863, «professore titolare di letteratura italiana nel R. Liceo di S. Alessandro» (Curriculum, c. 1v) e parallelamente nel convitto nazionale Pietro Longone e nel civico collegio Calchi-Taeggi. Vi conobbe Gaetano Lionello Patuzzi, privilegiato mediatore con l’ambiente scapigliato (Emilio Praga e Arrigo Boito) e indirettamente con i veronesi Vittorio Betteloni e Aleardo Aleardi. Tra le collaborazioni a periodici meneghini va ricordata quella alla Cronaca grigia di Cletto Arrighi (Carlo Righetti), aperta sostenitrice della Scapigliatura.
In realtà Riccardi rimase estraneo, ma non indifferente, alle novità della poesia scapigliata, come dimostrano i due testi che maggiormente furono in dialogo con essa: A Emilio Praga (1866) e Otto rime in “ischio”. Alla Musa (1865). Sia la ‘poesia dell’amicizia’ sia la risposta ‘per le rime’ alla Ballatella boitiana, attestano l’incomprensione di Riccardi per la condizione e per le poetiche scapigliate e invece l’attaccamento al gusto, condiviso con Cletto Arrighi, per la satira e la critica mordace, già esperite nel Satana.
Nell’agosto del 1865 Riccardi lasciò Milano alla volta di Lecce, dove svolse le funzioni di preside-rettore del liceo ginnasiale e convitto nazionale Palmieri. In seguito, dal 1868 al 1870, rivestì le cariche di preside e direttore del R. liceo e ginnasio Nicola Spedalieri di Catania. Furono gli anni in cui elaborò originalmente le suggestioni scapigliate e ‘realiste’ per giungere a soluzioni poetiche eclettiche nell’implicazione di aspetti lirici e comici, filosofici e scientifici (Una zanzara, Il moscherino, Foglie, tutti apparsi sulla Rivista contemporanea di Angelo De Gubernatis). Nonostante la rinata e rinnovata ispirazione, nella primavera del 1869 Riccardi dette alle stampe, a Catania, l’ambizioso Viaggio nell’ombra: una raccolta di versi lirico-filosofici, già pubblicati alla spicciolata tra il 1857 e il 1862, poi riciclati a Milano tra il 1864 e il 1866 e ora, con emendamenti e riordino macrotestuale, riproposti come nuovi. Fu per Riccardi l’estremo tentativo di affermarsi come poeta-filosofo, dal cui fallimento – aggravato da un ennesimo trasferimento punitivo, a Chieti – si riebbe soltanto nel 1873, grazie anche all’interessamento di De Gubernatis, che lo convinse a collaborare alla sua ultima iniziativa editoriale, la Rivista europea, con la serie satirica La Signora. Sonettini e sonatine. Gli aristofaneschi «ritratti dei letterati» ordinati entro un quadro di esplicita e personale polemica nei confronti della critica, sottintesero l’avvenuta instaurazione di un nuovo paradigma poetico, umoristico-satirico, relegato fino al 1870 in posizione ancillare rispetto a quello lirico-filosofico. Dal 1874 al 1876 fu provveditore agli studi della provincia di Siena e di Grosseto e con questo stesso ruolo venne rimandato a Bari, dove uscì la raccolta Le isole deserte. Memorie di Vincenzo Riccardi di Lantosca (1877).
Riccardi vi convogliò buona parte della produzione di un quarto di secolo, fino alle ultimissime versioni da Catullo (Catullerie, apparse su L’illustrazione italiana nel 1876) secondo criteri di selezione e di ordinamento tematico-cronologico tesi a eliminare i dissidi del suo percorso poetico, soprattutto per quel che riguarda la vena comico-satirica, da sempre subordinata – come detto – a quella lirico-filosofica e qui invece presentata come esito naturale e agognato del poeta maturo: «Se vïaggiai nell’ombra, / Or vo’ scaldarmi al Sole; / Vo’ colla mente sgombra / Mïagolar fra la beata prole; / E, banditi i litigi / Del “dunque” e del “perchè”, / La vita digerir così com’è / Lisciandomi i barbigi» (Vedi le bestie per cu’ mi volsi). Notevole in questo senso fu l’anticipazione all’interno della raccolta del Viaggio nell’ombra sulle Stille di sangue (revisione di Dall’Alpi all’Adriatico) a relegare l’esperienza lirico-filosofica al periodo preunitario, giovanile.
Le critiche di Valentino Carrera sulla Gazzetta letteraria (II, (1878), 14, pp. 108-110), di Giovanni Alfredo Cesareo sulla Rivista europea (1° maggio 1878, pp. 28-57) e di Lodovico Corio su La Lombardia (2 maggio 1878) furono positive, ma nella Nuova antologia del 1° marzo 1878 la raccolta fu stroncata senza mezzi termini in una recensione anonima che Riccardi attribuì a De Gubernatis, mentre probabilmente era di Domenico Gnoli. Così, dopo una serie di poesie insultanti sulla Gazzetta letteraria (1878), Riccardi mise fine alla lunga e difficile amicizia con il poligrafo torinese. Nel 1879 fu provveditore a Benevento, nel 1881 ad Ancona, dal 1882 al 1884 a Perugia. Ormai conclusa l’esperienza delle Isole deserte, di cui progettò una seconda edizione, mai realizzata, Riccardi si presentò al pubblico con un poemetto comico-satirico, il Pape Satan Aleppe (Assisi 1882), in cui si inscenavano due visite a Niccolò Tommaseo: la prima a Torino nel 1854, in compagnia di Luigi Mercantini, la seconda nel 1870 a Firenze. Caratterizzato dall’acutezza dell’analisi del Dalmata e da uno stile brillante, in cui il dantismo di fondo si armonizza con una lingua al contempo colloquiale e dotta, l’opera – firmata con lo pseudonimo V. Erdiel – suscitò l’interesse di importanti critici novecenteschi, come Guido Mazzoni, Benedetto Croce, Pietro Pancrazi, Luigi Baldacci e Gianfranco Contini. Dopo il trasferimento a Massa nel 1885, raggiunse Ravenna nel 1887, dove venne messo a riposo. Nella città romagnola era già uscita la prima parte del poemetto satirico Pippetto, ossia il Regno di Saturno (1886) che, malgrado una certa diffusione, incontrò il disfavore della critica. Con questa Commediola in martelliani seimila e tanti, così legge il sottotitolo, V. Erdiel diede libero sfogo alla frustrazione e all’astio accumulato negli anni mettendo alla gogna, attraverso la vicenda dell’«eroe» Pippetto, la politica, l’amministrazione e la moralità dell’Italia contemporanea. Morì a Ravenna il 9 agosto 1887.
Fonti e Bibl.: Roma, Biblioteca nazionale Vittorio Emanuele II, ARC.34.C.5: Curriculum; G. Mazzoni, Prefazione, in V. Riccardi di Lantosca, Poesie scelte, Firenze 1900. Per i manoscritti, le stampe e la bibliografia si rimanda a V. Riccardi di Lantosca, Poesie. Le isole deserte. Viaggio nell’ombra. Dall’Alpi all’Adriatico. Poesie varie, edizione critica e commentata a cura di M.M. Pedroni, Alessandria 2006, pp. CXV-CLXXXIX.