RIANO (‛Ριανός, Rhianus)
Poeta e grammatico dell'età alessandrina, vissuto - a quanto pare - nella seconda metà del secolo III a. C. I biografi antichi lo indicano come contemporaneo di Eratostene: il che vorrà dire ch'egli fu in speciale relazione con questo celebratissimo erudito, bibliotecario di Alessandria. Altrimenti Riano ci si presenta del tutto isolato, in nessun contatto con ambienti politici e letterarî del suo tempo. Di origine servile, nacque a Bene nell'isola di Creta, che allora certamente non era un centro di cultura. Ma, secondo ogni probabilità, egli fu educato ad Alessandria d'Egitto: sia perché, durante il sec. III, l'isola di Creta era appunto legata, specialmente, all'impero dei Tolomei, sia perché l'opera stessa di Riano, nel campo grammaticale, si rivela conforme all'indirizzo dei critici alessandrini. Come grammatico, egli compose un'edizione dell'Iliade e dell'Odissea, che occupava un degno posto fra quella, anteriore, di Zenodoto e quella, posteriore, di Aristofane da Bisanzio. Gli scoliasti omerici ci conservano di essa un certo numero di lezioni, che furono in gran parte adottate da Aristofane stesso, e che ci permettono di pronunciare sulle disposizioni critiche di Riano giudizio favorevole. In sostanza egli era per la semplicità, lontano dalle ricercatezze e dalle astruserie. Queste medesime attitudini si manifestano nelle sue opere poetiche, le quali risentono molto dello studio di Omero, di Esiodo e, in generale, dei classici maggiori.
Scrisse epigrammi, per lo più erotici; una dozzina dei quali ci sono pervenuti, e sono notevoli per chiarezza e garbo di espressione. Ma la sua gloria era nel campo della poesia epica, in cui esplicò un'attività prodigiosa. Dei suoi poemi, l'Eraclea, le Acaiche, le Eliache, le Tessaliche, le Messeniche, non abbiamo che scarsi frammenti; e soltanto di qualcuno di essi possiamo farci un'idea un po' comprensiva.
L'Eraclea era probabilmente in soli 4 libri, ossia si distaccava dall'omonimo poema in 14 libri, di Paniasi, e in generale dagli analoghì poemi ciclici, di argomento mitologico: perciò trattava le vicende dell'eroe (le dodici fatiche) in modo piuttosto sintetico e vivace. Più caratteristici erano gli altri poemi, di argomento storico-etnografico, in cui a maggior ragione si attuava quella medesima tendenza, non del tutto conforme al tipo tradizionale della poesia epica e specialmente contraria alle lunghe ambagi dell'epopea ciclica. Fra questi poemi di argomento storico-etnografico spiccano le Messeniche, che ci sono abbastanza note, non tanto dai pochi frammenti, quanto dalla descrizione che ne fa il periegeta Pausania, il quale se n'è servito come di fonte a proposito delle guerre messeniche (IV, 6). R. non raccontava affatto tutte le guerre messeniche, ma soltanto la seconda, e della seconda soltanto una parte, quella che gli sembrava più efficace ai fini della poesia. E concentrava l'attenzione intorno a una figura principale, Aristomene, eroe dell'indipendenza della Messenia, da lui fortemente idealizzato e collocato sul medesimo piano in cui si trova Achille nell'Iliade. Non tanto si tratteneva sui frutti più importanti della guerra, su quelli di carattere più propriamente storico, quanto sugli episodî avventurosi che riguardavano la persona e la passione di Aristomene: come questi non sopportasse di stare assediato nella cittadella di Ira e tentasse frequenti incursioni; come cadesse più volte prigioniero e fosse miracolosamente salvato, ora da un'aquila e da una volpe, ora da qualche fanciulla presa d'amore o d'ammirazione per lui.
Nella preminenza che assumono cosiffatti episodî curiosi o erotici si manifesta uno tra i più noti aspetti dell'alessandrinismo. Ma l'alessandrinismo è presente anche là dove di solito non lo si cerca o si crede di trovarlo contraddetto: cioè nella concezione generale dell'opera. Infatti R., come poeta epico, non è affatto da ricollegare, com'è stato ricollegato, con la vecchia tradizione dell'epopea ciclica; poiché anzi, vediamo chiaramente ch'egli aderiva a correnti critiche originate da Aristotele e diffuse fra gli alessandrini, per cui si biasimavano le pesanti, macchinose, annalistiche narrazioni del ciclo epico, e a queste si contrapponeva la maniera di Omero: di Omero che non incomincia mai la narrazione ab ovo, ma salta in medias res, e tralascia tutto ciò che non possa produrre effetto poetico, e ai fatti veri mescola quelli puramente fittizî e meravigliosi (cfr. Orazio, Ars poetica, vv. 136-152). In sostanza anche R. (come Apollonio Rodio, e forse più di Apollonio Rodio), pur essendo cultore di poesia epica e non di semplici epillî, risentiva l'influenza di Callimaco, principale interprete dei gusti alessandrini, grande avversario del ciclo.
Edizioni. - I frammenti dei poemi in Collectanea Alexandrina, ed. I. U. Powell, Oxford 1925, pp. 9-18. Gli epigrammi sono riuniti ibidem, pp. 18-21; sparsi nei libri dell'Antologia Palatina.
Bibl.: A. Meineke, Rhianus Cretensis, in Analecta Alexandrina, Berlino 1843, pp. 171-212 (con raccolta dei frammenti); C. Mayhoff, De Rhiani Cretensis studiis Homericis, Lipsia 1870; A. Couat, La poésie alexandrine, Parigi 1882, p. 327 segg.; F. Susemihl, Geschichte der griech. Litteratur in der Alexandrinerzeit, Lipsia 1891, II, p. 399 segg.; C. Cessi, La poesia ellenistica, Bari 1912, pp. 143-149; W. Aly, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., I A, coll. 781-90, s. v.; A. Rostagni, Arte poetica di Orazio, Torino 1930, pp. 41-48.